Il prezzo del petrolio quota in questi giorni 46 dollari al barile. Tre anni fa, vale a dire nel 2014, il prezzo medio si aggirava intorno ai 100 dollari, ed era stabile su quei valori da parecchi anni.
Che cos’è successo? Come si giustifica un crollo verticale così marcato, tra l’altro in presenza di un consistente aumento della domanda di petrolio da parte della Cina e di un’economia mondiale comunque in crescita?
La domanda di petrolio
Prima di addentrarci sulle cause del crollo del prezzo del petrolio, chiariamo un concetto fondamentale. La domanda di petrolio è molto rigida. Ciò significa che un aumento della quantità di petrolio estratta e riversata sul mercato fa crollare immediatamente il suo prezzo. Per questo motivo, i paesi produttori si sono sempre messi d’accordo sulle quote da estrarre, in modo tale da mantenere un giusto prezzo, remunerativo per loro e conveniente per i paesi consumatori. Gli accordi sono sempre stati facili da raggiungere perché tutti erano interessati a mantenere un prezzo equilibrato.
IL PREZZO DEL PETROLIO
Che cos’è cambiato e le conseguenze
Il prezzo del petrolio è ora molto basso perché l’Arabia Saudita ha fatto saltare tutti gli accordi con gli altri paesi produttori. I sauditi stanno estraendo, da anni ormai, quote troppo elevate di petrolio e questo ha causato un crollo dei prezzi. Un tale comportamento ha avuto i seguenti effetti:
- sono crollate le entrate finanziarie della stessa Arabia Saudita, nonostante i prezzi di estrazione del suo petrolio siano in assoluto i più bassi del pianeta; in pratica l’Arabia Saudita si sta zappando i piedi da sola;
- gli altri paesi produttori di petrolio, soprattutto Russia e Venezuela, hanno avuto un crollo finanziario molto grave, letale per il Venezuela, che non riesce a rialzare la testa, in quanto la sua economia era e resta completamente dipendente dal petrolio; per la Russia le cose sono un po’ diverse, perché ha una solida industria di armamenti, un immenso territorio ricco di risorse naturali ed altre alternative energetiche da offrire sul mercato, ad esempio il gas metano;
- le possibilità di crescita dell’IRAN, altro grande produttore di petrolio, sono state fortemente contenute;
- la produzione di shale gas degli Stati Uniti ha subito un tonfo; infatti, i bassi prezzi del petrolio rendono sconveniente l’estrazione del gas di scisto.
La guerra ibrida degli Stati Uniti
In apparenza l’Arabia Saudita, alleato di ferro degli Stati Uniti, sta facendo una politica dissennata e autolesionista, contraria agli interessi del suo stesso alleato. Ma in realtà non è così. Questa è una mossa concordata con gli Stati Uniti, inquadrabile nella guerra ibrida combattuta dalla superpotenza. Durerà ancora qualche anno, quanto basta per mettere in ginocchio due paesi, Russia e Venezuela, ed impedire lo sviluppo di un terzo, vale a dire l’IRAN.
L’Arabia Saudita è quindi una importante pedina in mano agli americani in questa guerra senza fine. Essi sono grandi finanziatori del terrorismo islamico, nemici giurati dell’IRAN, azionisti di maggioranza dell’ISIS. Ma i sauditi si illudono. Pensano di essere importanti. Essi sono in realtà gli utili idioti della situazione. Quando non serviranno più agli americani, verranno spazzati via in men che non si dica, con qualsiasi scusa, anche quella meno credibile.
Vittoria ancora incerta
Non dobbiamo dimenticare che le elite finanziarie che controllano e comandano quel gigante senza testa chiamato Stati Uniti d’America, hanno bisogno di un mondo unipolare, in cui il dollaro sia l’unica valuta utilizzabile negli scambi internazionali (vedi: l’impero del dollaro). Nessun’altra opzione è accettabile. Le elite sono nervose perché finora non hanno ottenuto i risultati sperati. La Russia sta resistendo ed è saldamente coi piedi per terra, l’Iran si sta sviluppando, l’ISIS è allo sbando.
Soltanto il Venezuela sta capitolando, sotto i colpi della stampa del regime mondialista e delle manifestazioni dell’opposizione, finanziate dai soliti noti, in odore di rivoluzione colorata.
La Cina, un effetto collaterale della guerra ibrida
Ma la guerra ibrida condotta dagli americani sta producendo un importante effetto collaterale: la Cina si sta sviluppando, aiutata in questo anche dai bassi prezzi del petrolio, risorsa naturale di cui non dispone.
Ma questa è un’altra storia, della Cina le oligarchie finanziarie si occuperanno dopo. E’ un problema che sicuramente risolveranno in un secondo momento. Questo almeno è quello che loro pensano.
di Paolo Germani
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