Dopo aver provocato tanti regime changes, i responsabili provano sulla loro pelle il regime change in Usa. Non si hanno notizie precise dell’agenzia di lobbiyng dei due fratelli Podesta, quelli per cui la “artista” Abramovic cucinava gli spiriti. Ma possiamo esser certi che Tony ha perso il contratto per avanzare gli interessi della Casa Reale Saud presso la Casa Bianca: per il quale percepiva 140 mila dollari al mese, abbastanza da togliersi tutti i suoi costosi vizi. Casa Saud aveva ammesso di aver finanziato il 20% della campagna Hillary, certo su suo consiglio: mai fu fatto un peggior investimento.
Quanto a John Podesta, il fratello, capo della campagna per Hillary e perciò venuto troppo in vista (grazie anche alle sue strane email spifferate da Wikileaks), non può fare quello che stanno facendo i militanti meno noti e meno visibili: sfrondare dal loro curriculum le loro passate benemerenze come raccoglitori di fondi per la Clinton, cancellare le loro conoscenze nell’ambiente democratico, e cercare lavoro presso altre aziende: le quali adesso cercano gente con “republican connections”, di cui questi poveretti sono privi.
Molti giovani che prima occupavano vari incarichi di portaborse politici al Senato o al Dipartimento di Stato, per prudenza hanno cancellato da Facebook le loro foto esultanti a fianco di Hillary, e da Linkedin hanno tolto ogni riferimento troppo preciso al loro mestiere di prima. Sono migliaia, cercano lavoro, “e lavoro non c’è”, ha spiegato a Politico una aiutante dello staff Clinton, Amira Patel. Già: la ripresa economica di Obama non sembra poi così impetuosa da assorbire gli scartati dallo spoil system. Per di più, molti sono giovani che hanno vissuto “tutta la loro vita adulta” sotto un governo democratico (gli 8 anni di Obama) non erano affatto preparati a un tal cambiamento.
E non sono i soli.
Nell’annuale riunione a Chicago della American Economic Association, che riunisce i maggiori economisti docenti (e pontificanti sui grandi media), ha avuto i toni di un funerale. Tutti questi cattedratici sono campioni e cantori del mercato e della globalizzazione – del resto è la dottrina ufficiale che per vent’anni ha gestito cattedre e premi Nobel – e sono stati colti di sorpresa, a quanto è risultato dal convegno, dal potente crescere del “populismo” che ha portato al potere Trump. Il quale ha lanciato la de-globalizzzione, il rientro di capitali e posti di lavoro, il nazionalismo economico, e alla fine (orrore) il protezionismo. Per di più, “il presidente eletto non è particolarmente interessato a chieder consiglio al club degli economisti accademici”, sospira Steven Davis, uno del club (University of Chicago).
Economisti in lutto
Com’è stato possibile?, si son chiesti i 15 mila partecipanti smarriti. “L’elite economica ha fatto molto per minare la propria credibilità – mentre la situazione economica della gente volgeva al peggio” loro han continuato a predicare che nella globalizzazione, “i vincitori e i perdenti si sarebbero compensati”, e fornendo al governo Obama statistiche (tutte vere) a cui, secondo il sondaggio Marketplace-Edison Research dello scorso ottobre, “il 25% degli americani adulti non crede affatto, e il 19% crede poco”.
Adesso gli economisti in lutto devono riconoscere che l’ultima porzione delle loro prediche, che dal 2008 ha asseverato l’instaurarsi della “stagnazione secolare” e ha consigliato alla gente di adeguarsi perché è “the new normal” (la nuova normalità), non solo non ha trovato gli americani medi docili, ma è persino un errore secondo la dottrina liberista.
Non ricordavano più che in celebri sentenze, Adam Smith metteva in guardia pressappoco così:
Quando i tassi di profitto sono troppo alti, il capitalismo cannibalizza se stesso in due modi
1 – Non facendo gli investimenti a lungo termine per il futuro.
2 – Pagando salari insufficienti a mantenere la domanda dei prodotti e servizi che il capitalismo offre.
(Ecco la citazione di Adam Smith: “But the rate of profit does not, like rent and wages, rise with the prosperity and fall with the declension of the society. On the contrary, it is naturally low in rich and high in poor countries, and it is always highest in the countries which are going fastest to ruin.”)
Lo stesso medesimo Adam Smith, del resto, aveva avvertito che nel capitalismo nudo e crudo i vincenti non fanno colare qualcosa della loro ricchezza sui perdenti, come hanno predicato da 40 anni gli accademici; non esiste il fenomeno del trickle-down, lo sgocciolamento verso il basso, che questi economisti davano per certo; anzi, il capitalismo incontrollato produce il trickle-up, i soldi vanno dal basso in alto; i ricchi diventano rentier oziosi, e risucchiano quel poco ai poveri. In tal modo:
- I detentori di capitale in eccesso raccolgono rendite, affitti e interessi.
- Coloro con capitale insufficiente pagano gli affitti e gli interessi.
La citazione: “The Labour and time of the poor is in civilised countries sacrificed to the maintaining of the rich in ease and luxury. The Landlord is maintained in idleness and luxury by the labour of his tenants. The moneyed man is supported by his extractions from the industrious merchant and the needy who are obliged to support him in ease by a return for the use of his money. But every savage has the full fruits of his own labours; there are no landlords, no usurers and no tax gatherers.”
C’è da chiedersi quale dottrina liberista hanno insegnato per gli ultimi 30 anni i cattedratici, facendola passare per quella di Adam Smith. La risposta è facile. Era la dottrina voluta da Wall Street.
Ovviamente anche i media mainstream escono con le ossa rotte – e l’autorevolezza a zero – dal “regime change” che hanno così settariamente tentato di combattere. La CNN è fra i massimi perdenti, quella di cui il pubblico si fida meno quando dà notizie politiche.
I media scavalcati dai tweet
Non è il caso di girare il coltello nella piaga, perché il discredito non è ancora il peggio. Il neo-presidente ha mostrato di non aver bisogno di adulare il club mediatico degli “anchor” strapagati e lisciare il pelo alle grandi firme: lui comunica direttamente con il popolo americano a forza di tweet, che raggiungono le masse istantaneamente, e che i media sono forzati a riportare ore dopo o il giorno seguente. E’ persino dubbio che Trump tenga le rituali conferenze-stampa ufficiali alla Casa Bianca, che sono così gratificanti per i pennaioli che si sentono chiamati per nome dal Presidente: “Look, Henry…I could say, Ann…”. Tutta questa falsa importanza finirà: loro lo odiano, e lui li detesta. Regime Change.
Tanto che persino il Washington Post ha cominciato a scrivere nero su bianco, in un articolo inchiesta, che:
- i principali dieci caporioni dello Stato Islamico sono stati internati a Camp Bucca, il campo americano di concentramento in Irak;
- nel 2007, durante il “surge” (l’aumento della pressione militare decretato da Obama) arrivò a contenere 24 mila estremisti veri o presunti;
- che i gruppi venivano separati e uniti fra loro secondo ceri criteri
- che in quella sede i baatisti di Saddam, prigionieri e sconfitti e laici, incontrarono i wahabiti più estremi, e “diedero loro ciò di cui mancavano: disciplina militare e capacità organizzativa”, mentre gli altri diedero ai Baatisti l’estremismo sunnita;
- il futuro Al Baghdadi (il Califfo), il numero due Abu Muslim al-Turkmani, il principale capo militare (oggi caduto) Haji Bakr, il capo dei guerriglieri stranieri Abu Qasim, hanno tutti frequentato quella università. Il Califfo ci è rimasto 5 anni. E da lì viene la strana idea di costituire uno Stato, con suoi uffici, fiscalità, scuole, assistenza sociale: il Califfato semi-baathista.
Nel 2009, ha il coraggio di scrivere il Washington Post, inopinatamente la direzione di Camp Bucca liberò centinaia di questi prigionieri. La polizia irachena nella vicina città di Garma, al confine quasi con il Kuweit, si preoccupò di veder arrivare ceffi di galera di cui conosceva bene la pericolosità. “Mica è gente che pianta i fiori in giardino”, disse il capo della polizia Saad Abbas Mahmoud al corrispondente del Post Anthony Shadid: “Il 90 per cento riprenderanno a combattere”.
Ciò che il Washington Post continua pudicamente a tacere è che questo era ciò che l’amministrazione Obama voleva, e di cui era ben consapevole. Dal generale Flynn abbiamo saputo che la sua DIA, fin dal 2012, aveva valutato che “esiste la possibilità di instaurare un principato salafista nella Siria Orientale (Hasak e Der Zor) e ciò è esattamente ciò che le potenze che sostengono l’opposizione vogliono, onde isolare il regime siriano”.
IS e US continuano a distruggere le infrastrutture civili siriane
Fra queste potenze non c’erano solo i sauditi e i turchi, ma la Casa Bianca. Nell’agosto del 2014, intervistato da Thomas Friedman per il New York Times , il presidente Obama l’ha ammesso: gli Usa erano consci dei pericoli dell’IS, ma non hanno fatto niente per bloccarne l’’espansione in Irak “con bombardamenti” – questa la spiegazione di Obama, “perché ciò avrebbe allentato la pressione su Al Maliki”: il primo ministro dell’Irak, Nuri al Maliki, di cui Obama voleva la caduta – perché essendo sciita, obbediva più a Teheran che a Washington.
Naturalmente oggi sappiamo (se non leggiamo il mainstream) che i monarchi del Golfo hanno finanziato lo Stato Islamico, certo non contro la volontà di Obama; che la Cia e il Dipartimento di Stato li hanno addestrati ed armati……. Che quando Obama dovette far finta (era stato ucciso un giornalista Usa) di “bombardare l’IS”, i comunicati dell’US Air Force riferivano di aver distrutto “un escavatore dell’IS”, o “battuto le posizioni del Califfato”, mentre centinaia di autobotti caricavano il greggio e poi andavano a consegnarlo, in lunghe file, alla Turchia. Solo quando Putin – durante il G20 – ha diffuso le foto aeree di quelle colonne ai capi di stati e governo (e cominciato a incenerirle), allora Obama ha ordinato qualche colpo in più.
E anche adesso, mentre scriviamo, il Pentagono e l’IS in pieno accordo e probabile coordinamento, distruggono minuziosamente le infrastrutture civili della Siria: l’ultima, la rande centrale del gas di Hayan presso Homs,,,, opera dell’IS. Come si ricorderà, nei giorni della vittoria siriana ad Aleppo, un attentato ha messo fuori uso l’acqua potabile per 5 milioni di abitanti a Damasco e dintorni. A Deir Ezzor un altro attentato ha tolto l’elettricità.
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di Maurizio Blondet
Fonte: maurizioblondet.it
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