Come ha già fatto notare FAIR (p.e., Extra!, 1/17; FAIR.org, 4/2/18), il termine “scontro” è quasi sempre usato per mascherare una asimmetria di forza e dare al lettore l’impressione che le parti in lotta in qualche modo si equivalgano. Questo termine serve a camuffare le dinamiche di potere e la natura del conflitto stesso, p.e., chi lo ha istigato e che tipo di armi sono state usate (se sono state usate armi). “Scontro” è il miglior amico dei giornalisti che vogliono descrivere la violenza senza offendere nessuno al potere, con le parole di George Orwell, “nominare le cose senza che la mente veda la loro immagine”.
E’ allora prevedibile che, nei reportage sulle stragi di Gaza di questi giorni, dove sono stati uccisi più di 30 Palestinesi e ne sono stati feriti più di 1.100, il termine “scontri” venga usato in senso eufemistico per descrivere cecchini che, da postazioni fortificate, sparano contro dimostranti disarmati a 100 metri di distanza.
Un giornalista fra i 9 morti nei recenti scontri di Gaza, afferma un funzionario dei servizi sanitari palestinesi (CNN, 9-04-2018)
Pneumatici in fiamme, gas lacrimogeni, colpi di arma da fuoco: gli scontri di Gaza diventano mortali (Washington Post, 6-04-2018)
Dimostranti feriti mentre riprendono gli scontri a Gaza (Reuters 7-04-2018)
Scontri in Israele: sette Palestinesi uccisi nelle proteste al confine con Gaza (Independent6-04-2018)
Dopo lo scontro di Gaza, Israeliani e Palestinesi combattono con filmati e parole (New York Times 1-04-2018)
E’ anche alquanto bizzarro che diversi organi di informazione avessero a suo tempo descritto l’episodio del nazionalista bianco che aveva travolto con la sua auto un gruppo di dimostranti inermi a Charlottesville come uno “scontro” (FAIR.org,17-08-2017):
Il termine “scontro” implica un certo grado di simmetria. Quando da una parte muoiono dozzine di persone alla volta, mentre dall’altra si spara a volontà, al riparo di muri fortificati, su persone disarmate (alcune delle quali vestono giubbotti con la scritta “Stampa”) a poche decine di metri di distanza, questo non è “uno scontro”. Si può descrivere molto meglio con “un massacro”, o almeno “una sparatoria su dei manifestanti”. (Nessun Israeliano è rimasto ferito, e la cosa sarebbe sorprendente se le due parti si stessero veramente “scontrando”.
La foglia di fico degli “scontri” non è più necessaria quandi si parla dei nemici degli Stati Uniti.
Nel 2011, i titoli della stampa occidentale riportavano abitualmente che Mu’ammar Gheddafi in Libia e Bashar al-Assad in Siria “avevano sparato sui manifestanti” (p.e., Guardian, 20-02-2011; New York Times, 25-03-2011). Parole semplice e comprensibili quando si parla di chi gode di cattiva reputazione presso le istituzioni americane deputate alla sicurezza, ma, per gli alleati degli Stati Uniti, la necessità di (mostrare) una falsa parità (di forze) richiede l’uso di eufemismi sempre più assurdi per mascherare quello che sta accadendo veramente, in questo caso il massacro a distanza di esseri umani inermi.
Israele ha un esercito modernissimo: F35, corvette Sa’ar, carri armati Merkava e missili Hellfire, per non parlare del più invadente apparato di sorveglianza del mondo, ha il controllo completo di cielo, mare e terra. Nelle manifestazioni della Grande Marcia del Ritorno, i Palestinesi hanno utilizzato, pietre, copertoni e, secondo l’esercito israeliano (IDF), qualche occasionale bottiglia Molotov, anche se, sull’uso di queste ultime, non sono venute alla luce prove indipendenti. Una tale asimmetria di forze non si era mai vista nei vari conflitti mondiali; nonostante questo, i media occidentali rimangono aggrappati a livello istituzionale al clichè del “ciclo di violenza”, dove “entrambe le parti” vengono rappresentate come entità equivalenti. Il termine “scontri” permette loro di continuare a farlo in perpetuo, non importa quanto a senso unico possa essere la violenza.
di Adam Johnson
Tratto da: https://comedonchisciotte.org
Fonte: http://www.informationclearinghouse.info
Tradotto da Markus per www.comedonchisciotte.org
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