Come Netanyahu libera Israele degli immigrati neri. Idee per Minniti. Maurizio Blondet - www.altreinfo.org

Come Netanyahu libera Israele degli immigrati neri. Idee per Minniti. Maurizio Blondet

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Per i rifugiati africani non c’è posto in Israele

Si tenga presente che gli africani che arrivano in  Sion sono soprattutto eritrei che fuggono dalla loro dittatura, a cui la Germania concede asilo politico nell’81 per cento dei casi, e da il permesso di soggiorno nel 99%.

Invece:

Preliminarmente, Israele si è dotata di una legge che permette di detenere indefinitamente i clandestini senza documenti – spesso rastrellati in vere e proprie retate, mentre fanno qualche tipo di lavoretto clandestino, per esempio gli uomini di fatica negli alberghi. Dopotutto, è il metodo di detenzione amministrativa (ossia senza accusa e senza processo) che usano contro centinaia di palestinesi.

Secondo, Sion ha risolto il problema di rimandare questi disgraziati in Africa: non al loro paese, ma in Ruanda e Uganda. Netanyahu ha stretto un accordo con questi due paesi: i quali hanno accettato di “accogliere”, dietro pagamento – da parte di Israele – di 5 mila dollari a profugo. Gli eritrei beccati e detenuti lo fanno – come dubitarne? – su base volontaria, mica costretti. Semplicemente, i commissari ebraici addetti alla lotta contro l’immigrazione clandestina pongono ciascun prigioniero davanti al dilemma: o restare qui nel centro di detenzione per sempre (ce n’è uno enorme nel deserto del Negev a Holot) a godere della generosa ospitalità carceraria talmudica, o  spiccare il volo per il Ruanda, dove (viene loro promesso) avranno un permesso di soggiorno e di lavoro.

Così li soccorrono in Israele.

Così li soccorrono in Israele.

Si tratta, racconta il giornalista Lior Birger di Haaretz che ha condotto una approfondita inchiesta sul destino di  espulsi, di africani che vivono in Israele da anni; solo che, una volta presi nelle retate e incarcerati, accettano “volontariamente” la proposta. Sembra che a chi accetta, Israele dia una buonuscita di 3500 dollari. Che verranno spesi come poi si saprà.

“Appena arrivano all’aeroporto di Kigali in Ruanda”, racconta Birger, “gli espulsi si vedono confiscare la sola documentazione di cui dispongono, il lasciapassare che gli israeliani hanno consegnato loro all’imbarco. Li rinchiudono in certe camere d’albergo, poi li si informa che devono lasciare il paese al più presto. I ruandesi li affidano a trafficanti che, dietro pagamento di centinaia (talora migliaia) di dollari li trasferiscono in Uganda, poi li contrabbandano nel Sud Sudan, da lì in Sudan, e di là in Libia, dove -promettono- potranno tentare di raggiungere l’Europa”.

Alcuni dei negri che la CNN ha scoperto vendere in aste di schiavi in Tripolitania, e per il quale l’Alto Commissario per i diritti umani dell’Onu, Zeid Raad Al Hussein ha accusato l’Italia di aver fatto un patto “disumano” con i libici, vengono da queste espulsioni “concordate” con Sion, che nessuno rimprovera di “disumanità”:

Eppure, dice Birger, il giornalista che ha rintracciato e interrogato decine di questi espulsi, “secondo le decine di testimonianze che abbiamo raccolto tra i sopravvissuti, ritengo che centinaia di questi profughi sono morti per i maltrattamenti subiti in Libia e annegati nel Mediterraneo”.

Fra quelli di cui Birger ha raccolto le storie, c’è un Dawit (non il suo vero nome) che ha rintracciato a Berlino. Ha vissuto 5 anni a Tel Aviv, lavorando in un ristorante. A sentir lui, è stato proprio mentre si recava al commissariato per rinnovare il permesso di soggiorno provvisorio che è stato preso, ed immediatamente spedito nel centro di detenzione di Holot, nel Negev; qui è stato messo sotto pressione, dice, gli hanno dato la scelta fra restare in quel campo per anni, o partire per il Ruanda. Dawit ha ceduto ed è partito: con la giovane moglie, incinta al secondo mese. E’ accaduto due anni fa. Sono riusciti ad arrivare fino in Libia. Qui i trafficanti hanno messo Dawit su una imbarcazione, e sua moglie in un’altra; questa ha fatto presto naufrago, con centinaia di disgraziati a bordo. Non ha più visto sua moglie.

Tesfay vive adesso in una cittadina tedesca. Anche lui ha abitato in Israele per anni, faceva le pulizie e l’uomo di fatica nella zona turistica di Eilat. Espulso da Sion nel dicembre 2015, ha la stessa storia da raccontare. “Abbiamo lasciato la Libia alle 4 del mattino su una grossa imbarcazione; due ore dopo, il motore ha cessato di funzionare … su 500 che eravamo a bordo, ci siamo salvati in un centinaio. Su quella barca, quelli provenienti da Israele eravamo in dieci; tre siamo sopravvissuti”.

Secondo un servizio di Al Jazeera del gennaio scorso, dopo che Israele ha alzato i 600 chilometri di recinzione fra la sua terra e l’Egitto, l’arrivo di clandestini è ridotto praticamente a zero. I richiedenti asilo in Israele sono 45 mila.  Netanyahu li ha chiamati “infiltrati” che possono mettere in pericolo, demograficamente, l ‘identità di Israele come Stato ebraico.

Il ministro Minniti potrebbe provare ad usare lo stesso argomento in sede UE o all’ONU – “L’afflusso di africani infiltrati mette in pericolo l’identità italica” – e vedere l’effetto che fa.

Israele ha dovuto escogitare l’accordo e il pagamento con Ruanda e Uganda, per aggirare il diritto internazionale, che vieta l’espulsione dei richiedenti asilo verso il paese d’origine dove sarebbero perseguitati. Ma ha riconosciuto solo lo 0,15 % delle domande d’asilo. E fornisce gli altri solo di un permesso temporaneo, da rinnovare ogni pochi mesi, che non dà alcun accesso a sanità, istruzione o previdenze sociali (cui avrebbero diritto per le norme internazionali).  Ogni tanto vengono presi in retate ed incarcerati ad Holot, dove possono restare senza processo per mesi. “I richiedenti asilo e gli attivisti israeliani – ha spiegato il servizio di Al Jazeera – dicono che questo trattamento è stato progettato per rompere gli spiriti dei richiedenti asilo e fare pressione per essere “volontariamente” deportati in paesi come l’Uganda e il Ruanda”.

In ogni caso, la faccenda ha un certo costo per lo Stato ebraico: 5 mila a testa per il Ruanda, 3500 ad ogni espulso, l’aereo … Ma sarebbe superfluo chiedersi chi paga il conto.

 

di Maurizio Blondet

Fonte: www.maurizioblondet.it

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