Sulla terza vittoria di seguito del presidente Bielorusso Aleksandr Lukashenko, con l’80% dei voti contro i 6 virgola qualcosa dell’avversaria Svetlana Tikhanovskaja (una Carneade il cui unico merito era di essere la moglie di un candidato finito in prigione per corruzione, naturalmente un “martire” per l’Occidente), c’è poco da dire.
I dittatori del pensiero unico, distruttori del mondo a forza di guerre, sanzioni, fame ed epidemie, coloro che ingabbiano i loro e altrui popoli in una Vergine di Norimberga fatta di menzogne e condizionamento fisico-mentale, quando vince uno fuori dall’ordine da loro costituito o programmato, vince con i brogli ed è un dittatore.
E le proteste che subito vengono innescate e magnificate sono quelle dei democratici. Come nel Venezuela quando Guaidò ci provò con Maduro, o las Damas de Blanco, fidanzate dei fasciomafiosi di Miami, contro Fidel.
Lukashenko, come Vucic di Serbia, ha l’imperdonabile colpa di governare un paese che, situato, come Ucraina, i Baltici, i Balcanici, addosso alla Russia, diversamente dagli altri va per conto suo (anche rispetto a una gelosissima Russia) e non marcia sotto le insegne a stelle e strisce.
Anzi non pratica nemmeno il turbocapitalismo neoliberista e, crimine assoluto, non ha seguito le procedure da Coronavirus, finendo meglio in termini di contagi e decessi, a dispetto di niente lockdown, campionato di calcio con pubblico e parata nazionale con folla. Salvando così l’economia dei suoi piccoli e medi e non finendo con l’affamare il popolo.
Quelli che all’umanità danno esempi del genere (vedi Nicaragua, Svezia, tanti paesi africani, Giappone più o meno) fanno uscire dai gangheri la Vedova Nera.
Le Rivoluzioni colorate
Da Belgrado a Maidan, da Tegucigalpa in Honduras a Deraa in Siria, a Bengasi, a Tehran a Beirut la tecnica si ripete pedissequamente. Prima una grossa provocazione fatta passare per giusta reazione alle malefatte del “regime”, che ponga in fibrillazione e apprensione l’intero paese. Poi, a rinforzo, manifestazioni “popolari” da tempo preparate, armate, rifornite e circondate dal sostegno di media e governi occidentali.
La Serbia messa in ginocchio dalle bombe Nato (e del sinistro D’Alema, invocate dall’ecologo Alex Langer e dall’editorialista del “Foglio”, Adriano Sofri) e, subito, i violenti tumulti di Otpor, specialisti addestrati da generali della CIA.
In Honduras golpe militare con morti e feriti, ordinato da Hillary e Obama, e successiva jacquerie di bande di marginali guidati da un dirigente del Mossad. A Bengasi assalti di sicari islamisti armati a stazioni di polizia, aeroporti, caserme, bombe francesi e poi Nato e mercenariato terrorista in arrivo da Qatar, Tunisi, Colombia, che da Bengasi muove verso Tripoli.
Così a Deraa, cecchini infiltrati in cortei di protesta pacifica che sparano ai manifestanti come ai poliziotti, risposta molto contenuta del governo e, subito, bombe e tagliagole da mezzo mondo fatti passare per “ribelli”. E se non si può innescare l’operazione con le bombe, si applicano sanzioni mostruose che provocano devastazioni sociali, da imputare al governo contro cui scatenare le turbe “pacifiche”.
Il cocktail servito al bar della Vedova Nera: bombe, sanzioni, terrorismo, manifestazioni per la democrazia
Il modo più facile per riconoscerli è l’uniformità degli slogan, l’attrezzatura logistica omogenea e immediata, la violenza estrema e indistinta nella ricerca del caos, lo sfruttamento di rivendicazioni popolari mutate, su ordine della Cupola, in regime change attraverso il depistaggio su obiettivi che i militari chiamano “falsi scopi”.
Immancabili il plauso unanime di tutta la propaganda finto-giornalistica del globalismo, il finanziamento da centrali occulte, ma per niente oscure, tipo Open Society di Soros, Fondazione Ford, Fondazione Rockefeller, National Endowment for Democracy e tante altre.
Si ripete anche il modello della sinergia: attentati-manifestazioni violente, fatte passare per pacifiche e dove la sola violenza è quella della polizia che difende governi sgraditi. E lo sforzo di stornare attenzione e riprovazione dal vero responsabile (perlopiù lo stesso che detta questa strategia) a quello preordinato e da abbattere.
La rivoluzione colorata a Beirut
A Beirut, ripetuti tentativi dell’Occidente, dei sauditi e di Israele di mandare il paese, segmento importante dell’Arco della Resistenza (non solo sciita), a gambe all’aria con mariuoli e spie infiltrati in tutti i gangli dello Stato, governanti corrotti lapidatori delle grandi ricchezze del paese (tipo i due “sauditi” Hariri) e, soprattutto, un’invasione israeliana dopo l’altra, attentati di indubbia matrice finalizzati alla stessa destabilizzazione.
Infine, l’apocalisse del 4 agosto e successiva ripresa dei tumulti dei soliti noti, comandati dalle solite centrali.
Obiettivo, non la riunione di tutte le forze sane e patriottiche del paese a contrastare la cospirazione dalla chiara paternità del perenne carnefice, ma un governo responsabile di non aver sorvegliato 3000 tonnellate di nitrato d’ammonio e di aver così favorito l’immane esplosione del deposito.
Deposito diventato, è ovvio, arsenale di armi Hezbollah, come denunciato tra il 2018 e l’altro giorno, dall’indefettibile Netaniahu. Un governo da annientare e, con esso, ogni presenza politica ed armata di Hezbollah e, quindi, della sua efficacissima rete assistenziale che, finora, aveva risparmiato al paese milioni di morti di fame.
Non per nulla a Macron i tumultuanti hanno chiesto di riprendere il controllo del paese. Proprio come a Hong Kong il ribellismo è tutto in nome di un ritorno del colonialismo britannico e, ora, anche yankee.
di Fulvio Grimaldi
Tratto da: https://fulviogrimaldi.blogspot.com/
***