La lobby della deflazione non fa prigionieri. Comidad - www.altreinfo.org

La lobby della deflazione non fa prigionieri. Comidad

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A chiacchiere tutti (tranne i mistici cultori della “decrescita”) si dichiarano per lo sviluppo economico. All’inizio di quest’anno ha fatto un certo scalpore la lettera di Larry Fink, il superboss di BlackRock, ai vertici aziendali; una lettera in cui si auspicava un ruolo più “sociale” della finanza. In realtà se un fondo d’investimento come BlackRock ha potuto acquisire in questi anni un ruolo preminente persino rispetto a quello dei tradizionali colossi bancari, è stato proprio a causa del lungo periodo di recessione e deflazione.

Nel complesso tutta la finanza è a favore della deflazione, poiché vede, anche in una minima inflazione, una minaccia al valore dei crediti. Lo sviluppo economico comporta inevitabilmente un aumento dell’occupazione, con l’ineluttabile aumento della domanda di beni di consumo, di conseguenza almeno un po’ di inflazione. Ciò spiega le direttive di “austerità” apparentemente illogiche della centrale operativa della lobby della deflazione: il Fondo Monetario Internazionale. È solo la disoccupazione infatti a poter garantire l’assenza di inflazione e quindi a preservare il valore dei crediti.

Per le banche però la deflazione ha anche delle controindicazioni, non solo perché in recessione economica le piccole imprese falliscono e non possono ripagare i debiti alle banche. Uno dei più grandi business bancari di questo periodo è infatti il credito ai consumi, per il quale vanno sì benissimo i bassi salari, in quanto costringono i lavoratori a indebitarsi per consumare; ma non va sempre bene l’esclusione totale dal reddito di crescenti fasce di popolazione. In questo senso misure affini al reddito di cittadinanza vanno a favore delle banche, poiché sono utili a rilanciare non solo i consumi ma anche il credito ai consumi.

I fondi di investimento invece di questi inconvenienti non ne hanno avuti, anzi la recessione economica li ha miracolati, poiché la deflazione ha reso inossidabili nel tempo i loro crediti in titoli di Stato. La deflazione è il paradiso dei creditori e l’inferno dei debitori e dei salariati. Anche se il nucleo più “hard” della lobby della deflazione è costituito dai fondi di investimento, si può dire che tutta la finanza ne faccia parte, in quanto per ogni finanziere il maggior nemico rimane comunque l’inflazione. Le monete uniche sono poi l’optimum per i finanzieri, da sempre ossessionati dal timore di essere ripagati per i loro crediti in monete svalutate. La dura condizione imposta dall’euro ha spinto molti ad idealizzare il passato della “liretta”, con le sue mitiche “svalutazioni competitive”.

In realtà le svalutazioni della lira avvenivano di fatto ed i governi si limitavano a prenderne atto; ma non sempre. Il passato della “liretta” è stato soprattutto pieno di strenue difese della lira, non solo quella di Mussolini nel 1926, ma anche le difese “democratiche”, nel 1964, nel 1976 e nel 1992. Le “difese della lira” non erano altro che deflazionistiche difese degli interessi dei creditori dell’Italia.

Ma la pressione delle sole lobby finanziarie non sarebbe stata sufficiente ad istituire e preservare l’euro. Attorno alla nascita dell’euro sono fiorite le più colorite narrazioni (la più spassosa è quella del tentativo francese di indebolire la Germania togliendole il marco); ma alla fine il fattore davvero determinante è stato quello strategico-militare, cioè la NATO. La deflazione è diventata arma da guerra.

Dopo la caduta del Muro di Berlino per la NATO (o, meglio, per i suoi padroni statunitensi) la questione urgente era diventata quella di impedire l’integrazione economica della Russia con l’Europa. Il processo di adesione alla moneta unica costrinse tutti gli Stati europei a politiche restrittive di bilancio che rallentarono la crescita economica. Per le materie prime russe quindi il mercato si restrinse e gli incassi per la Russia crollarono. In effetti alla fine degli anni ’90, l’euro, sebbene ancora non ufficialmente partito, aveva già ottenuto il suo bell’effetto strategico-militare, riducendo la Russia di Eltsin alla bancarotta.

Tuttora l’euro è un’arma contro la Russia e sono state le esigenze militari della NATO a salvare l’euro dopo il 2011. È chiaro che l’euro non è eterno, che sono probabilmente già in atto trattative riservate per liquidarlo e sostituirlo con altri strumenti deflazionistici; ma nessuna nuova soluzione reggerebbe senza una sponda nella NATO e nel Pentagono. Se non ci fossero gli uomini in uniforme militare a cambiargli regolarmente il pannolone, i banchieri annegherebbero nei propri escrementi.

Una differenza con il passato è che oggi Putin è demonizzato dai media occidentali, mentre Eltsin era osannato. Il lato curioso è che, sebbene Eltsin fosse un idolo per i media occidentali, che plaudivano alle sue “riforme economiche” (chiudendo un occhio sulle sue cannonate, tutt’altro che metaforiche contro il parlamento), il trattamento per la Russia era simile.

È stata la sorte anche di altri idoli dei media, come Mario Monti, che nel 2012 veniva più volte declassato dalle agenzie di rating, nonostante le sue politiche di “salvataggio”. Per l’Italia di Monti arrendersi ai “Mercati” era stato inutile, perché la lobby della deflazione non fa prigionieri. Quando si è trovato il pollo da spennare, non lo si molla. Nonostante la bilancia dei pagamenti italiana tornasse in attivo a causa del crollo della domanda interna, lo spread sul debito pubblico andava alle stelle e ci sono volute le massicce iniezioni di liquidità del Quantitative Easing della BCE (imposte ancora una volta dagli USA) per frenarlo.

Al processo di Trani contro le agenzie di rating per reato di aggiotaggio, Monti testimoniò a loro favore, affermando che nel loro comportamento non vi era stato “complotto”. Ma quelli delle agenzie di rating non erano accusati di aver complottato, ma di aver fatto i “furbetti”. Nella sua suprema saggezza, la Corte di Trani ha però riconosciuto alla fine che “furbetti” è un epiteto di classe che si può applicare solo ai poveri (i “furbetti del cartellino”, i “furbetti dell’assenza il lunedì”, ecc.). I ricchi invece sono sempre innocenti sino all’ingenuità.

 

Fonte: http://www.comidad.org

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