Una vita da Gay, tra desolazione e solitudine. Maurizio Blondet - www.altreinfo.org

Una vita da Gay, tra desolazione e solitudine. Maurizio Blondet

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I gay soffrono di invincibile, tragica, squallida solitudine. E tutto questo, ormai, non è più – come credono i militanti – a causa dei “pregiudizi” e della “repressione” che subiscono nella società. Ormai, l’accettazione sociale delle coppie omosessuali è diffusa; anche i genitori li accettano; possono esibire la loro “preferenza”, andare alle loro feste, godere della massima libertà di vita. Eppure:

“un tempo il tipico carattere del maschio gay era la solitudine che veniva dal nascondersi. Ma oggi abbiamo milioni di maschi gay usciti allo scoperto, eppure sentono lo stesso isolamento”, dice Travis Salway un ricercatore del Canadian Center for Disease Control  che da cinque anni cerca di capire come prevenire l’altissimo tasso di suicidi. Ne parla a Michael Hobbes, un giornalista di Huffington Post, un gay di 34  anni; il quale ha l’intelligenza e la sensibilità di porre a sé stesso, ed agli altri  della comunità, la domanda: come mai sono ancora così infelice, nonostante sia libero e accettato?

gay solitudine e isolamento

Da leggere il suo ben documentato, dolorosamente sincero articolo sulla “Epidemic of Gay Solitude” titolo “Together Alone” – “Soli anche insieme”:

http://highline.huffingtonpost.com/articles/en/gay-loneliness/

“Paul”, uno di quelli che intervista, racconta quando fece “coming out”,  a 17 anni, cercò  i primi amici nella comunità gay. “Non ho trovato un posto per me nella scena gay. Volevo innamorarmi come le coppie etero fanno al cinema. Ma mi sono sentito trattato come un pezzo di carne. Ho avuto persino paura di percorrere quella strada dei gay”.

“Esci dalla casa di mamma e approdi in un club gay dove i più sono sotto droga, e ti dici: è questa la mia comunità? E’ come la fottuta giungla là fuori”.

“Tu cresci con tutta la solitudine addosso, poi arrivi a Castro o Chelsea a Booystown [quartieri con locali queer] credendo che sarai finalmente accettato per quel che sei, e scopri  di colpo che non è per la tua omosessualità che vieni rifiutato; ma per il tuo peso, la tua razza, il tuo reddito”.

L’ambiente “gay” è tutt’altro che solidale: è spietato. Nelle loro “feste” e party e incontri, i gay si odiano, si offendono, si vilipendono, si dilaniano.

I maschi gay non sono davvero carini l’uno con l’altro”, conferma John, guida turistica di New York. “Nella cultura pop, le drag queen sono famose per far abbassare la cresta e deridere. Ma la cattiveria è quasi patologica. Tutti noi siamo stati profondamente a disagio, o abbiamo mentito a noi stesi, durante la nostra adolescenza. Ma non lo mostriamo agli altri. Così mostriamo agli altri gay quello che il mondo mostra a noi, ossia la malignità”.

“Una volta arrivo ad un appuntamento [per un incontro sessuale] – ricorda Michael Hobbes, il giornalista – e immediatamente il tizio si alza, mi dice: “Sei più basso di quello che sembravi nella foto”, e se ne va. Alex, un insegnante di ginnastica, si è sentito dire da un compagno: “Ignorerò la tua faccia se mi scopi senza il condom”. Martin, un inglese che vive a Portland, aveva messo su forse cinque chili,  e dal suo amante ha ricevuto un messaggio, a Natale: “Una volta eri sexy, che schifo sei adesso”. “Tutti quelli che conosco hanno nella memoria volumi di ricordi di quelle cose cattive che altri gay hanno detto e fatto loro”.

E riflette: “Per altri gruppi  minoritari, vivere in una comunità di gente come loro – fra negri per esempio o ebrei – abbassa i livelli di ansia e depressione. Ci si sente vicini a persone che istintivamente ti capiscono. Per noi invece, l’effetto è l’opposto. Molti studi hanno dimostrato che vivere in un quartiere gay comporta più alti tassi di tossicodipendenza e sesso a rischio…anche le relazioni romantiche sono meno soddisfacenti”.

“I maschi gay e bisessuali confessano che la comunità gay è una grave fonte di  stress. La ragione è che la “discriminazione intra-gruppo” danneggia la loro psiche più che essere rifiutati da membri della maggioranza. Non hai bisogno dell’approvazione di quelli. Ma essere rifiutato e umiliato da altri omo è come perdere il solo modo di avere amici e di trovare amore. Essere messo da parte dalla tua gente ti fa più male.

Gli studi condotti dal professor John Pachankis, della Yale Public Health Institute, hanno trovato una “spiegazione” (se così si può dire) paradossale: i sodomiti in gruppo si comportano malignamente gli uni con gli altri, perché sono tutti maschi; e vogliono sovrastare gli altri con la loro mascolinità. “Ciò spiega lo stigma contro gli effeminati nella comunità gay”. Dunque gli omosessuali scherniscono e disprezzano le “femmine” tra loro? Nelle indagini, “i maschi gay dicono che vogliono mettersi con uno mascolino, e che vorrebbero agire in modo più maschile loro stessi”. E come mai?

Risposta: “Forse è omofobia interiorizzata: i gay effeminati sono ancora trattati come “culi” [bottoms], il partner ricevente nel sesso anale”.

I gay cercano maschilità. Ma cercare maschilità è in sé un tratto femminile…

I gay cercano maschilità. Ma cercare maschilità è in sé un tratto femminile…

I gay “maschi” scherniscono le “femmine”

Dunque: non in Italia dove l’Arcy-Gay garantisce la sanità, normalità psichica e felicità degli omo, ma nell’America super-liberata, gli omo “maschi”  insultano le “femmine”.  Non è poi così strano, dicono gli studi condotti nel 2015: nel loro immaginario erotico, sognano rapporti con un maschio-maschio, possibilmente irsuto. Ovviamente non ne trova poi tanti nell’ambiente (purtroppo i maschi villosi e rudi sono per lo più etero), da qui la continua insoddisfazione nei rapporti sessuali, il disprezzo; e inoltre, per aumentare il proprio sex-appeal nell’ambiente, “ostentano maschilità”. Lo confessa uno degli intervistati, “Martin”: “Quando ho fatto coming out, ero troppo magro e delicato, tanto che temevo che i “culi” potessero pensare che ero una di loro. Per cui ho cominciato a fingere tutto quel mio comportamento iper-mascolino. Ancor oggi quando ordino un drink abbasso di un’ottava  la mia voce”.

“Il senso di distanza dagli altri non andava via”, dice un altro, “così l’ho curato col sesso. Un sacco di sesso, la risorsa più abbondante nella comunità  gay. Ti convinci che se fai sesso con qualcuno, hai un momento di intimità. Era una stampella.…a volte con due o tre tizi alla volta. Appena chiudevo la porta sull’ultimo tipo, pensavo: questo non ha fatto centro, proverò con un altro”.

I gay femminili sono a rischio di suicidio ancora più alto degli altri, perché vengono trattati con il disprezzo e lo scherno più insultante, dopo il rapporto sessuale, dai “maschi”.

Una certa idea maschio. Virilità sconosciuta.

Una certa idea maschio. Virilità sconosciuta.

“Elder, il ricercatore di stress post-traumatico, in una indagine del 2015 ha scoperto che il 90 per cento di noi hanno detto che volevano un partner che fosse: alto, giovane, bianco, muscoloso e mascolino. Per la maggior parte di noi che a malapena adempiono ad uno di questi criteri, e non parliamo di tutti i cinque, le occasioni d’incontro via social app forniscono solo il modo  più efficiente per sentirci brutti”, dice il giornalista.  La malvagità e crudeltà con cui i gay si rigettano l’un l’altro mentre si “usano” è parte di un comportamento che essi credono “maschio” (si sa, i maschioni sono bruti); mentre ignorando tutto della virilità, non sanno che nessun uomo al primo appuntamento con una donna le direbbe mai: “Sei bassa, ti credevo più alta”, e se ne va. Ignorano che la virilità conosce la gentilezza, può permettersi di essere educata e cortese senza avere il complesso di essere vista come “effeminata”.

“Viviamo attraverso gli occhi degli altri”, dice Alan Down, psicologo, autore di Velvet Rage, un libro sulla “lotta dei gay contro la vergogna e la validazione sociale”: “Vogliamo avere uomo dopo uomo, più muscoli, più “status” [fra gli altri sodomiti], qualunque cosa ci dia più conferma di noi stessi, sempre fuggevole e breve. Poi ci svegliamo a 40 anni, esausti, e ci chiediamo: è tutto qui? Allora viene la depressione”:

Un inferno di spietata sopraffazione

Che non è colpa della “società etero”, ma di come i gay vecchi sono trattati dai giovani gay: loro non hanno remore politicamente corrette per annichilire quelle che chiamano “vecchie checche”, che si tingono e implorano un po’ di sesso”. Va via, brutto e rugoso, eccetera.

Il giornalista Hobbes ha l’onestà di concludere: anni fa, “ci dicevamo: appena passa l’epidemia di AIDS, la nostra vita diventa normale. Poi: quando avremo il matrimonio, tutto si sistema. Ora: quando obbligheremo gli altri a smettere di giudicarci male, tutto andrà a posto. Continuiamo ad aspettare il momento quando sentiremo che non siamo diversi dall’altra gente. Ma il fatto è che siamo diversi. E’ ora di accettarlo”.

Consiglio di leggere l’intero lunghissimo articolo, per avere un’idea della infelicità e sofferenza dell’essere “allegro”.  La vita dei gay è un inferno  patologico, un inferno che in gran parte si procurano l’un l’altro schernendosi, giudicandosi e disprezzandosi, dominandosi e dilaniandosi, senza un’ombra di pietà e di comprensione. Ora, se qualcuno di loro decide di tentare di uscire da questo inferno, l’Arci Gay poliziescamente sorveglia che ciò non avvenga, censura i manifestini che la propongono, denuncia il medico che li ha affissi (e non ha “imposto” nulla, solo silenziosamente proposto). Che dire di questo atteggiamento? Nell’aldilà, insegnavano i vecchi parroci, le anime dannate che si scherniscono e deridono mentre urlano di dolore, non vogliono che si preghi per la loro salvezza; aumenta soltanto la loro sofferenza. Ma qui, dall’inferno si può uscire. Solo che Arci non vuole.

 

di Maurizio Blondet

Fonte: maurizioblondet.it

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