2. Creare problemi, offrire soluzioni. Questo metodo è anche chiamato “problema- reazione- soluzione”. Si crea un problema, una “situazione” prevista per causare una certa reazione da parte del pubblico, con lo scopo che sia questo il mandante delle misure che si desiderano far accettare. Ad esempio: lasciare che si dilaghi o si intensifichi la violenza urbana, o organizzare attentati sanguinosi, con lo scopo che il pubblico sia chi richiede le leggi sulla sicurezza e le politiche a discapito della libertà. O anche: creare una crisi economica per far accettare come un male necessario la retrocessione dei diritti sociali e lo smantellamento dei servizi pubblici.
Questo è quanto recita il secondo punto del noto Decalogo di Chomsky, redatto in realtà da un anonimo, visto che Chomsky non ne ha rivendicato la partenità. Il decalogo è noto anche col seguente nome:
“Le 10 strategie della manipolazione mediatica”.
Il caso analizzato è il seguente.
Non è la Russia ma è israele a intossicare l’informazione. L’articolo è curato da Francesco Santoianni ed è reperibile sul sito lantidiplomatico.it.
In sintesi. Nell’autunno 2017 comincia a girare su internet un anonimo video che denuncia le attività di almeno 50.000 Fake Bot creati dalla IsayWeb – IsayBlog – IsayData. I Fake Bot sono profili falsi sui social network, in questo caso particolare su Twitter. I profili falsi diffondevano, rendendolo virale, il seguente tweet:
“È una notte speciale x me perché stanotte dopo oltre 5 anni dal sisma dormo x la prima volta a casa mia. E mi andava di condividerlo con voi“.
Un tweet – a guardare bene – palesemente assurdo: il terremoto che ha colpito Amatrice è del 2016, non di cinque anni fa, mentre quello in Abruzzo è del 2009. Nonostante ciò il tweet, veicolato dalla falsa rete di utenti, diventa virale e si scatenano sui social innumerevoli proteste contro il governo.
La società responsabile è una società israeliana che opera in Italia dal 2016.
I problemi sono quindi i seguenti:
- in rete vengono diffuse false notizie;
- esiste una società israeliana molto ben strutturata, con software proprietari, in grado di utilizzare decine di migliaia di account falsi per diffondere false notizie in rete e generare la diffusione virale delle stesse.
La notizia in sé sembra abbastanza innocua, ma questo basta a dare nuovo slancio alle richieste di blocco delle fake news che Laura Boldrini (e non solo) sta cercando di portare avanti dal basso attraverso il sito bastabufale.it (affinché sia la gente a richiedere le misure contro le fake news).
Il problema che esista una società israeliana strutturata in Italia per diffondere notizie false sembra molto più grave, ma viene invece insabbiato e messo in secondo piano, lasciando in primo piano soltanto le false notizie, come se chiunque potesse davvero diffonderle in rete, pur senza mezzi tecnologici di alcun genere.
Abbiamo quindi un attore israeliano strutturato per inondare il Web di false notizie, un secondo attore che utilizza le false notizie per chiederne il blocco, coinvolgendo le persone dal basso e sensibilizzando l’opinione pubblica contro il fenomeno delle bufale in rete.
Cosa manca? Ah si… manca il soggetto con “la soluzione al problema”
No, non manca. La soluzione al problema ce l’ha un tale che si chiama Marco Carrai, italo-israeliano esperto di informatica e grande amico di Matteo Renzi (quello che pagava l’affitto all’ex premier, ricordate?). Lui sta elaborando un software in grado di riconoscere le false notizie. E in parlamento di sicuro non mancheranno coloro che avranno il ditino pronto per proporre leggi con le soluzioni di Carrai.
Tutto molto interessante. Il problema è che l’obiettivo nascosto non è quello di individuare le false notizie del tipo di quella indicata per poi rimuoverle dal web. L’obiettivo è quello di rimuovere dalla rete tutte le notizie che non si allineano con quelle ufficiali.
A questo punto mi pongo una domanda: “Ma quelli che diffondono fake news, per chi lavorano e chi li paga?
di Alba Giusi
Fonte: www.altreinfo.org
***
***