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Ora i Rothschild hanno i codici nucleari francesi e il ricatto hacker dissimula tutto. E’ un mondo sano. Mauro Bottarelli

Stamattina, con un cerimonia ufficiale all’Eliseo, Emmanuel Macron è divenuto il nuovo presidente della Francia. Francois Hollande, suo predecessore, prima di scivolare nell’oblio della storia e nell’anonimato politico, gli ha consegnato i codici nucleari: dunque, la maggioranza del mondo saluta e festeggia il fatto che da oggi la Banca Rothschild abbia in mano le chiavi della deterrenza atomica francese. E, state certi, che siamo bel al di là del simbolismo. Per almeno tre motivi. Primo, fino alla fine dei luglio in Francia è ancora in vigore lo stato di emergenza proclamato dopo le stragi del 13 novembre 2015: di fatto, il capo dell’Eliseo ha poteri assoluti. Macron porrà fine a questo status, dopo le celebrazioni del 14 luglio? Può essere, certo se l’Isis tornasse casualmente a farsi vivo entro quella data, la ragion di Stato Imporrebbe di no.

Hollande

Secondo, mentre il potere assoluto finisce nelle mani di un uomo che è diretta emanazione di uno dei più alti poteri finanziari e della Massoneria francese – roba seria, non i grembiulini di provincia che tanto preoccupano Ferruccio De Bortoli -, da qualche giorno a La Sauterraine, nel cuore della Francia, i 278 dipendenti della GM&S hanno dato vita a una forma estrema di protesta: minacciano di far esplodere la loro fabbrica con bombole di gas, atto estremo di luddismo 2.0 per opporsi alla chiusura e alla delocalizzazione in Paesi con minore costo del lavoro e di produzione. Insomma, siamo al paradosso e al paradigma di un Paese non solo spaccato in due ma, dove, i partiti referenti storici di quei lavoratori pronti a distruggere – fisicamente – il proprio posto di lavoro, hanno spianato le porte dell’Eliseo a Macron, il socialisti in toto e Jean-Luc Mélenchon gran buona parte.

Il collante di questo corto circuito? L’antifascismo d’antan, declinato ora in anti-populismo e anti-protezionismo. I lavoratori minacciano nel quotidiano il sacro fuoco della rivolta ma, nell’urna, hanno votato il capo dei pompieri. Terzo, nel silenzio generale di tutti i media mondiali, il 26 aprile scorso, il generale Viktor Poznihir, capo delle Operazioni del Direttorio della Forze armate russe, parlando alla Moscow International Security Conference, ha detto qualcosa che dovrebbe aver fatto saltare tutti sulla sedia: “Il Comando generale dell’esercito russo ha concluso che Washington stia preparando un attacco nucleare preventivo contro la Russia”. Ora, a parlare non è stato un deputato pazzo ma uno dei primi vertici delle forze armate. E ricordate la frase che è regola aurea per Vladimir Putin: “Cinquanta anni fa, la vita nelle strade di Leningrado mi ha insegnato una cosa: se una guerra è inevitabile, allora attacca per primo”.
Insomma, mentre giocano a fare la guerra con la Nord Corea, un giorno dialogando e l’altro minacciando, negli USA c’è qualche pazzo che sta lavorando invece per indurre il Cremlino ad adottare la dottrina dell’attacco preventivo esso stesso? Il tutto, con la NATO sempre più attiva ad Est, nel Baltico e ora nell’Artico, in chiave anti-russa e con un nuovo asse che Washington benedice: oggi Martin Schulz e la SPD hanno subito una pesante batosta nel loro feudo del Nord Reno-Westfalia, dove la CDU di Angela Merkel è accreditata al 36%, mentre i socialdemocratici al 30% hanno perso 9 punti percentuali rispetto a 5 anni fa. Con l’atlantista, europeista e russofobo Emmanuel Macron all’Eliseo e la Cancelliera destinata a vincere un altro mandato a settembre, l’asse renano rischia di pesare più a livello geopolitico esterno che economico e riformista in sede UE.

Non so se avete visto il film “La regola del sospetto”, dedicato all’addestramento di una recluta della CIA e al piano diabolico del suo addestratore. Bene, quest’ultimo era interpretato da Al Pacino e la sua battuta mantra era: “Nulla è come appare”. Che dire, ad esempio, dell’attacco hacker a livello mondiale di venerdì scorso? Un qualcosa dall’impatto enorme, capace di colpire 100mila sistemi in 150 Paesi: si passa dal sistema sanitario inglese al ministero dell’Interno russo, da grandi major e siti istituzionali e ONG. Un attacco su base planetaria e con la richiesta di riscatto in bitcoin: o paghi 300 euro o il sistema non riparte. L’incubo materializzatosi durante le elezioni presidenziali USA, ancorché senza mezza prova reale, adesso diventa realtà. A livello globale.

E con il Russiagate appena ripartito, dopo il siluramento da parte di Donald Trump del capo dell’FBI, James Comey, l’uomo che doveva proprio indagare le presunte collusioni tra staff del presidente e uomini del Cremlino. Guarda caso, l’altro defenestrato del caso, l’ex capo della Sicurezza nazionale, Mike Flynn, ha declinato l’invito a comparire inviatogli dal Senato: come dire, ho qualcosa da nascondere. O, in subordine, voglio garanzie ferree. E chi è riuscito a bloccare “Wannacry”, l’attacco più potente ed esteso di sempre? Qualche agenzia di intelligence? La cyber-war degli Stati colpiti? No, un gruppo di hacker facenti capo Malware Tech, i quali hanno reso nota la cosa via Twitter: “Così oggi posso aggiungere ‘ha accidentalmente fermato un cyberattacco mondiale’ al mio curriculum”, ha scritto l’hacker sulla piattaforma di Jack Dorsey.
Altro eroe della giornata è un collega di @malwaretechblog, tale Darien Huss, il quale lavora per la compagnia di sicurezza californiana Proofpoint e ha trovato e attivato – pensa che proverbiale colpo di culo – una sorta di pulsante di autodistruzione contenuto all’interno del virus. Cosa ci dice questa storia? Che o le cyber-intelligence di mezzo mondo sono da cacciare a calci in culo o gente come quegli hacker va assunta. E, soprattutto, il loro lavoro finanziato. Sempre di più. Tanto, c’è l’eco della stampa di tutto il mondo che batte la grancassa, a partire dal Russiagate, ora destinato a gonfiarsi ancora. Eh già, perché l’hackeraggio, come quasi tutto, ha il suo rovescio della medaglia: da un lato crea danni, dall’altro business per contrastarlo. E questi grafici
parlano molto, molto chiaro al riguardo. Caso strano, poi, l’attacco è arrivato a ridosso del G7 economico in corso in Italia ed ecco che, appena diffusasi la notizia, la prima gallina che canta ha fatto l’uovo: “Parleremo di cybersecurity, ci aspettiamo dei progressi. Mi attendo una buona discussione”, ha dichiarato il segretario al Tesoro USA, Steven Mnuchin, arrivando al Castello Svevo di Bari per il secondo giorno dei lavori. A stretto giro di posta, ecco il ministro italiano, Pier Carlo Padoan, dichiarare che “siamo d’accordo su molte cose, sulla riforma delle banche multiregionali di sviluppo e sulla lotta al cyber crime, che è molto attuale”. Immediato anche l’intervento dell’UE, lesta nel sottolineare i pericoli di questa nuova frontiera del terrorismo e anche l’Europol, la quale dopo aver definito l’accaduto “senza precedenti”, ha dichiarato per bocca del suo direttore esecutivo, Rob Wainwright intervistato oggi dalla britannica ITV, che “il rischio ora è che i computer non funzionino lunedì mattina”. Millennium bug 2.0? Mancano poche ore e vedremo ma mettete in fila un po’ di cose. Offensiva hacker senza precedenti, attraverso un malware noto come “Wannacry” e nato – per ammissione dei pirati stessi – delle informazioni rese note da Wikileaks sulle attività di spionaggio della CIA.
Et voilà, se servisse, Juliane Assange – minacciato dagli USA rispetto al suo status di rifugiato e definito dalla CIA una sorta di “servizio segreto non statale ma ostile” – e la sua attività sono pronti a finire sul banco degli imputati. L’attacco del secolo, che ha piegato le difesa di tutte e intelligence mondiali, è stato fermato da due nerd californiani: cazzo, vuoi non investire in massa nel settore, ora che dalla mitica Silicon Valley arrivano latrati di crisi? Terzo, per quanto sia stata colpita anche la Russia, un attacco simile resta nell’immaginario collettivo e, se il Russiagate dovesse trovare ossigeno grazie al media, potrebbe diventare una manna da vendere all’opinione pubblica in chiave anti-russa. Le autorità sovranazionali recalcitranti, vedi G7 o UE, ora non potranno più perdere tempo nel priorizzare il sistema, dando mano libera di fronte alla gravità della minaccia: ma combattere gli hacker vuol dire anche usare censura e blocchi preventivi, quindi strumenti di propaganda fondamentali.
Codici virusE poi guardate questi grafici,
relativi al casinò cinese che in questi giorni sta inviando sinistri crepitii e ricordate cosa ha detto l’Europol, ovvero che il rischio è che, pur ripristinando, poi i pc non partano. E su quali sistemi di basano le Borse? Non è che l’attacco hacker di venerdì sia stata solo una straordinaria simulazione per un’emergenza che ormai si vede prossima e che si deve, almeno nel breve termine, coprire nella sua reale natura ed enitità? Per carità, la storiella dei nerd che salvano il mondo con un colpo di culo è affascinante, quasi cinematografico ma tendo a uniformarmi alla corrente di pensiero di Al Pacino in versione addestratore CIA. Anche perché questo altri altre grafici,

ci parlano la lingua di un canarino nella miniera che sta ansimando non poco, a dispetto della narrativa dei grandi media. Primo, al netto dell’inversione della curva sui tassi cinesi a 5 e 10 anni avvenuta nella notte tra giovedì e venerdì scorso, il primo grafico può essere riassunto con le parole del CIO del River Asset Management, Eric Peters, proprio venerdì scorso: “Quello a cui stiamo assistendo sui mercati non ha precedenti.. Nessun trader ha un modello per questo. E ciò che rende le cose così difficili per ottenere un modello tale è che per la prima volta ci troviamo di fronte alla fine di un ciclo basato su decisioni prese a Pechino”. Secondo, al mondo ci sono oggi più indici che titoli statunitensi quotati (tranquilli, è un mondo splendido e assolutamente sostenibile). Terzo, la capitalizzazione delle cosiddette “Big 5” del Nasdaq ha superato la scorsa settimana i 3 trilioni di dollari, bel oltre il 10% dell’intero equity market statunitense. Avanti a colpi di buybacks come se non ci fosse un domani? Ma la FED non doveva continuare ad alzare i tassi?
Capite che una bella prova generale di caos informatico (e informativo) appare salutare? Così come innalzare sull’altare del male assoluto gli hacker e la loro attività, garantendosi così anche il ricasco politico della russofobia. Magari il casinò non salta oggi, magari nemmeno domani: meglio, però, avere qualcosa da regalare all’opinione pubblica. Tanto più che quel qualcosa garantisce affari d’oro e un ampliamento pressoché senza limite dell’attività repressiva sul web. E’ un mondo molto strano: i Rothschild con i codici nucleari francesi, la Russia spinta verso una guerra che non cerca e l’establishment politico-finanziario che si crea nemici ad hoc per nascondere il fatto di essere esso stesso il primo antagonista del popolo. Che lo vota, però, come accaduto con Macron. Forse conviene alzare ora bandiera bianca.

P. S. E se, di colpo, scoprissimo che l’attacco hacker è parte dell’offensiva della Nord Corea, magari con la collaborazione tecnologica e logistica di Teheran? Ricordate, venerdì in Iran si vota per le presidenziali.

 

Mauro Bottarelli

Fonte: rischiocalcolato.it

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