L’ideologia gender, i diritti degli LGBT e persino la pedofilia vengono sdoganati a causa di una intelligente strategia comunicativa.
Nulla accade a caso…
Il potere più pericoloso – quello trasparente, a cui tutti noi siamo in qualche modo sottomessi e sul quale nessuno di noi ha diretta possibilità d’intervento – si avvale di un supporto scientifico per manipolare e modificare a proprio piacimento i processi di accettazione sociale di fatti e pratiche che prima erano vietati e che si desidera vengano invece accettati per massimizzare il controllo.
Il primo passo consiste inizialmente nella decostruzione e quindi nell’invenzione di un nuovo mondo concettuale, linguisticamente forgiato, cui non fa riscontro alcun dato reale. La seduzione delle parole è potenziata da tecniche specifiche con cui vengono introdotte pratiche e realtà che da uno stadio di radicale non-accettazione vengono poi a trovarsi come socialmente condivisibili, quindi condivise, infine giustificate per legge, senza che l’opinione pubblica abbia coscienza dei meccanismi che hanno prodotto questo mutamento.
L’effetto Dunning–Kruger
Cominciamo con un dato di fatto: l’avvento dei social network ha diffuso un po’ ovunque la convinzione (o meglio l’illusione) sociale di essere competenti sui temi più disparati: dalle tecnologie energetiche ai problemi politici più complessi, dalle questioni economiche più complicate fino ai dibattiti di natura bioetica, per definizione da affrontare sempre con la massima conoscenza, competenza e cautela possibili.
Nella piazza virtuale ci sentiamo oggi tutti in grado di dire la nostra, direttamente e pubblicamente, influenzando così in un modo o nell’altro un numero indefinito di lettori, per lo più sconosciuti, che nulla o quasi possono sapere sulle nostre reali conoscenze e abilità, senza essere riconosciuti come opinion leader. E’ interessante ricordare a questo proposito che c’è un intero filone di ricerca, rappresentato da autori come E. Katz, B. Berelson, P.F. Lazarsfeld, che ha studiato l’atteggiamento degli elettori e l’influenza esercitata su di essi dai mass media e dai rapporti interpersonali ed è emerso che la presunta capacità persuasoria dei media non è diretta, ma mediata da individui riconosciuti come opinion leaders, cioè persone ritenute punti di riferimento relativamente a questioni specifiche.
I messaggi veicolati dai mass media verrebbero quindi recepiti da questi gruppi e solo successivamente da essi stessi diffusi tramite relazioni interpersonali. Un elemento non trascurabile è dato dal fatto che oggi la figura dell’opinion leader appare frammentata, depotenziata ma al contempo moltiplicata in tanti piani quanti sono quelli di scrittura e di ascolto dei discorsi che vengono registrati. Nessuno – o quasi – conosce le reali competenze di chi scrive e sempre più raramente riusciamo a distinguere fonti autorevoli da semplici blog personali che siano ben fatti: sia perché l’autorevolezza delle fonti storiche è diminuita, sia perché la capacità di cogliere e rappresentare informazioni da parte delle voci minori è aumentata, rendendo così il panorama della comunicazione mediatica più intricato e labirintico di quanto non avvenisse in passato.
Secondo il nostro approccio da una parte si deve ridimensionare la portata direttamente persuasoria e conseguentemente manipolatoria dei mezzi di comunicazione di massa, sottolineando come tali mezzi non possano essere considerati gli unici diretti responsabili dei comportamenti collettivi, dall’altra si deve porre attenzione sul fatto che il medium tecnologico, il canale comunicativo più utilizzato ai nostri giorni, predispone di per sé in modo quasi automatico ad un’influenza e spesso ad un condizionamento che non si erano mai registrati in passato. Questo, proprio a partire da un fenomeno relativamente recente, strettamente legato alla natura del medium comunicativo della rete.
Fenomeno che ha un nome, anzi due cognomi: Dunning e Kruger.
L’effetto Dunning–Kruger, in breve, consiste in un deficit o distorsione cognitiva in base alla quale gli individui – anche i più incompetenti – tendono a sopravvalutarsi. Più non si conosce la materia di cui si vuole parlare meno si è consapevoli dei propri limiti e dei propri errori. Paradossalmente, il possesso di una reale competenza spesso finisce col sortire l’effetto inverso: eccessiva problematizzazione, cautela, fino alla mancata percezione della propria reale competenza ed una conseguente diminuzione della fiducia in sé stessi. Fino al punto di tacere di fronte agli errori più grossolani ed evidenti dei propri interlocutori.
Dunque: in un mondo (virtuale) dove tutti sono editori e pubblicisti (ma nessuno sa dire se e quanto siamo effettivamente abilitati a sentenziare nei dibattiti più diversi), in un mondo in cui tutti scrivono ma sempre meno sanno comprendere o addirittura leggere ciò che viene pubblicato, la percezione generale è quella di essere più competenti di quanto in effetti non siamo.
Ricordiamo en passant che secondo i dati OCSE del 2013, per un’indagine svolta nel periodo 2011-2012, 1 italiano su 5 sarebbe analfabeta funzionale, contro la media internazionale di 1 su 10 o su 20. Il dato è rilevante e concordante con un fatto indiscutibile: si tende a credere a tutto quello che stampa, tv, internet ci dicono, per il solo fatto che viene detto attraverso questi media. Dopo sessant’anni di tv spazzatura, sapientemente instillata nelle case dei cittadini, unitamente al depotenziamento cognitivo portato avanti dall’istruzione (scuola di massa, nel senso deteriore del termine), ci ritroviamo oggi in uno stato che definire precario sarebbe fin troppo ottimistico.
Il relativismo etico dilagante, in fondo, nasce proprio qui: dall’incapacità di discriminare, di differenziare, di comprendere e di ragionare fermandosi supinamente molto al di sotto di quel livello che Martin Heidegger stigmatizzava come mera “chiacchiera”. Ma non solo si tende ad accettare per vero ciò che dicono le fonti più riconosciute: per il principio Dunning-Kruger si tende a classificare le fonti e le posizioni espresse in base a competenze che spesso non abbiamo, esprimendo giudizi per lo più totalmente infondati. Questi giudizi, una volta espressi, possono potenzialmente fare il giro del mondo e trovare un certo numero di seguaci. “Il numero degli stolti è infinito“, è scritto nell’Ecclesiaste.
Tralasciando in questa sede i motivi (pur interessantissimi) di questa dinamica, il primo dato che vorrei sottolineare è – in sintesi – che in generale abbiamo una distorta percezione del nostro grado di competenza e più siamo incompetenti più la percezione è distorta.
Ma andiamo avanti.
È di qualche giorno fa (solo per citare l’ ultima o una delle ultime) la notizia che in Olanda, uno dei paesi del Nord Europa che il cittadino medio guarda con ammirazione, presto nascerà un bambino con cinque genitori. Forse sei. Biologicamente – quindi realmente – un evento impossibile. Ma si sa: nel mondo umano tutto è interpretazione (“Non esistono fatti, ma solo interpretazioni”, sentenziava profetico il vecchio Nietzsche – affermazione contenuta nei frammenti postumi, ma tesi sviluppata già a partire da “Su verità e menzogna in senso extramorale” e in “Umano, troppo umano”) e il possibile diventa reale. In sostanza una coppia di lesbiche e una terna di omosessuali hanno trovato lo stratagemma per allevare ed educare tutti e cinque – a norma di legge – il bambino che nascerà da una delle due donne. Il nascituro si troverà quindi, piaccia o meno, con cinque figure genitoriali. Secondo la vulgata comune: due mamme e tre padri.
Ora, a parte la notizia inconcepibile, indice di sicuro malessere psicologico dei cinque, dobbiamo registrare altri due dati, ancora più sconcertanti:
- glielo hanno fatto fare. Alla luce del sole, come se niente fosse;
- sul caso si è scatenata non la polizia, non gli psichiatri con tanto di camicie di forza alla mano, bensì il “dibattito”.Ne stiamo discutendo. Voglio dire: ci sono persone (non poche) che trovano il fatto del tutto normale ed altre, a partire dal sottoscritto, impegnate a mostrare come si tratti di totale, profonda, oscura follia.
Ora la domanda è: come siamo arrivati a questo punto?
Ce lo spiegano due grandi studiosi: Joseph Overton e Noam Chomsky, di cui si parlerà in un prossimo articolo.
(continua)
Alessandro Benigni
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