Premetto che il PIL non è tutto nella vita. E’ comunque un parametro che misura il benessere di un paese ed è importante per capire in che direzione si sta andando.
In termini molto semplici, il PIL altro non è che l’insieme dei beni e dei servizi prodotti in un paese nell’arco di un anno. Affinché il PIL possa crescere occorre quindi che ci sia un aumento della produzione complessiva di quel paese. Ma la produzione di beni cresce soltanto se c’è qualcuno che domanda questi beni, qualcuno che vuole consumarli quindi. In altre parole, perché qualcuno produca ci deve essere qualcun altro che domanda.
Proviamo allora a ribaltare il ragionamento ed a pensare da che direzione potrebbe provenire un aumento della domanda di beni e servizi prodotti in Italia.
Come potrebbe crescere l’Italia
Le possibilità sono queste:
- i consumatori aumentano i propri consumi: ad esempio si costruiscono più case e quindi si richiedono nuovi impianti elettrici, impianti idraulici, materiali per l’edilizia, mobili, cucine o così via. Oppure si acquistano più autovetture, elettrodomestici, cellulari, ecc.
- lo stato aumenta la propria domanda di beni e servizi: ad esempio costruisce strade, ponti, nuove infrastrutture, scuole, ospedali o assume nuovi dipendenti nella sanità o nella sicurezza.
- le imprese aumentano gli investimenti: ad esempio acquistano nuovi impianti, rinnovano i macchinari, costruiscono fabbriche e capannoni industriali.
- aumenta la richiesta di beni proveniente dall’estero: ad esempio aumentano le esportazioni di prodotti agricoli italiani, di utensili prodotti in Italia, di abbigliamento, oppure aumentano i turisti che trascorrono le loro vacanze in Italia.
Non ci sono altre possibilità o se ci sono risultano essere ininfluenti.
Aumento dei consumi interni
La gente ha sempre meno soldi da spendere e il reddito medio degli italiani è in netto calo. Se gli italiani avevano risparmi cui attingere per finanziare i consumi, questi sono stati già utilizzati da tempo. La disoccupazione è in aumento. Non abbiamo più le cosiddette “rimesse degli italiani all’estero” tipiche degli anni cinquanta del secolo scorso, quando i nostri emigranti mandavano soldi alle famiglie di origine, contribuendo in questo modo alla crescita dell’Italia. Semmai sta succedendo l’opposto, vale a dire i migranti che lavorano (o delinquono) in Italia mandano soldi nei loro paesi di origine, ottenendo quindi un miglioramento della domanda interna di quei paesi ed un peggioramento della domanda interna italiana.
Insomma, a conti fatti, comunque la si voglia vedere, la conclusione è una ed una sola: il PIL non può crescere grazie alla domanda interna. Non almeno in questo momento.
Aumento della spesa pubblica
Lo stato italiano ha mille vincoli di bilancio da rispettare. La spesa pubblica non può espandersi (ce lo chiede l’Europa). Anzi, ci viene richiesto addirittura di dimezzare il debito pubblico per rientrare nei parametri di Maastricht, cosa praticamente impossibile. La spesa pubblica non può aumentare, quindi il PIL non può migliorare in questo modo. Decisamente.
Aumento degli investimenti
Le imprese investono quando l’economia gira, quando c’è domanda e fiducia. Non è il momento. Se avete qualche dubbio fatevi un giro nelle zone industriali delle vostre città e vedrete che lì regna la desolazione. Stesso ragionamento per quanto riguarda le assunzioni. Le imprese non producono perché hanno piacere di produrre. Producono perché qualcuno compra i loro beni. Quindi devono prima ripartire i consumi. Non possono essere loro a trainare la crescita. Niente da fare. Dagli investimenti delle imprese non può ripartire il PIL.
Domanda proveniente dall’estero
Speriamo nell’ultima possibilità. Un tempo l’Italia esportava abbigliamento. Oggi sono rimasti soltanto i nomi dei grandi stilisti, che marchiano Italia i loro prodotti, ma che in realtà producono all’estero. Quindi non conta, non è grazie all’abbigliamento che possiamo ripartire. Vent’anni fa l’Italia produceva macchinari industriali e teneva testa a tutti i grandi produttori mondiali. Oggi queste industrie sono state letteralmente distrutte dalla concorrenza tedesca e dall’euro. Non hanno retto la globalizzazione e non potevano nemmeno reggerla, lo sapevano anche i muri. Non è colpa loro. Praticamente, questo settore non esiste più.
In ogni caso, la via dell’esportazione sembra essere l’unica percorribile. Però l’Italia non si muove nel modo giusto. Basta ricordare che fino a non molti anni fa il governo dava contributi alle imprese che delocalizzavano la produzione, cioè dava soldi alle imprese italiane che portavano la produzione all’estero (e licenziavano gli italiani). Era gente lungimirante questa? Bisognerebbe investire sul turismo, promuovere le eccellenze italiane.
Ci sarebbero mille cose da fare (non soltanto vendere armi), ma purtroppo i nostri governanti non sono all’altezza. Oppure, e non è da escludere, sono servi di altri padroni e non è nell’interesse dell’Italia che stanno lavorando.
Conclusioni
Per tornare a crescere, in questa situazione economica, ci vorrebbe una classe dirigente che sia almeno all’altezza del Burundi, con rispetto parlando per i burundesi. Ma i nostri politici sono quelli che sono.
Ed anche gli italiani sono quelli che sono, visto che continuano a votare sempre gli stessi delinquenti, rinnovando ogni volta la fiducia in loro e scavando con entusiasmo la propria fossa, mentre invece dovrebbero rinchiuderli tutti a Rebibbia, con rispetto parlando per i rebibbiesi.
Alberto Rovis
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