Abbiamo sotto mano la sentenza della Corte di Cassazione n. 7859 del 2018, quindi molto recente. Ricordiamo che le sentenze della Cassazione sono importanti perché rappresentano la cosiddetta “giurisprudenza”, vale a dire sono vere e proprie linee guida che tutti i magistrati sono tenuti ad applicare nei processi in corso.
Un tizio, in aperto dissenso con alcune affermazioni di Cécile Kyenge, l’allora Ministro dell’integrazione, scrive sul suo profilo Facebook quanto segue:
‘Rassegni le dimissioni e se ne torni nella giungla dalla quale è uscita’
Il post criticava le politiche migratorie di Cecile Kyenge ed in particolare quella di
“garantire alla popolazione zingara la possibilità di ottenere una casa del patrimonio immobiliare pubblico, la cittadinanza ed un lavoro”.
L’autore del post metteva ben in evidenza che queste politiche non erano affatto condivise dalla maggioranza degli italiani. La frase sopra riportata – “se ne torni nella giungla” – era quella conclusiva del post.
Naturalmente l’imprudente blogger è stato condannato in primo e secondo grado per istigazione all’odio razziale e costretto a pagare un congruo risarcimento danni a Cecile Kyenge, costituitasi parte civile.
I giudici della Cassazione hanno confermato la sentenza in via definitiva. A detta dei Magistrati:
“Quel che rileva è l’evidente e gratuito giudizio di disvalore espresso (nel post), fondato sull’appartenenza della Kyenge alla razza degli africani di pelle nera, che, secondo l’imputato, ha nella giungla e non nella società civilizzata, il suo habitat naturale, per ragioni storiche ovvero perché assimilabile agli animali, come le scimmie, che vi vivono.”
Quindi, la Cassazione sostiene, a prescindere, che dire a un nero di tornarsene nella giungla sia “istigazione all’odio razziale”, perché nella giungla vivono le scimmie e perché l’insulto non è rivolto alla persona, in questo caso Cecile Kyenge, bensì alla “razza degli africani di pelle nera”. Naturalmente, se lo stesso invito viene fatto a un bianco, il reato di istigazione all’odio razziale non sussiste, in quanto verrebbe a mancare il presupposto fondamentale: avere la pelle nera.
Consigli utili
Non vogliamo immaginare quanto sia costato a quel tizio l’affermazione di cui sopra, oltre alla condanna, le spese processuali, l’avvocato e l’indennizzo a Cecile Kyenge, che finora si è sempre costituita parte civile in tutti i processi che la riguardano. Forse pensava che un post su Facebook sfuggisse alla mannaia delle Razza Magistrato (senza offese), ma così non è stato. Nemmeno Twitter sfugge. E neanche Instagram, whatsapp, disqus, sexychat, yogichat. Se volete dire a qualcuno di tornarsene nella giungla sappiate che ovunque voi siate sarete ritrovati, identificati, processati e condannati.
Cosa fare allora?
Non si può fare molto. E’ inutile che diciate a un nero “ma va a quel paese“, senza specificare meglio a quale paese vi riferite. Potrebbe essere ancora più rischioso che mandarlo direttamente nella giungla. Temo non ci siano soluzioni. Se dovete proprio insultare un nero, respirate profondamente, pensate al vostro conto corrente in banca, a tutto il lavoro che avete dovuto fare per risparmiare quattro euro e state zitti. Se il nero vi dice “bianco di merda” non provateci a ricambiare la cortesia. Lui non può essere razzista, perché nero. Voi invece si, razzisti a prescindere perché bianchi.
Calma e pazienza.
Mi raccomando, lo ripeto ancora una volta. Il reato di “istigazione all’odio razziale” è perseguibile d’ufficio, non occorre querela di parte, quindi andate incontro a processo certo e condanna certa, visti i precedenti. Fate anche attenzione agli sguardi che tradiscono rabbia perché i passanti potrebbero interpretarli come “incitamento all’odio razziale”. Lo sguardo dev’essere sempre rilassato ed è bene abbozzare un sorriso compiaciuto.
Se non ci riuscite provate a pensare che l’uomo o la donna che avete davanti a voi, se proviene da un posto diverso dall’Italia, ha una pelle più scura della vostra o professa una religione diversa dalla religione cattolica, sta sicuramente lavorando duro per pagare la vostra futura pensione. Si tratta di persone socialmente impegnate.
Se proprio volete dire “tornatene nella giungla” a qualcuno ditelo a un conoscente, o andate nei boschi e urlatelo ai quattro venti, oppure chiudetevi nella vostra stanza, mettetevi un cuscino in bocca (potrebbe sentirvi qualche passante nero e denunciarvi) e urlate a squarciagola
“TORNATEVENE TUTTI NELLA GIUNGLA”
Dopodiché bevetevi una tisana rilassante e andate a dormire. Mi raccomando, dev’essere un “tutti” generico, non rivolto ad un’etnia in particolare, altrimenti va a finire che peggiorate la vostra situazione.
Ultimo consiglio. Ai vostri figli piccoli dite che gli africani sono i benvenuti. Sapete come sono i bambini, loro parlano a scuola, raccontano, dicono alle maestre quel che dicono papà e mamma a casa e se quel che dite non è “conforme e allineato col pensiero unico globale” arrivano gli assistenti sociali e vi portano via i figli in quanto voi siete genitori indegni. Quindi, attenzione a quel che fate.
Tutto questo a causa di una legge liberticida, voluta da alcuni, approvata nel 1993, una legge che porta il nome di legge Mancino, scritta da altri però.
di Giorgio Lunardi
Fonte: www.altreinfo.org
PS: Come sempre, alla fine di ogni mio post ci tengo a precisare che io amo tutti i terrestri, soprattutto se hanno la pelle almeno un po’ più scura della mia. Amo i mussulmani, gli ortodossi, i cattolici, gli ebrei, i buddisti, gli induisti ecc. ecc. E amo Cecile Kyenge, naturalmente. A dire il vero, la invidio anche un po’. Lei può querelare a destra e manca un sacco di gente incauta, dalla penna facile, mentre io invece devo lavorare come un nero per sopravvivere.
OPS… “lavorare come un nero” può essere inteso come “istigazione all’odio razziale”? Meglio specificare: lavorare come un nero vuol dire lavorare sodo, lavorare tanto, lavorare duro. E’ un’affermazione positiva.
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