Era esattamente un anno fa, sul finire d’agosto, quando Kemi Seba venne arrestato dalle autorità senegalesi per aver bruciato un Franco CFA (la moneta, strettamente controllata da Parigi, in uso in tutte le ex colonie francesi africane e con cui la Francia ne controlla quasi del tutto le economie, prelevando ogni anno da esse non meno di 400 miliardi di euro). L’ordine dell’arresto, si disse e non si smentì, era venuto dalla locale ambasciata francese.
Molti pensano che il sogno panafricanista si sia estinto con la destituzione e la morte del grande leader ghanese Kwame Nkrumah, il primo a portare un paese africano nel Fronte dei Non Allineati già alla prima Conferenza di Bandung del 1956, insieme allo jugoslavo Tito, all’egiziano Nasser, all’indonesiano Soekarno, al cambogiano Sihanouk, all’indiano Nehru e così via. Altri invece sostengono che questo sogno sia poi stato ripreso da un altro grande leader, Thomas Sankara, che nel 1983 prese le redini dell’Alto Volta trasformandolo in Burkina Faso e rendendolo in poco tempo un paese autonomo, autosufficiente e dignitoso, in piena lotta contro il neocolonialismo francese e statunitense, e dagli agenti di quest’ultimo (in quel caso soprattutto il suo vice, il traditore Blaise Kompaoré) subito assassinato.
In realtà l’ideale di un’Africa unita ha avuto e continua ad avere tanti padri, alcuni dei quali poco noti ma dai grandissimi meriti politici ed intellettuali, e che è pertanto bene ricordare e ricercare: non solo il congolese Lumumba, ucciso ad indipendenza della Repubblica Democratica del Congo quasi appena avvenuta, ma anche il guineiano Sekou Touré, che per un certo periodo fu il massimo esponente del socialismo africano, o ancora Amilcar Cabral, che lottò contro il colonialismo portoghese (l’ultimo ancora a resistere in Africa, e guidato dal regime fascista di Salazar prima e di Caetano poi) portando all’indipendenza la Guinea-Bissau e Capo Verde, ed anch’esso ucciso dalla polizia politica del regime di Lisbona, il famigerato PIDE poi ribattezzato DGS. Anche ad altre grandi figure storiche dell’Africa, come il Negus etiopico Hailé Selassié, o il presidente della Tanzania Julies Nyerere, o ancora il somalo Siad Barre, vengono riconosciuti importanti meriti per la causa del panafricanismo, anche se la loro lotta è stata concentrata soprattutto, ed in primo luogo, nel contrasto al colonialismo e nella rivendicazione di un nazionalismo africano in ogni causo propedeutici alla realizzazione di tale idea. In questo senso anche il ciadiano François Tombalbaye, padre dell’indipendenza del suo paese e poi ucciso a metà Anni ’70 con una fucilazione sommaria in seguito ad un drammatico colpo di Stato, andrebbe ricordato e risollevato dall’oblio in cui è stato precipitato.
I nomi ovviamente non finiscono qua: bisognerebbe letteralmente citare ogni paese africano, coi relativi leader politici o sindacali che diedero praticamente la propria vita per l’indipendenza dal colonialismo. Dalla fine degli Anni ’80 era stato soprattutto Muammar Gheddafi a parlare di panafricanismo e ad impegnarsi per il raggiungimento di un’unità politica, economica e monetaria del Continente Africano. Naturalmente il Qa’id libico aveva già cercato, negli anni precedenti, fin dalla salita al potere, d’intervenire nella politica dell’Africa Nera, ma la sua azione in quei casi s’era concentrata soprattutto sui paesi dove c’era una presenza musulmana, o dove erano musulmani i suoi leader. Ed in tal senso, è giusto doverlo dire, non mancarono neppure errori talvolta grossolani, come l’appoggio a Idi Amin Dada dell’Uganda o la “guerra delle Toyota” in Ciad.
Tuttavia, a partire dalla fine degli Anni ’80, Gheddafi aveva maturato un approccio decisamente molto più saggio e redditizio (ai limiti, si potrebbe dire, dell’infallibilità) nei confronti dei paesi dell’Africa subsahariana. Se prima i buoni ideali potevano talvolta sfociare in errori strategica, a partire da quel momento ciò non si verificò più, e ovviamente chi aveva degli interessi coloniali o neocoloniali da salvaguardare in Africa non poteva minimamente gradire una concorrenza sempre più puntuale e temibile come quella libica. I primi ad essere infastiditi erano ovviamente i francesi: sappiamo benissimo come la decisione di Gheddafi di dar vita ad una nuova valuta panafricana, legata all’oro, che sostituisse il Franco CFA sia stata praticamente la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Da lì sono partite le bombe sulla Libia e l’assassinio di Gheddafi e di parte della sua famiglia, nonché la distruzione della Jamahiriya e dei suoi ambiziosi progetti panafricanisti.
La bandiera, però, quando cade può sempre essere raccolta da qualcun altro. Andrebbe ricordato, per esempio, il tanto bistrattato presidente della Guinea Equatoriale, Teodoro Obiang, che pur stando alla guida di un piccolo paese viene da molti indicato come il prosecutore ed il principale difensore delle idee, in Africa Nera, di Gheddafi. Naturalmente contro il presidente Obiang si sono sollevate infinite campagne di delegittimazione condite da offese ed accuse a dir poco irrealistiche, ma è un fatto che egli sia al momento uno dei campioni del panafricanismo. Obiang ha comunque avuto la modestia di riconoscere di non poter, per varie ragioni, portare da solo e sulle proprie spalle tutto il peso dell’eredità di Gheddafi. Di conseguenza la bandiera del panafricanismo, oggi, oltre che dal Sudafrica (storico alleato della Libia di Gheddafi e, guardacaso, anch’essa costantemente sotto il tiro di vari tentativi di destabilizzazione e delegittimazione internazionali) è portata avanti anche da moltissimi giovani, che sicuramente in Kemi Seba hanno un loro esempio indiscutibile.
Kemi Seba ama citare soprattutto gli scritti di un grande intellettuale africano, nato in Martinica e morto negli USA, ma prima di tutto fondamentale attivista della causa algerina, ai tempi in cui Ben Bella combatteva contro i francesi (ad aiutare colui che sarebbe divenuto il primo presidente dell’Algeria libera c’era anche un certo Enrico Mattei, che per questo riceveva le costanti minacce di morte dell’OAS, la nota organizzazione estremista e militarista francese), ovvero Frantz Fanon. Il suo “I Dannati della Terra” merita decisamente una lettura, essendo un grande classico dell’anticolonialismo al pari di molti altri.
di Filippo Bovo
Fonte: http://www.opinione-pubblica.com
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