Il Leader Supremo iraniano Ayatollah Ali Khamenei ha affermato che la cooperazione tra Mosca e Teheran, assieme alla fine dei pagamenti reciproci in dollari USA, potrebbero isolare gli Stati Uniti e “respingere le sanzioni americane”. Il Leader Supremo ha aggiunto: “È possibile cooperare con la Russia nel trattare questioni su vasta scala che richiedono impegno e determinazione e cooperare con essa logisticamente”.
In questo contesto, non dobbiamo dimenticare che la Cina, il più grande consumatore ed acquirente di petrolio, è il giocatore chiave nel giro di vite sui petrodollari. Pechino ha già presentato un nuovo standard del petrolio denominato in CHY [yuan cinesi] (in questo momento, due contratti standard per il petrolio greggio, WTI e Brent, sono scambiati in USD) e pubblicherà il primo contratto future sudafricano entro la fine dell’anno. È interessante notare che è stato annunciato che qualsiasi esportatore di petrolio che accetterà il pagamento in CHY potrà in ogni momento convertirli in oro allo Shanghai Gold Exchange (SHGE), e di coprire il valore in valuta dell’oro presso lo Shanghai Futures Exchange (SHFE). Questo è il motivo per cui la Cina necessita di tale metallo di cui ne sta recentemente acquistando grandi quantità su vasta scala.
Indubbiamente, tutti gli esportatori di petrolio, specialmente quelli che non hanno buone relazioni politiche con gli Stati Uniti, approfitteranno di questa segregazione offerta dal mercato cinese dei future, perché ogni diminuzione dell’influenza del dollaro americano diminuisce grandemente la capacità di Washington di condurre guerre economiche su determinati stati. L’introduzione dei future sul petrolio scambiato in CHY consentirà agli esportatori di petrolio, come ad esempio Russia, Iran e Venezuela, di non dover sottostare alle sanzioni americane sul loro commercio di petrolio.
Quindi, si sta delineando un piano per rovinare gli Stati Uniti d’America proprio sotto i nostri occhi. Secondo quanto è noto, il dollaro, che è una valuta globale (ma non industria o agricoltura), costituisce il fondamento del potere americano. È questa valuta mondiale che consente agli Stati Uniti di rapinare il mondo intero, costringendo tutti i popoli a dover pagare per le manie di grandezza ed i desideri eccessivamente ambiziosi di Washington. In passato, l’USD era assicurato dall’equivalente in oro, poi venne successivamente abolita questa garanzia, e ad oggi il dollaro è, di fatto, lasciato completamente senza garanzie e salvaguardie.
Gli Stati Uniti hanno obbligato l’Arabia Saudita ad un accordo che prevedeva l’aiuto militare degli Stati Uniti al Regno per la “protezione” dei suoi giacimenti petroliferi, sebbene non sia chiaro da chi o da cosa dovessero esser protetti. In cambio, i Sauditi si sono impegnati ad eseguire tutte le loro vendite di petrolio in USD e ad investire i loro profitti in titoli statali di debito statunitensi. A partire dal 1975, tutti i produttori di petrolio membri dell’OPEC furono costretti, sotto la pressione di Washington, a seguirne l’esempio. Di conseguenza, il mondo si trovò immerso nel pantano dei petrodollari.
Non è che i leader dei paesi petroliferi non capissero che si trattava di pura e semplice rapina da parte degli Stati Uniti ma, allo stesso tempo, non potevano fare nulla da soli perché Washington schiacciava tutti questi sforzi, arrivando anche ad occupare gli stati insubordinati. Prendiamo l’Iraq, ad esempio: gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni spietate, facendo sì che la gente comune ne soffrisse. Le sanzioni c’erano dal 1991, e sembrava che sarebbero durate per sempre. Tuttavia, all’inizio del XXI secolo, Saddam Hussein ha preso la decisione di vendere il petrolio in Eurodollari sulla base del programma “Oil for Food”. Ci fu un’immediata rappresaglia: con la pretesa di democratizzare l’Iraq, i militari americani occuparono il paese scatenando una guerra civile al suo interno, che è ancora in corso. Saddam Hussein fu impiccato.
Un altro esempio: Muammar Gheddafi, leader della Jamahiriya araba libica, che è stato molto favorito dall’Europa e dagli Stati Uniti, decise di introdurre il dinaro d’oro e di svolgere tutti gli scambi solo in quella valuta. La punizione fu istantanea: i cosiddetti disordini popolari furono organizzati dall’esterno, e le risoluzioni ONU imposte da Washington legarono il leader libico mani e piedi, fino a farlo brutalmente assassinare dopo poco tempo.
Tuttavia, l’idea di liberarsi dallo strangolamento del dollaro americano non è scomparsa, e proprio ora, quei potenti stati che sono liberi dall’influenza americana, cioè la Russia, la Cina e l’Iran, hanno deciso di metterla in pratica. Il futuro di un altro paese, l’Arabia Saudita, un leader nella produzione di petrolio greggio, è in pericolo. Vale a dire, il destino degli Stati Uniti, che hanno preso tutte le misure possibili per mantenere Riyad nella sua orbita, dipende, senza alcuna esagerazione, dalla posizione del Regno Saudita. Questo è il motivo per cui l’attuale situazione saudita non è troppo positiva.
In primo luogo, la tradizione di passare il potere da un figlio all’altro messa in atto da Abdulaziz ibn Abdul Rahman ibn Faisal Al Saud, il fondatore del regno, non esiste più. In secondo luogo, c’è una lotta senza precedenti per il potere da quando Salman bin Abdulaziz Al Saud, l’attuale re, scartò l’erede legittimo e dichiarò la sua intenzione di passare il potere a suo figlio Mohammed bin Salman Al Saud (foto sotto).
In terzo luogo, il nuovo erede, privo di sufficiente esperienza, ha già commesso diversi gravi errori. Ha speso grandi quantità di denaro per sostenere i gruppi terroristici siriani, ha scatenato una lotta senza uscita contro il vicino Yemen, oltre ad avere un ambiguo conflitto personale con il Qatar. Inoltre, la lotta per il mercato petrolifero mondiale ha portato ad una forte diminuzione dei prezzi dell’oro nero, il che ha comportato un deficit di bilancio.
A peggiorare le cose, una crisi, ancora irrisolta, è sorta in Libano quando il suo Primo Ministro è partito per l’Arabia Saudita e ha inviato la lettera di dimissioni da lì. Ha spiegato la sua decisione con l’interferenza dell’Iran negli affari interni del suo paese, la pressione degli Hezbollah su di lui, e le informazioni sul tentativo in preparazione di assassinarlo, di cui presumibilmente è stato informato dal controspionaggio saudita.
Attualmente, una nuova e piuttosto decisiva fase di lotta per il potere, istigata da Washington, si sta evidenziando nel Regno. Ovviamente, l’attuale re, prima di passare il potere a suo figlio, sta cercando di chiarirgli il quadro politico e di eliminare qualsiasi rivale, anche se sono membri della famiglia saudita al potere. Un nuovo comitato anti-corruzione guidato dal principe ereditario Mohammed bin Salman Al Saud è stato creato con un decreto reale. Il Comitato ha il diritto di condurre le proprie indagini e di compiere arresti, di imporre divieti di viaggio, di congelare i beni bancari e di attuare altre misure nel quadro della lotta alla corruzione.
Il 10 di novembre, duecento e otto persone sono state incarcerate in Arabia Saudita come parte di questa campagna anti-corruzione senza precedenti. Sette di essi erano già stati rilasciati senza accuse. Gli altri, come ha detto al canale di Al Jazeera il Procuratore Generale del Regno Saud al-Mojeb, sono ancora agli arresti. Subito dopo, il Segretario di Stato americano Rex Tillerson ha avuto una conversazione telefonica con il suo omologo saudita Adel Al-Jubeir, durante la quale le parti hanno discusso della situazione in Arabia Saudita o, per essere più precisi, il Ministro degli Esteri saudita ha ricevuto ulteriori istruzioni americane. Nel frattempo, Washington sta mettendo il futuro re contro altri membri della famiglia Saud, in modo che Mohammed bin Salman si ritrovi solo fino a dover fare affidamento unicamente nel sostegno degli Stati Uniti.
Per inciso, anche il principe saudita Alwaleed Bin Talal Bin Abdulaziz Al Saud (foto sotto), uno degli uomini più ricchi del Medio Oriente (e che era a capo dell’ufficio del ministro delle finanze saudita) faceva parte di quel gruppo di detenuti. Il Principe è il nipote del fondatore dell’Arabia Saudita e un nipote di sei re sauditi, incluso l’attuale sovrano. Non ha mai cercato potere politico, e ha preferito investimenti e giochi d’azzardo in borsa. Il principe ha tre titoli accademici, di cui uno in filosofia. Per la prima volta nella storia del Regno, sua figlia, una principessa, è stata arrestata.
C’è un altro problema altrettanto complicato relativo al petrolio, e cioè a fronte di quale valuta il petrolio dovrebbe essere venduto alla Cina, che è tuttora uno dei più grandi partner commerciali per i Sauditi. Finora, l’Arabia Saudita continua a chiedere con insistenza agli importatori cinesi solo valuta USD in cambio di petrolio. Pechino è piuttosto infastidita da tale testardaggine di Riyad, perché i cinesi possono contare su una vasta scelta di fornitori di petrolio tra cui scegliere. Le autorità cinesi hanno cercato di riportare coi piedi per terra Riyad visto che il fanatismo saudita per il dollaro potrebbe in fin dei conti costare loro molto caro. Tuttavia, il passaggio dall’USD al CHY potrebbe dare agli Stati Uniti un duro colpo, l’alleato chiave del Regno, ma Riyad prima o poi si arrenderà definitivamente. Cosa succederà con gli Stati Uniti a quel punto?
A causa di ciò, il rifiuto dei pagamenti in dollari da parte di alcuni importanti produttori di petrolio darebbe un colpo irreparabile agli Stati Uniti e contribuirebbe notevolmente al declino dell’impero americano e delle sue ambizioni egemoniche globali.
di Victor Mikhin
Fonte: Global Research
Traduzione in italiano di Pappagone per SakerItalia
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