Venezuela, Brexit e migranti: la “guerra sporca” del giornalismo mondialista. Filippo Redarguiti - www.altreinfo.org

Venezuela, Brexit e migranti: la “guerra sporca” del giornalismo mondialista. Filippo Redarguiti

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Così recita un famoso epigramma di Vittorio Alfieri: “Dare e tor quel che non s’ha, è una nuova abilità. Chi dà fama? I giornalisti. Chi diffama? I giornalisti. Chi s’infama? I giornalisti. Ma chi sfama i giornalisti? Gli oziosi, ignoranti, invidi, tristi”. E’ possibile dare diverse interpretazioni opposte di questo simpatico componimento, ma quel che è sicuro, è che allo stato attuale il giornalismo generalista “antico ed accettato” come i riti massonici, stia dando il peggio di se stesso. A volte, ne siamo convinti, senza nemmeno rendersene conto.

Alle bordate (con cadenza quotidiana) di tutti i TG contro Brexit e Trump ci siamo già abituati da tempo. Contro la prima, ogni volta si sprecano i de profundis per i pro-uscita e le santificazioni degli sparuti eurofili che sfilano a Londra con insulse bandiere blustellate, continuando a sabotare un legittimo referendum popolare che ha già dato il suo responso. Contro il secondo, si sparano in prima pagina le inchieste contro questo o quell’altro componente dell’entourage presidenziale americano, e, come in Italia, si manda in prima fila la “carne da cannone”, in carovana o sui barconi, tramite l’altra catena di trasmissione mondialista, quella delle migrazioni di destabilizzazione.

Naturalmente va detto che entrambe le situazioni sono interpretabili come “guerre intestine” all’interno del blocco ultraliberista, diviso fra massonerie localiste e globaliste, i cui rispettivi interessi sono reciprocamente danneggiati. Ma ciò ha importanza relativa nella dimostrazione del livello informativo ormai raggiunto.

Il golpe in Venezuela (perchè, favorevoli o contrari, di golpe si tratta) è forse l’esempio più nauseante e scandaloso di come la maggiore fabbrica di fake news lavori proprio all’interno del giornalismo mainstream. Foto di favelas e senzatetto esistenti da decenni per mostrare la “fame di massa” nel Paese, teppisti palestrati e con catene d’oro -sempre gli stessi peraltro!- spacciati per “popolo in rivolta”, un governo (opinabile o meno) democraticamente eletto anche secondo la Jimmy Carter Foundation, chiamato continuamente “regime”, il solito pupazzo trentacinquenne (macronianamente e renzianamente fotogenico) incensato come “neopresidente”.

Che ci siano gravissimi problemi in quel Paese, dovuti all’incompetenza di Maduro, a sabotaggi esterni e al crollo del prezzo del petrolio, è indubbio. Il fatto è che le stesse oscene tattiche di disinformazione venivano usate anche durante il periodo di Chavez, sicuramente più stabile, il che la dice lunga su come questa “rivolta mediatica” sia fatta nell’interesse della geopolitica e non del popolo. Tattica Pinochet: destabilizzare, mostrare il caos, intervenire. Secondo una logica che non cambia nei decenni nella narrazione globale.

Questo continuo fiato alle trombe mondialiste è ancor più detestabile, se pensiamo che in Grecia (e senza ombra di dubbio anche in Italia) è in atto da quasi 10 anni una crisi terrificante. Solo in Italia le persone che rinunciano a curarsi per mancanza di soldi e per il crollo del sistema sanitario nazionale, aumentano di 1 milione all’anno. Per la Grecia potremmo stare un giorno intero a sciorinare dati da guerra mondiale, con tanto di fonti.

Eppure, sia i nostri vicini greci, sia i nostri connazionali, sembrano essere completamente spariti dal radar informativo. Che si è mosso, nel 2015, solo allo scopo di disseminare il terrore prima e dopo il “no” al memorandum della Troika: referendum puntualmente aggirato a forza di minacce e con il fattivo supporto della stampa mainstream stessa. A questo punto, si pone un quesito: sono tutti “paghati” (come ama cantilenare e scrivere, in segno di derisione, la sagace gioventù globalista)? E’ tutto un “gombloddo”? La risposta è abbastanza articolata.

Ci sono molti giornalisti, direttamente cooptati dai grandi gruppi economici e finanziari a capo delle holding editoriali, che impongono direttamente la linea dettata nei vari consessi economici e politici ai quali partecipano. Sono quelli più a stretto contatto con i sovrapoteri nazionali, nonché il loro megafono ufficiale o ufficioso. La narrazione continua fino al punto in cui la narrazione generale diventa quella universalmente accettata.

Molti mondialisti non conoscono nemmeno le dinamiche che li porta a scrivere “Il Venezuela è un regime”: lo scrivono e basta, perchè è così. E’ universalmente accettato e quindi si fa così. Del resto, le principali scuole di giornalismo sono finanziate da varie fondazioni “filantropiche” facenti capo ai poteri succitati. Un aspirante giornalista vi entra, apprende, e, semplicemente, esegue ciò che ha appreso. Il “regime venezuelano” non è più un opinione in costruzione, ma una cosa scontata come alzarsi la mattina.

Questo ed altri casi, ci devono far aguzzare la vista su come sia sempre più difficile, man mano che passa il tempo, parlare di “giornalismo indipendente”, anche nei casi in cui il giornalismo mainstream faccia mostra di dare voce al dubbio. Fortunatamente la rete è uno strumento incomparabile di incrocio di dati e fonti opposti: l’unico modo per uscire vivi dalla “guerra sporca” che l’informazione generalista sta attuando quotidianamente contro il buon senso e l’onestà intellettuale.

 

di Filippo Redarguiti

Fonte: http://www.opinione-pubblica.com

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