“Se violasse la tregua, la Russia saprebbe come regolarsi”: un severo avvertimento è stato lanciato dal generale Aleksei Kozin, numero due del Centro di Comando delle forze russe nella Siria meridionale al governo israeliano, contro ogni “tentativo di violazione del cessate il fuoco nel Sud della Siria”. Evidentemente sanno che Sion preparava qualche colpo.
Notoriamente, ciò che ha messo lo stato ebraico in quelle condizioni di ansia esistenziale e di stress pre-traumatico, così etnicamente tipico, lo costringono talvolta a bombardare col fosforo la gente a Gaza o abbattere aerei, è il cessate il fuoco concluso fra Putin e Trump a margine del G20 di Amburgo, per fare del Sud siriano (a ridosso del confine israeliano) una zona di de-escalation garantita della presenza della polizia militare di Mosca e di truppe Usa.
Tel Aviv, che in quella zona ha stipendiato ed armato i suoi terroristi islamici di sostegno, protesta continuamente con Mosca e soprattutto con Washington; pretenderebbe che sue truppe giudaiche partecipassero alla sorveglianza nel territorio siriano; non si sente garantita dai russi, perché “La Russia è alleata dell’Iran e di Hezbollah nella guerra contro il terrorismo”. “Israele si oppone ormai radicalmente alla tregua russo-americana” entrata in vigore una settimana fa, riporta il giornale AlAkhbar; ha avanzato una lista di sue esigenze per essere tranquillizzata: il ritiro non solo delle forze iraniane ed Hezbollah dal sud siriano, ma anche l’armata di Damasco dal Golan, il dispiegamento di osservatori non russi su mandato israeliano, e che all’esercito di Assad sia rifiutato ogni mezzo per ristrutturarsi. Ed ha anche minacciato di passare all’attacco se Washington e Mosca non le obbediscono.
“Le minacce sono state prese molto male a Mosca”, scrive Al Akhbar, “La Russia ha affermato che non esiterà a ripagare con la stessa moneta Israele, se questa metterà a rischio la tregua”.
Channel 2, una tv sionista, ha citato queste parole del generale Kozin : “La Russia ha posto le sue condizioni a Israele nel quadro di questa tregua. Se Tel Aviv ha fino ad oggi goduto di una totale libertà d’azione in Siria, Mosca oggi si aspetta da lei che rispetti alla lettera il cessate il fuoco. Se decidesse di violare la tregua, allora noi russi sappiamo come regolarci, dal momento che siamo noi i garanti di questa tregua”. Secondo la tv israeliana “Iran e Hezbollah restano sulle loro posizioni nel sud della Siria”. Ha aggiunto, rivolto ai terroristi locali mantenuti da Sion, che “la regione di Quneitra (il Sud siriano) sarà presto messa in sicurezza e i terroristi hanno poco tempo per deporre le armi e consegnarsi all’armata siriana”.
http://parstoday.com/fr/news/middle_east-i42804-syrie_col%C3%A8re_russe_contre_isra%C3%ABl
Ciascuno potrà valutare il rischio in corso, conoscendo Israele, il suo potere sugli Usa e il fatto che gli altri “osservatori”, quelli americani, hanno – per ordine del Pentagono – comportamenti piuttosto inquietanti a proposito della loro parola e lealtà. Nel Nord-Est, sul confine tra Siria e Irak, aerei americani hanno attaccato una formazione delle Unità di Mobilitazione Popolare (Al-Hashad al-Shabi), ossia i miliziani volontari che affiancano l’esercito iracheno e quello di Damasco, che combattono l’ISIS, uccidendo quaranta militanti e ferendone una decina. USAF o il Pentagono non si rassegnano a vedere disfatti i loro terroristi? O applicano la strategia del dissanguamento delle forze sciite vittoriose? Una risposta russa ad un’azione bellica di Israele rende troppo probabile un confronto diretto con Washington.
Tanto più che potenti forze dietro le quinte stanno già facendo di tutto per indurre Washington a fare la guerra vera e propria all’Iran. Donald Trump sarebbe favorevole. Anzi peggio. Secondo il New York Times, il presidente ha messo insieme un “gabinetto nero” il cui compito sarebbe di fabbricare prove per dimostrare che Teheran viola gli accordi sulla moratoria del proprio programma nucleare del 2015, stracciare questo accordo firmato da Obama, e quindi “un pretesto per fare la guerra all’Iran”, come ha detto un anonimo ex caso di un servizio di spionaggio europeo. Il fatto è che proprio poche settimane fa gli ispettori internazionali hanno riaffermato che Teheran rispetta la tregua; “Ma ne viola lo spirito”, ha ribattuto Trump – in attesa di trovare un pretesto? O di crearlo?
Mogherini mandata a Teheran
Il rischio deve essere molto sentito negli ambienti europei che contano. E’ questo il vero motivo per cui, ostentatamente, alla cerimonia d’insediamento del nuovo capo di governo Rouhani è stata mandata Federica Mogherini l’alta rappresentante esteri UE: non certo per sua iniziativa privata. Siccome la UE è uno dei firmatari di quell’accordo sul nucleare (JPACG, firmato a Vienna il 14 luglio 2015), Bruxelles – o diciamo Berlino – hanno voluto mandare un segnale alla Casa Bianca: “noi” europei non vi appoggeremo stavolta nella fabbricazione di prove false, per noi l’Iran rispetta scrupolosamente i patti, anzi è un regime rispettabile e amico.
Tutto sta a vedere se alla Casa Bianca e più in generale a Washington si abbia la capacità e la voglia di tener conto dei delicati e finemente allusivi messaggi europei. Voci molto più potenti ed assordanti si fanno sentire a Trump e compari. A Washington esiste un circolo chiamato “United Against a Nuclear Iran”, il quale fa incessante propaganda asserendo falsamente che Tehran si sta facendo la Bomba di nascosto; che quindi bisogna che l’Occidente lo seppellisca sotto le bombe; per intanto, aggravi le sanzioni contro questo regime oscurantista di sterminatori del loro stesso popolo eccetera eccetera.
In Europa, qualunque impresa che stringa una qualsiasi relazione d’affari con l’Iran, riceve un insieme di avvertimenti da questo think tank che lo avverte dei rischi, multe e sanzioni da parte degli Usa cui si esporrà, se continua.
“United Against a Nuclear Iran” è una accolita di vecchi nomi dell’ebraismo neocon, già visto all’opera – purtroppo efficace – quando si trattò di lanciare l’America contro Saddam Hussein: l’ex senatore Joel Lieberman (j), John Bolton (j), gli ex ambasciatori Richard Hooolbroke (j) e Dennis Ross (j), e per far buon peso un paio di ex direttori del Mossad, Tamir Pardo e Meir Dagan. Nell’eletto mucchio troviamo anche il “nostro” (loro) Terzi di Sant’Agata, che fu sciaguratamente ministro degli esteri per poco, che si è messo nel gruppo per Sion certo per il tipico spirito di servizievolezza italico. Questo think tank è riccamente finanziato dalla famiglia di miliardari Kaplan (j) e da quella del tycoon Sheldon Adelson (j); ha condotto campagne diffamatorie che hanno intimidito e dissuaso dal fare affari con l’Iran giganti come Caterpillar, General Electric, INgersoll Rand, KPGM ; ha allestito campagne costosissime per dimostrare quanto satanico e pericoloso sia l’Iran per il mondo occidentale e quanto male abbia fatto Obama a firmare l’accordo sul nucleare iraniano; nel settembre 2009, quando Ahmadinejad parlò all’Assemblea Generale dell’Onu, il think tank ebraico chiamò tutti i grandi alberghi di New York ed intimò loro di negare l’ospitalità all’Iraniano; ottenendone obbedienza.
Insomma questo United Against a Nuclear Iran non si darà e non darà pace alla Casa Bianca e al Congresso fino a che non riuscirà a scatenare la superpotenza in un conflitto grandioso con l’Iran, per il bene di Israele.
Secondo Foreign Policy, il segretario di stato Rex Tillerson, richiesto espressamente da Trump di fabbricare il caso per denunciare l’accordo dell’Iran, si è rifiutato; a capo del “gabinetto nero” sarebbe invece Steve Bannon. Strana e indecifrata la posizione del generale McMaster, ritenuto il “controllore” messo dal Deep State a fianco del Presidente inaffidabile. Il 3 agosto scorso, Trump ha convocato McMaster ad un colloquio (presente anche Jared…) e alla fine ha dettato la seguente dichiarazione pubblica: “Il generale McMaster ed io lavoriamo molto bene insieme. E’ una brava persona e molto pro-Israele”.
Una uscita, nel contesto che abbiamo illustrato, altamente inquietante. Che diventa anche più allarmante se unita ad una intervista televisiva di Channel 10 (israeliana) al generale sionista Giora Eland, ex capo del consiglio di sicurezza nazionale israeliano. “Israele non è pronta a impegnarsi in una nuova guerra con Hezbollah, e non sarà nemmeno capace di subirne le conseguenze […]. Bisogna impedire che una nuova guerra si scateni fra le due parti; ma se dovesse avvenire, bisogna farla finire in tre giorni, non durare 33 giorni come nel 2006” – Il 2006 in cui Sion, per la prima volta, prese una batosta spaventosa da Hezbollah. Un’idea fissa, voglia di guerra e paura allo stesso tempo, molto freudiano.
Corea, niente guerra.
Non temete invece che gli Usa scatenino davvero un attacco bellico preventivo contro al Corea del Nord. Sono minacce vuote. Per molti motivi, fra cui mi pare spicchi questo: Non interessa Israele.
di Maurizio Blondet
Fonte: maurizioblondet.it
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