Il traffico internazionale di organi umani verso Israele è un problema noto da tempo, che non trova ancora una soluzione, e che forse non la troverà mai. Non si tratta di illazioni o supposizioni, sono le stesse autorità ebraiche a riferirlo ed è la Magistratura Ebraica ad indagare.
Israele è al centro di un traffico internazionale illegale di organi umani e il Kosovo è sospettato di essere la base di appoggio per i trafficanti.
Questo traffico riguarda da vicino i palestinesi, i quali denunciano da sempre prelievi non autorizzati di organi dai giovani palestinesi morti in Israele. In pratica, gli israeliani restituiscono i cadaveri dei palestinesi privi di organi e non forniscono spiegazioni sulle modalità e sul perché dei prelievi. Cadaveri svuotati e ricuciti alla meno peggio.
Erano vivi o erano morti al momento del prelievo?
Questa è la domanda che pongono da decenni i palestinesi. Non pubblichiamo fotografie perché sono molto cruente. In rete potete trovarne in abbondanza.
Religione ebraica e donazione di organi
Alla radice del problema ci sono tre motivi religiosi che vale la pena analizzare.
Secondo la religione ebraica “non si può spargere sangue di un ebreo per salvare una vita”, nemmeno se la vita da salvare è quella di un altro ebreo. Questo implica che l’asportazione di un organo dal corpo di un ebreo non è possibile, in quanto comporta lo spargimento di sangue.
Il secondo problema riguarda il fatto che gli ebrei non possono disporre del proprio corpo come vogliono. E questo perché, da un punto di vista religioso, il corpo è stato dato agli ebrei in custodia. L’ebreo non è quindi proprietario del proprio corpo, ma ne è il semplice custode.
Questo implica una domanda:
è possibile, con o senza il consenso del “proprietario custode” di un corpo ormai morto, disporre di parti di esso per trapiantarle in corpi viventi?
La risposta è no.
C’è un terzo grande problema religioso che impedisce la donazione e l’utilizzo di organi provenienti da altri ebrei: la definizione di morte.
Secondo la religione ebraica la morte sopraggiunge quando il cuore smette di battere e non quando il cervello cessa di funzionare. Se si espianta un cuore battente, da un punto di vista religioso, si commette un reato di omicidio. L’aver accertato la morte clinica non è sufficiente. Questo problema non può essere quindi superato nemmeno da un secondo tipo di morte, prevista da alcune fonti religiose ebraiche, vale a dire la morte respiratoria, considerata alternativa alla morte cardiaca.
Il problema è che alla morte cerebrale non sempre corrisponde la cessazione del respiro. E inoltre, la maggior parte degli ebrei considera come vera morte soltanto quella cardiaca.
I tre problemi che impediscono agli ebrei di donare e ricevere organi da altri ebrei sono quindi i seguenti:
- il divieto di spargere sangue,
- l’obbligo di custodia del corpo,
- la definizione di morte, che coincide con la morte cardiaca.
Nel 1987 il Rabbinato Centrale di Israele ha espresso un parere, considerando sufficiente la morte clinica perché l’espianto degli organi fosse possibile anche da un punto di vista religioso. Ma si tratta di indicazioni non accettate dalla maggior parte degli ebrei che non danno l’autorizzazione all’espianto di organi dei propri famigliari, se non in casi rari.
Si tratta di un doppio divieto, perché anche gli ebrei che hanno bisogno degli organi sono restii ad accettarli se provengono da altri ebrei.
La domanda genera l’offerta
Gli ebrei, così come tutti gli altri esseri umani, tra la morte e la vita scelgono la vita. Quando sono malati ed hanno bisogno di un trapianto, vorrebbero farlo, ma non possono accettarlo da un altro ebreo, semmai ce ne fosse uno disponibile a donarlo.
Il problema degli organi non riguarda soltanto i trapianti. Le università, le cliniche, le professioni mediche hanno bisogno di cadaveri da utilizzare, parti di esseri umani ed organi, chi per esercitarsi nelle autopsie o nell’arte della chirurgia, chi per migliorare la conoscenza dell’anatomia umana, chi per spiegare la funzionalità dei vari organi. Di certo gli israeliani non possono tirarsi indietro in queste fondamentali attività soltanto perché non ci sono cadaveri ed organi a sufficienza.
Come si sa, la domanda genera l’offerta.
E quindi, siccome in Israele c’è una forte richiesta di cadaveri, organi funzionanti e parti di esseri umani, per vari utilizzi e non solo per il trapianto, si genera un commercio illegale, di cui non si riesce a tracciare i confini. I palestinesi ne sanno qualcosa, ma non soltanto loro. Ci sono migliaia di bambini che spariscono ogni anno nel nulla, anche in Italia, e di cui si perde ogni traccia. Lo stesso problema si riscontra tra i ragazzi immigrati e gli irregolari.
E siccome Israele è l’unico paese al mondo che ha un simile problema è sempre al centro dei sospetti. E non solo dei sospetti.
Il problema è noto da sempre. Ad esempio, quando Simon Veil, ebrea e sionista francese, tra il 1974 e il 1979 ricoprì l’incarico di Ministro della Sanità, concluse un accordo con Israele in cui impegnava la Francia a donare a Israele organi di cittadini francesi affinché fossero trapiantati in cittadini di quel paese.
Il fatto di ricevere un organo da un non ebreo permette di superare tutte le barriere religiose. L’accordo tra Simon Veil e Israele è rimasto segreto per molti anni ed è tuttora in vigore.
E’ bene precisare però che non sono soltanto gli israeliani ad alimentare il traffico di organi. Nel mondo ci sono molte persone disposte a pagare centinaia di migliaia di euro per ottenere un organo da trapiantare e non si pongono problemi sulla provenienza dello stesso.
di Elena Dorian
Fonte: www.altreinfo.org
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