Nella storia, si sa, le idee susseguono continuamente; il metodo scientifico suggerirebbe di abbandonare quelle che via via si dimostrano irragionevoli o incomplete in favore di quelle più aderenti al vero. Nella disciplina economica vige invece un sapere a senso unico teso a interpretare i fenomeni economici alla stregua di forze naturali che obbediscono a leggi fisiche fuori dal controllo umano.
Lo spread, la borsa, i tassi d’interesse, i prezzi, la disoccupazione, sembrano tutti muoversi indipendentemente dalla volontà umana e quindi l’economista, come semplice spettatore, dovrebbe limitarsi a riportare i fatti. Ogni responsabilità è poi ricondotta sempre alla stessa entità impersonale e apparentemente autonoma: il Mercato. Tuttavia, come già aveva capito Marx, quando si tenta di spiegare una determinata istituzione sociale (quale il mercato) per mezzo d’interpretazioni naturalistiche, si produce solo ideologia e nel caso del libero mercato, si determina anche una particolare forma di alienazione. Interpretando il mercato come un meccanismo “naturale”, infatti, l’Uomo non riesce più a riconoscerne gli esiti come il risultato preciso della sua prassi.
Oggi, nonostante i continui proclami e la strenua difesa del “mondo libero” da parte degli economisti occidentali, in economia è ammesso un unico pensiero: l’economia di mercato. Il pluralismo nel pensiero economico è accettato solo nella misura in cui si resti all’interno del recinto del libero mercato, fuori da lì è quasi impossibile pubblicare sulle riviste scientifiche e si è vittime spesso dell’ironia quando non di vero e proprio ostracismo da parte dei colleghi.
Come hanno ammesso due docenti che ho conosciuto durante il mio corso di studi, in due momenti diversi, il pensiero dominante si è così radicato che, ormai, per riuscire a pubblicare sulle riviste “scientifiche”, si devono indagare gli aspetti più di nicchia e marginali, perché le “leggi” generali dell’economia sarebbero state tutte “scoperte” e quindi non ci sarebbe più nulla da studiare. Inoltre, anche il mio ateneo, come la gran parte di quelli italiani ed europei, ha fatto la scelta di campo di insegnare agli studenti soltanto il paradigma neoclassico, ossia l’economia di mercato più liberista, ostacolando così le matricole alla comprensione che il mercato è solo una istituzione economica tra quelle possibili, e non l’unica.
Come fa il pensiero unico a imporsi con tanta efficacia in paesi che almeno ufficialmente ammettono la libertà di stampa e di opinione nei loro ordinamenti? Semplice: ciò che oggi la violenza politica non può più fare, è invece permesso alla violenza economica. Tutti i governi italiani (e non solo) degli ultimi anni, indistintamente dal colore politico, hanno tagliato i fondi alla ricerca; i finanziamenti pubblici e privati per singoli progetti di ricerca sono vincolati a temi sempre ascrivibili all’interno degli schemi del libero mercato; infine la stragrande maggioranza dei finanziamenti privati ai centri di ricerca, alle riviste scientifiche e alle università private sono direttamente stanziati da enti non-profit direttamente ricollegabili al grande Capitale.
Il mainstream economico moderno tuttavia non è nato ieri, ma affonda le sue prime radici negli anni ’70. In questo periodo, quando negli atenei s’insegnavano ancora contemporaneamente i principi delle economie di mercato, delle economie miste sino a quelli delle economie di piano, fondazioni e Think Tank, finanziati dalla classe imprenditoriale americana, hanno iniziato a lavorare incessantemente per cambiare il pensiero economico dominante e portare al governo nuovi soggetti politici finalmente docili agli interessi del business. Le fondazioni nascono da una donazione e perseguono scopi culturali (coerenti con le aspirazioni del donatore!); i Think Tank sono costituiti da professori che non devono insegnare a studenti ma svolgono solo il ruolo di ricerca e vengono finanziati attraverso donazioni individuali o delle fondazioni stesse. Think Tank e fondazioni raccolgono miliardi di dollari da donatori facoltosi delle destre economiche e arruolano i cervelli più brillanti, li indottrinano di sapere a senso unico, li forniscono di attestati prestigiosi, e infine li immettono nel sistema di comando della società in modo capillare.
Il fenomeno dei Think Tanks è relativamente giovane; il 90.5% è stato creato dopo il 1951 [1]. Tra le prime Think Tanks e fondazioni ci sono: l’Heritage Foundation (1973), il Manhattan Institute (1978), il Cato Institute (1977), e l’Accuracy in Academe (1985) [2]. Queste sono le organizzazioni intellettuali che a ridosso degli anni ’70 hanno cominciato a diffondere le note ricette economiche ultra-liberiste: abbassare le tutele dei lavoratori; aumentare la concorrenza e la competitività; privatizzare e deregolamentare i settori produttivi, il mercato del lavoro e i mercati finanziari; tenere bassa l’inflazione; esportare più di ciò che si importa; garantire la libertà di circolazione dei capitali; ridurre la spesa pubblica; abbassare le tasse sui ricchi e il “costo del lavoro”(=salari).
Si pensi che nei soli Stati Uniti dal 1980 ad oggi, i Think Tank sono più che raddoppiati. Inoltre, sempre in USA, ci sono il doppio dei Think Tank conservatori rispetto a quelli definiti liberal (i “progressisti”). Considerando poi, che anche i Think Tank liberal, pur non essendo liberisti, non mettono comunque mai in discussione l’istituzione del libero mercato, di Think Tank favorevoli a un cambio delle “regole del gioco” in cui i lavoratori diventino i protagonisti dello sviluppo della società, praticamente non ne esistono [3].
Infine, se si conta che in Nord America ci sono 1989 Think Tank dei quali 1830 solo negli Stati Uniti, che in Europa ce ne sono altri 1822, e che insieme contano quasi il 60% di tutti quelli esistenti al mondo, ci si rende conto facilmente che la maggior parte della produzione mondiale del pensiero socio-economico è una diretta emanazione degli interessi capitalistici della NATO. Infine, per smontare definitivamente il mito del “pluralismo” nelle società occidentali, riporto che è stato recentemente calcolato che negli Stati uniti, circa un quarto dei Think Tank hanno sede a Washington DC; possiamo solo immaginare quale pressione esercitino queste fabbriche del pensiero sul governo e sui cittadini in generale.
La sproporzione rispetto alle organizzazioni rappresentative i lavoratori è enorme; per ogni dollaro speso in attività di lobbying dai sindacati e dai gruppi di interesse pubblico messi insieme, le grandi imprese e le loro associazioni spendono 34 dollari.
Elenchiamo di seguito solo alcuni dei principali Think Tanks e fondazioni per rendere l’idea dell’arsenale che hanno a loro disposizione per “divulgare” democraticamente le loro “opinioni”: American Enterprise Institute, Cato Inst., Heritage Foundation, Olin Found., Volker Found., Atlas Found., Coors Found., Rochefeller Found., Acton Institute, Washington Policy Center, Manhattan Institute for Policy Research; in Gran Bretagna, Adam Smith Institute, Institute of Economic Affairs, Stockholm Network, Bruges Group, International Policy Network; in Francia, Association pour la Liberté Economique, Eurolibnetwork, Institut de Formation Politique; in Italia, CUOA, Adam Smith Society, Istituto Bruno Leoni, Acton Italia, Arel, CMSS, Nomisma, Prometeia; in Germania: Institut fuer Wirtschaftsforschung Halle, Institut fuer Weltwirtschaft, Institut der Deutschen Wirtschaft Köln. E praticamente in tutto il mondo la Mont Pelerin Society.
I membri della lobby dell’Adam Smith Institute non sbagliano quando dichiarano con un certo orgoglio e non poca arroganza che: “Solo ieri le nostre idee erano considerate sulla soglia della follia. Oggi stanno sulle soglie dei Parlamenti” [4].
In un tempo in cui 8 paperoni possiedono più della ricchezza dei 3,5 miliardi di persone più povere della Terra, dove 3 miliardi di persone hanno una speranza di vita inferiore ai 50 anni per le condizioni di vita in cui sono costrette, dove 300.000 bambini ogni giorno muoiono di malattie per cui esiste una cura, dove disoccupazione e precariato colpiscono una persona su 3 pure nei paesi ricchi, insistere ostinatamente sull’economia di mercato perseguitando gli “eretici”, è una forma di fanatismo religioso. In nome del Mercato si compiono veri e propri sacrifici di popoli, Grecia in testa, si ribaltano governi legittimi, si dilapida il patrimonio pubblico e naturalistico delle nazioni del Terzo Mondo su pressione di FMI e BM; l’unico vero terrorismo mondiale è il fondamentalismo di mercato!
Oggi più che mai abbiamo bisogno di economisti coraggiosi che mettano gli economisti classici con le spalle al muro di fronte ai fallimenti delle loro teorie. Oggi abbiamo bisogno di economisti capaci di ripensare al problema economico con categorie nuove: impresa democratica, condivisione delle risorse e programmazione dello sviluppo economico, potrebbero rappresentare il tridente d’oro dell’Offensiva intellettuale e politica alla violenza economica del Mercato.
Lancio un appello a tutti gli economisti d’Italia, d’Europa, del Mondo, in particolare ai più giovani: insorgiamo uniti contro la tirannide del paradigma neoclassico, dedichiamo i nostri sforzi intellettuali a costruire una teoria per un’economia di comunione!
di Simone Lombardini
https://alternativanordovest.wordpress.com
[1] James G. McGann, 2014 Global Go to Think Tanks Index Report, University of Pennsylvania, 3 gennaio 2015.
[2] Paolo Barnard, Il più grande Crimine.
[3] The Center for Media Democracy, Think Tanks.
[4] Lee Drutman, “How Corporate Lobbyists Conquered American Democracy”, The Atlantic, 20 aprile 2015.
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