Stavolta però si trattava dei ricordi nebulosi di una festa di liceali ubriachi avvenuta più di trent’anni fa, durante la quale una donna si è sentita minacciata da un ragazzo fradicio d’alcol e non c’è stato sesso, e che oggi avrebbero potuto far escludere un uomo dalla Corte Suprema. La prossima volta cosa sarà? Il fatto di aver chiesto a una massaggiatrice di massaggiarti la coscia «un po’ più su» nel 1993? Una battuta sessuale fatta in ascensore durante l’amministrazione Obama? Un polso afferrato nel 2005? Un’avance indesiderata nel 1976?
Ecco in cosa sembra si stia trasformando il #MeToo: in una caccia agli stronzi, agli sfigati, agli studenti ottusi, ma soprattutto agli uomini di potere bianchi, e la lista delle infrazioni si andava allungando – troppo ubriaco, un po’ aggressivo – in base all’urgenza con cui bisogna spazzarti via. A un certo punto capisci che, se Hillary Clinton fosse stata eletta, il #MeToo forse non sarebbe esistito, perché il punto di tutto è arrivare a Trump: colpire uomini di potere bianchi più accessibili del presidente, che si è dimostrato uno scarafaggio impossibile da uccidere.
Il movimento #MeToo è partito da Hollywood con intenzioni lodevoli: compensi equi, lo smantellamento delle molestie sessuali sistemiche che caratterizzano la città. Hollywood può essere un mondaccio volubile gestito tramite favori sessuali, un divano per i produttori, e uno sgradevole do ut des fra attrici bellissime (e attori) e centri di potere un po’ meno belli. Affermare che lo stupro è del tutto inaccettabile è ottusamente scontato, ma per gli isterici bisogna chiarirlo ad alta voce, nel momento in cui si cominciano a sollevare dubbi sulle nuove percezioni generate dal #MeToo.
Ciò che si è visto succedere a Washington è che il movimento si è trasformato in un’arma politicizzata usata per abbattere un candidato sgradito a una parte, macchiandone la reputazione; si è trattato di un gioco di potere che riproduceva in modo sconvolgente l’atteggiamento di quelle stesse persone che inizialmente si volevano screditare. All’improvviso il #MeToo è parso un movimento autoritario, convinto che non esista altra opinione all’infuori della sua e, cosa ancor più discutibile, che si debba credere a qualsiasi accusa formulata da qualsiasi donna, anche se alcune vicende di rilievo coperte dai media lasciano intendere il contrario: le false accuse di stupro mosse ai giocatori di lacrosse della Duke University, il caso di Jackie Coakley alla University of Virginia e la ragazza del materasso alla Columbia University. Mani allungate, genitali esposti, baci indesiderati sono diventati reati gravissimi, e il giudice Kavanaugh è stato bollato come predatore sessuale e aspirante stupratore sulla base di un’accusa non corroborata, e senza la minima prova.
Le intenzioni iniziali del #MeToo sono insomma degenerate in una caccia alle streghe, volta a spazzar via chiunque faccia parte del patriarcato per malefatte che, molto semplicemente, alla definizione di violenza sessuale, stupro o molestia sistemica non si avvicinano nemmeno.
Le mie sorelle si sono messe a ringhiare, quando gli ho chiesto un parere sull’attuale #MeToo. Una nota scrittrice, ospite del mio podcast, mi ha pregato di chiederle qualsiasi cosa volessi, ma per favore non del #MeToo. La sorella del mio fidanzato – trentadue anni, madre e imprenditrice di successo – pensa che il movimento sia diventato «assurdo», e che anche lei, se solo volesse, potrebbe trasformare una decina di brutte esperienze con gli uomini in episodi da #MeToo. Da madre di una bambina, però, ammette la possibilità che il movimento torni al suo significato originale, l’uguaglianza per le donne, e spera che sua figlia possa evitarsi qualcuna delle seccature che sono toccate a lei con gli uomini. Ma se il #MeToo continua così, sua figlia con gli uomini rischia anche di non fare sesso mai.
di Bret Easton Ellis
Fonte: https://www.vanityfair.it
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