Diminuire l’orario di lavoro, a parità di salario, per creare nuova occupazione e rilanciare il PIL. Ma che bella idea! Alberto Rovis
Diminuire l’orario di lavoro, a parità di salario per creare nuova occupazione e rilanciare il PIL? Ottima idea, non nuova, ma sempre verde. Fa un certo effetto solo sentirne parlare. Sembra quasi l’uovo di Colombo.
Ma è realizzabile, si può davvero fare?
Certo che si può fare. Tutto si può fare. Vediamo però con quali conseguenze. La proposta non riguarda specifici settori produttivi, ma è generalista. Si applica quindi a tutto il tessuto produttivo. E non potrebbe essere diversamente.
Facciamo un’analisi causa effetto, facendo riferimento al contesto economico italiano nel suo insieme.
Effetti attesi di una diminuzione dell’orario di lavoro
Una diminuzione dell’orario di lavoro comporta per le imprese la necessità di assumere più personale per far fronte in questo modo alle normali esigenze produttive. Questo genera per forza nuova occupazione. Ne deriva che i nuovi occupati pagheranno le imposte sul reddito con un sensibile miglioramento delle entrate tributarie.
Si avrà anche un miglioramento del PIL, grazie alla domanda di beni e servizi generata dai nuovi occupati. L’effetto combinato dell’aumento delle entrate tributarie e dell’aumento del PIL comporterà un miglioramento del rapporto Debito/PIL, riportando l’Italia velocemente in linea con i parametri stabiliti dagli accordi europei.
Effetti collaterali della diminuzione dell’orario di lavoro
La proposta è rivoluzionaria, ma purtroppo ci sono degli “effetti collaterali“, se così vogliamo chiamarli, che è meglio analizzare prima di metterla in atto e non dopo, quando sarebbe ormai troppo tardi per porvi rimedio.
Le imprese italiane sono inserite in un contesto globale in cui vige il libero mercato. Molte imprese, in primis quelle più deboli, non riusciranno a far fronte ai nuovi costi generati da questo provvedimento, anche perché riguarderebbe soltanto l’Italia e non il resto del mondo. Ne consegue che queste imprese, cosiddette “deboli”, andranno fuori mercato.
Con ogni probabilità gran parte delle imprese più esposte alla concorrenza internazionale, dovranno chiudere battenti o trasferirsi all’estero, lì dove politiche di questo tipo non esistono.
Molti italiani rimarranno senza lavoro e questo comporterà una diminuzione degli occupati con conseguente diminuzione delle entrate tributarie e del PIL. Effetto contrario a quello che si voleva ottenere.
Inflazione ed altri effetti collaterali
Le imprese che non devono confrontarsi a livello globale, potranno invece assumere nuovo personale. A parità di produzione, dovranno però aumentare i prezzi per compensare in questo modo i maggiori costi del personale. E’ inevitabile che si verifichi un fenomeno inflazionistico abbastanza intenso, dell’ordine del 5 – 6%, e che questo aumento generale dei prezzi provochi una diminuzione del salario reale dei lavoratori.
Qui si genera anche un altro problema, non marginale. Le imprese che operano nel settore turistico dovranno aumentare i prezzi e questo, tenendo conto anche della perdita di potere d’acquisto generata dall’inflazione, farà diminuire i flussi turistici provenienti dall’interno e dall’estero. Ne risentirà tutta l’economia italiana, che invece ha assoluto bisogno di intensificare i flussi turistici provenienti dall’estero.
Come andrà a finire allora?
Molto probabilmente il tessuto produttivo manifatturiero italiano, oggi ridotto del 30% rispetto al 2009, subirà un ulteriore tracollo. Questa volta però sarà un tracollo definitivo. L’Italia verrà semplicemente cancellata dal contesto commerciale internazionale, con conseguenze devastanti per la sua economia, in quanto la domanda che proviene dall’estero è fondamentale per far decollare la crescita.
Diminuire l’orario di lavoro, a parità di salario, non è realistico.
Speriamo che a nessuno venga in mente di realizzare un simile progetto. Se così non fosse, è bene che altri 500 mila giovani italiani incomincino a preparare le valigie per trasferirsi definitivamente all’estero.
Ci vogliono altre idee.
di Alberto Rovis
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