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Primo ministro iracheno: non solo l’agguato a Soleimani, ma anche continue ritorsioni e minacce ai danni dell’Iraq

Le notizie che arrivano dal parlamento iracheno, davanti al quale ha parlato il primo ministro Abdul Mahdi, ci disegnano un quadro molto scoraggiante dello stato in cui versa la civiltà occidentale. In Iraq gli Stati Uniti hanno teso un vero e proprio agguato al Generale Soleimani, che era a Baghdad in missione diplomatica, su richiesta di Trump in persona.

Non solo, ma Abdul Mahdi ha denunciato molti altri soprusi commessi dagli Stati Uniti ai danni dell’Iraq.

Ci sorprende che la stampa italiana abbia nascosto la notizia e ci chiediamo se occultare fatti così importanti sia compatibile con la democrazia. A seguire un articolo di Maurizio Blondet.

DIGNITA’ E CORAGGIO DI ABDUL MAHDI

Il primo  ministro iracheno – che, ricordiamolo, ha accusato pubblicamente Trump  di aver attirato Suleimani  in una trappola, facendo di lui, il primo ministro, complice del delitto.

Riportiamo ancora una volta: “Abdul-Mahdi ha rivelato che Soleimani era andato a Baghdad per recapitare un messaggio dall’Iran all’Arabia Saudita in merito a una proposta per ridurre le tensioni nella regione, che Soleimani avrebbe incontrato il Primo Ministro la mattina stessa in cui era stato assassinato e – più cruciale – che giorni prima Trump aveva chiesto al primo ministro iracheno di “prestarsi per il ruolo del mediatore” tra la USA e l’Iran”.

La cosa notevole è che, nonostante abbia il paese sotto occupazione americana, non  ha alcuna intenzione di   passare oltre quest’atto di gangsterismo statunitense: perché se Trump può venir meno alla sua parola data e gettarla nel fango, è la sua parola data che Abdul Mahdi sta tenendo alta dal fango.  La parte della ragione e della  civiltà sta  dalla sua parte.

Nella sessione parlamentare in cui Abdul Mahdi ha accusato Trump,  egli,  palesemente  indignato da mesi di comportamenti gangsteristici, ha raccontato altri episodi rivelatori.

Bisogna sapere che una delegazione di  50 persone da lui guidata è  andata in visita in Cina l’autunno scorso. Ne torna con un importante accordo per  grandi investimenti infrastrutturali –  l’Irak ne  ha i fondi, dovuti all’introito petrolifero  –  di cui, pare, l’America non  ha mai concesso l’autorizzazione.

Il premier ha detto che  Washington (forse personalmente Trump: sarebbe  nel suo stile)  per  dare i permessi, esigeva la cessione del 50% degli introiti petroliferi iracheni. Concessione che lui ha rifiutato.
Ma al ritorno dalla Cina,  “ Trump mi ha chiamato e mi ha chiesto di annullare l’accordo, così anch’io ho rifiutato, e mi ha minacciato con dimostrazioni di massa che mi avrebbero rovesciato”.

Effettivamente, si ricorderà, ci sono state  grandi e gravissime manifestazioni contro il governo, andate avanti per settimane nel mese di ottobre. Manifestazioni per i caro vita e la disoccupazione…

Il metodo Piazza Maidan

Dopo, “Trump   di nuovo mi ha chiamato e minacciato di far piazzare cecchini Marines negli edifici più  alti, che avrebbero ucciso sia i manifestanti sia le forze  di polizia….”.

Lo riconosciamo?  E’ il metodo “Piazza Maidan”  usato in Ucraina e replicato anche in Siria, per invelenire la frattura fra regime e manifestanti “pro democrazia”.

Abdul Mahdi  non solo ha resistito. Il suo ministro della difesa  ha fatto una dichiarazione pubblica,  in cui  ha detto che c’era “una terza parte” che stava prendendo di mira sa i manifestanti sia  i poliziotti.

Terza telefonata di Trump: “Mi ha chiamato immediatamente, minacciando me e  il ministro se continuavamo a parlare della terza parte”.

Il premier ha semplicemente  offerto le sue dimissioni,  non di cancellare  il trattato  con la Cina.

Poi è sbottato:

“Gli americani sono quelli che hanno distrutto il paese e provocato il caos su di esso. Sono quelli che si rifiutano di completare la costruzione del sistema elettrico e dei progetti infrastrutturali. Per  consentire  la ricostruzione dell’Iraq, chiedono in cambio di rinunciare al 50% delle importazioni di petrolio iracheno, così ho rifiutato e ho deciso di andare in Cina e ho concluso un accordo importante e strategico con esso, e oggi Trump sta cercando di annullare questo importante accordo.”

Queste cose,  il premier le ha dette  a voce altissima, dopo che il responsabile del parlamento, Al-Halbousi,  l’ ha bloccato (forse chiudendo i microfoni cercandogli di impedire cose troppo compromettenti) e poi sedendosi al suo  fianco, in segno evidentemente di vicinanza.

Tutto è istruttivo e  conferma quello che si  è sempre saputo del popolo iracheno:

Come mi disse Edward Luttwak al tempo della prima Guerra del Golfo, “noi riportiamo l‘Irak all’età della pietra a suon di bombe,  perché Saddam vuole usare gli introiti  petroliferi per costruire centrali elettriche,  infrastrutture, che renderebbero il paese una media potenza moderna, ciò che Israele non  può sopportare”.  Mi  parlò anche della Guardia Repubblicana, il nerbo iracheno degli 8 anni di guerra contro l’Iran, e che Saddam “ha fretta di smobilitare”: sono i giovani diplomati tecnici e ingegneri, ha fretta di impiegare  nella vita civile”.

L’infatti  l’aviazione Usa  dedicò una cura speciale  – genocida – a incenerire questi  poveri giovani nei loro carri armati

Ne parlò persino  Repubblica:

https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio

Dopotutto, la “politica” americana verso l’Irak  occupato non è cambiata:  non autorizzare  la ricostruzione della rete elettrice e le centrali, e le infrastrutture che ha distrutto accuratamente nella  guerra contro Saddam,  corrisponde allo stesso scopo: mantenere  all’età della pietra fra  le macerie  e disoccupata  una gioventù  moderna, di  un popolo con energie intellettuali e morali di cui ha dato  prove anche il loro premier.  Qualità in qualche modo poco “medio orientali”.

https://threadreaderapp.com/thread/1214408047302520832.html

Di fronte a questa tempra,  che dire della  tempra di Donald? Pretenderebbe che il governo iracheno cedesse agli Usa il 50% del  suo introito petrolifero (è sempre la stessa paura alla Luttwack, che abbia “troppi” mezzi per la sua modernizzazione )  ma unito ai metodi e allo stile del palazzinaro di New York, che prede per il collo gli inquilini “paga altrimenti  ti mando i picchiatori”:  fa parte di questo stile la richiesta di essere disposto a ritirare le truppe  dal paese  se l’Irak paga per le basi e installazioni che gli Usa hanno costruito nel paese. Ignorando che gli Stati Uniti hanno già accordi giuridici vincolanti con l’Iraq che stabiliscono che le basi e tutte le installazioni fisse che gli Stati Uniti hanno costruito lì sono di proprietà dell’Iraq.  E’  proprio il  palazzinaro di New York che prova in qualunque modo  a recuperare le spese  di un  investimento sbagliato…

L’assassinio del generale, e  il modo criminale in cui  è avvenuto, sta palesemente  indurendo la decisione di Irak e Iran di  liberarsi in qualche modo dell’energumeno incivile che occupa la casa o il cortile di casa.

Scrive Escobar: “Nell’Asse of Resistance c’è consenso sul fatto che la Cina abbia un ruolo importante da svolgere, in particolare nel Levante, in cui Pechino è vista in alcuni quartieri come un possibile partner futuro che in ultima analisi sostituirà l’egemonia degli Stati Uniti”.    Il “successo” americano costerà molto caro.

I danni provocati dai missili iraniani non sono leggerissimi.
https://www.npr.org

di Maurizio Blondet

Fonte: https://www.maurizioblondet.it

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