Perché la superclasse mondiale non è una aristocrazia. Maurizio Blondet (SECONDA PARTE) - www.altreinfo.org

Perché la superclasse mondiale non è una aristocrazia. Maurizio Blondet (SECONDA PARTE)

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Queste cerchie (che abbiamo esplorato nel precedente articolo: “La beata superclasse mondiale. Un identikit) non stanno allo stesso livello, ovviamente. Esse sono gerarchicamente ordinate. La cerchia economico-finanziaria transnazionale sta ovviamente al vertice, è il cuore della superclasse mondiale: è il potere del denaro de-regolato allo stato puro. Comanda a quelli sotto, come esecutori, compagni di strada, utili idioti.

club bilderberg

La cerchia dei poteri pubblici ed amministrativi si pone all’ultimo posto, perché obbedisce ai dettami di sopra strumentalizzando una autorità residuale su uno spazio nazionale, dunque ridotto. Fanno eccezione gli Stati Uniti d’America, in quanto hanno imposto le loro normative (globaliste, di libero scambio, di qualità, di dazi) a tutto l’Occidente, e si applicano ad imporle al resto del mondo, anche con la violenza bellica: ciò che chiamano espandere la democrazia. Solo adesso, nella sua volontà di distruggere Trump, vediamo il potere feroce di questo “deep state” americano, inamovibile gestore del potere oligarchico globale.

Però i diversi cerchi non sono chiusi, comunicano tra loro, la superclasse mondiale funziona appunto così: prospettando promozioni ai vertici. Grand commis che diventano finanzieri, capi di multinazionali che incamerano anche imperi mediatici, miliardari che finanziano fondazioni culturali, think-tank.

La Goldman Sachs, “americana”, ospita una quantità di europei fra un incarico “pubblico” e l’altro, onde non restino fuori al freddo: Prodi e Draghi, Mario Monti e Papademos. Manuel Barroso, appena scaduto dalla poltrona di presidente della Commissione UE, ha trovato a Goldman Sachs il nido caldo.

All’inverso, Connie Hedegaard, dopo essere stata Commissaria europea al Clima (sic), è stata assunta come alta consulente alla Volkswagen, non male dopo il “dieselgate”. Conflitto d’interesse? Teniamo presente che quando contro un politico in ascesa viene attaccato – e bloccato – opponendogli un qualunque “conflitto d’interesse” (come per Berlusconi o Trump), è segno che egli non appartiene alla superclasse mondiale. Contro Mario Draghi che in Goldman consigliò il governo greco dei trucchi finanziari per i quali lo punisce da quando è al vertice della BCE, nessuno ha mai sollevato la maleducata domanda. Anzi per di più l’eurocrazia ha fatto varare agli Stati soggetti leggi che la rendono immune da qualunque prosecuzione giudiziaria per i suoi atti nella finanza.

In Francia, è la Banca Rotschild che svolge la funzione di nido di oligarchi svolta da Goldman Sachs. Poi ci sono premi di consolazione per fedeli promettenti: così Enrico Letta, liquidato da Matteo Renzi, ha subito trovato una cattedra a Parigi, alla Science Po, dove insegna non si sa cosa a chi. Scusate, mi correggo: tiene un corso su “Europa e populismi”. Lo vedremo tornare a qualche altro grande incarico, o “politico” o nelle “istituzioni europee”. Allievo ideologico di Andreatta e promosso da Napolitano, è segnato per immancabili alti destini.

Ma non è utile puntare troppo lo sguardo su singole persone. Sono intercambiabili, ma soprattutto la superclasse ama governare in modo impersonale, anonimo. Parte della sua forza si situa proprio in questo, che il suo potere si situa dovunque e da nessuna parte, inafferrabile, sfugge alla regolamentazione ed anche alla critica. Esempio: il “divorzio fra Tesoro e banche centrali” avvenne in tutta Europa negli anni ’70, i parlamenti vararono la stesse leggi ad hoc, senza che fosse possibile identificare la centrale che aveva dato l’ordine, fu un fenomeno “spontaneo”, i media spiegarono che era una innovazione ormai necessaria per i tempi nuovi, la liberazione dal dirigismo  eccetera.

Assistiamo allo stesso fenomeno oggi: improvvisamente tutti i governi si occupano dei “diritti LGBT” da difendere contro “la discriminazione”, delle “nozze gay”, e la gente ha la sensazione che ciò sia stato richiesto dalla “opinione pubblica”. Invece, al parlamento ucraino (quello golpista di Kiev) la UE ha imposto di varare leggi sul matrimonio omosessuale; di fronte al rifiuto scandalizzato di maggioranza ed opposizione, la risposta è stata: allora sognatevi di entrare in Europa, questi sono i nostri valori. Non è stato possibile sapere “chi”, concretamente, ha portato questo ordine.

Così all’opinione pubblica viene sottratta la consapevolezza su chi, concretamente, abbia imposto di insegnare negli asili la teoria del gender –anzi si nega persino che esista una tale volontà pedagogica. Ma tutte le scuole europee hanno cominciato ad insegnarla.

Cosa vuole la superclasse?

I media bollano immediatamente come “complottismo” (dunque morte civile per giornalisti) ogni allusione all’esistenza di un progetto occulto e antidemocratico cui si dedicherebbe la superclasse. Ciò è strano, dal momento che i supremi oligarchi non si sono fatti mai scrupolo di enunciare i loro programma e i loro metodi.

A cominciare da Paul Warburg, il banchiere (j), davanti al Senato Usa nel 1950: “Avremo un governo mondiale, lo si voglia o no. La sola questione è sapere se sarà instaurato per adesione o per conquista”. Edmond De Rotschild, in una intervista del 18 luglio 1970: “Il catenaccio da far saltare, attualmente, è la nazione”.

David Rockefeller, nelle sue Memorie (2002): “Alcuni credono che noi [i Rockefeller, ndr.] facciamo parte di una cabala segreta, […] complottando con altri in tutto il mondo per costruire una struttura politica ed e economica globale più integrata – un solo mondo, se volete. Se questa è l’accusa, io sono colpevole e fiero di esserlo”.

Infine sempre David Rockefeller, 1999, intervista a NewsWeek: “Qualche cosa deve sostituire i governi, e il potere privato mi sembra l’entità adeguata per farlo”..

In questa breve frase c’è tutto lo scorcio del progetto: il “potere privato” – ossia quello delle ricchezze private della superclasse, degli speculatori, dei finanzieri – deve sostituire il potere pubblico, quello che bene o male risponde ai cittadini.

La loro giustificazione ideologica, fedelmente ripetuta dai media, è che gli Stati nazionali non sono più in grado di risolvere i problemi dell’umanità, che sono globali: dal “riscaldamento globale” alla “disseminazione nucleare”alla “sovrappopolazione”, ed ora ci aggiungono “le migrazioni” e “il terrorismo”, qualunque problema d’occasione viene avanzato per predicare (e praticare) la necessità del “governo globale”. La falla del ragionamento sarebbe lì da vedere, se non fossimo rincretiniti dalla ipnotica persuasione mediatica: molti dei problemi “globali” sono provocati appunto dalla globalizzazione, ossia da loro; e non si vede perché dei grandi “privati”, con interessi privati e guidati esclusivamente dal criterio della più efficiente allocazione del capitale (ossia del massimo profitto sugli investimenti loro), siano più adatti dei pubblici a risolvere i “grandi problemi dell’umanità”.

E’ mera ideologia. Già Jean Monnet, il privato (fabbricante di cognac) che fu incaricato dalle banche Usa di distribuire i fondi del Piano Marshall in cambio di cessioni di sovranità – e gli stati bisognosi accettarono, era il 1945 – il fondatore della Comunità europea, diceva: “Le nazioni sovrane del passato non sono più il quadro dove si possono risolvere i problemi del presente. E la Comunità (Europea) stessa non è che una tappa verso forme di organizzazioni del mondo di domani”.

In realtà, ecco i risultati che questo governo di filantropi ha creato: la mondializzazione e finanziarizzazione hanno aumentato solo i profitti delle grandi transnazionali e dei loro  grandi azionisti. Le privatizzazioni di attività di pubblico interesse hanno aperto nuovi campi alla loro speculazione e ai loro profitti, senza affatto migliorare i servizi. Le delocalizzazioni sono andate alla ricerca dei salari più bassi nel mondo, e in Occidente consentono di premere verso il basso quelli degli autoctoni. Come aveva previsto il Nobel Maurice Allais il libero-scambismo globale non fa che creare disoccupazione di massa in Occidente, e precarietà strutturale – che è un fattore di reimbarbarimento, con perdita inestimabile di competenze tecniche, che per esempio sono trasferite in Cina. La classe media, depositaria di tali competenze, è in via di pauperizzazione irreversibile; per contro, la ricchezza dei ricchi è cresciuta. Dal 1988 al 2008, i redditi dell’1 per cento superiore (la Superclasse delle superclassi) è aumentato del 60%, mentre quello del 5% inferiore non è cambiato.

Come non bastasse, la superclasse ha fatto dovunque modificare la fiscalità a proprio esclusivo profitto: dovunque in Occidente la progressività del  prelievo fiscale  diminuisce via via che si sale nella gerarchia delle fortune. Laddove la classe media si vede prelevare il 45% dei suoi modesti redditi, le multinazionali, i loro grandi azionisti e i loro amministratori delegati non pagano che il 5, o l’1%, o niente. La  fantomatica “Lotta all’evasione”, spietata per i redditi fissi, mantiene aperti in Europa, non alle Cayman, noti paradisi fiscali per lor signori. Sia dato onore alla sincerità di Warren Buffett, il vecchio speculatore, terza persona più ricca del mondo (quasi 66 miliardi di dollari per Forbes): “C’è la lotta di classe, e siamo noi, la classe dei ricchi, che la vinciamo” (New York Times, 26 novembre 2006).

La corruzione dei politici? Opera loro.

Fra le motivazioni più potenti (e condivise dalle masse) che la superclasse porta a favore della sua tesi, secondo cui il mondo è meglio governato da privati e dai loro tecnocrati che dalla politica, è che ai politici deve essere sottratto il maneggio del pubblico denaro (per darlo ai banchieri!), in quanto sono “corrotti”. La politica per loro è corruzione quasi in senso strutturale, per loro: i politici infatti fingono di promuovere servizi pubblici mentre lucrano e fanno lucrare le loro clientele, private.

Nella misura  in cui questo è vero, è il risultato stesso della de-responsabilizzazione della classe politica provocata dal sistema oligarchico-tecnocratico che hanno instaurato, in Europa ma anche nel mondo con gli organi internazionali e sovrannazionali: se la “politica” da praticare è una sola, se è quella dettata dalle centrali transnazionali; se la classe politica non ha più, come aveva prima, la grave responsabilità di gestione della moneta sotto gli occhi dei cittadini, né ha più da preoccuparsi di ridurre la disoccupazione e programmare sviluppo industriale di un paese; se non deve più temere gli effetti dei suoi errori perché “ci pensa l’Europa” o ha eseguito gli ordini del Fondo Monetario o della BCE o della NATO, è ovvio che questa classe politica perda competenza, perda conoscenze e tempra, perda l’habitus di responsabilità nel  comando, e dedichi il suo tempo ad arraffare stipendi indebiti ed a ricavare benefici per le sue clientele, in attesa speranzosa di essere cooptata negli alti gradi della Superclasse.

Chi non ha più niente da fare di serio in una carica pubblica, è ovvio che si corrompa, più precisamente degradi. In realtà l’Europa ha conosciuto in passato classi politiche capaci di occuparsi del bene comune con polso e intelligenza, basti pensare all’IRI in Italia o al sistema degli Effetti MeFO in Germania, alla Economia politica, una intera branca di studi di gestione onesta ed efficiente dello stato, che non è più insegnata nelle università. L’intero tema è stato censurato sotto la categoria satanizzata di Male Assoluto.

Noi che abbiamo conosciuto Tangentopoli non dovremmo aver dimenticato come la “corruzione” di certi politici di carattere è stata esagerata, ed usata mediaticamente e giudiziariamente, per eliminare una intera classe politica ancora relativamente capace (basta confrontare Craxi e Andreotti a Gentiloni, Berlusconi, Beppe Grillo), che si opponeva alla fase ultima della globalizzazione. La corruzione personale d’altra parte viene praticata dalla superclasse verso i politici (nelle varie operazioni di lobbying, nei finanziamenti delle loro campagne) per “metterseli in tasca”, per di più facendo pendere su di loro la minaccia sempre presente di una  mediatizzazione devastante delle loro mazzette e regalini, una Mani Pulite perpetua che li tiene agli ordini, mentre d’altra parte i politici vengono abituati a redditi ed a tenori di vita da superclasse, cui non sanno rinunciare se occorre.

In compenso, attraverso le porte girevoli sopra descritte, essi fanno balenare – e talora realizzare – ai politici l’ascesa alla superclasse immune da ogni rischio, alle multinazionali e alle cariche per  sempre esentate dal giudizio pubblico come quelle europee, dove i soldi sono davvero tanti, e non c’è più da temere nessun procuratore zelante o nessun rovescio elettorale.

Infatti questo è uno dei tratti più caratteristici della superclasse: che non si espone mai ad alcuna elezione, e conduce la sua azione dietro le quinte, agendo sui politici che sono esposti (un po’ di più) a qualche rischio.

Jean Monnet, fondatore della Comunità Europea, non s’è mai candidato a nulla, eppure ha fatto questa organizzazione sovrannazionale di esproprio delle sovranità. “Ho di meglio da fare che esercitare il potere politico io stesso”, scrisse nelle su Memorie (Parigi 1976):”Non è forse il mio ruolo, da molto tempo, di influire su coloro che esercitano il potere politico? Al momento critico, quando mancano le idee, i politici accetteranno con gratitudine le vostre, purché rinunciate a reclamarne la paternità. Dal momento che loro si assumono i rischi, che si prendano pure gli allori…se restare nell’ombra è il prezzo da pagare per vedere le cose marciare, allora io scelgo l’ombra”.

Si può esser più chiari di così? Altro che teoria del complotto. Si è arrivati al punto che Jacques Delors, il successore ideologico di Monnet nella “Europa” tecnocratica, nel 1995 si è rifiutato di presentarsi alle elezioni presidenziali francesi, nonostante la chiamata del Partito socialista, e persino, degli ottimi sondaggi. Georges Soros non va a manifestare di persona per gli immigrati, paga i manifestanti “no borders” utili idioti, paga le navi “umanitarie” e paga le ONG che fanno avanzare i suoi progetti.

“E’ appunto per questo” nota acutamente Geoffroy, “che la superclasse non costituisce una aristocrazia, ma una oligarchia, perché i suoi membri non si espongono al rischio politico; anzi a nessun rischio, perché vivono nella loro bolla protettrice, separati dal resto della popolazione”.

Anzi, la cura ed aspirazione della Superclasse è abolire il Politico dalla vita; si vede da come ha costruito la UE, dove le sovranità (cruciale centro della Politica) sono state   sostituite da “direttive” burocratiche-bancarie, e le decisioni sono state sostituite da procedure, il più possibile automatiche, appunto per non doversi esporre all’aria della libertà, fredda, fresca o rovente secondo i casi, sempre pericolosa. Hanno costituito così la più flaccida, ed insieme  spietata, delle dittature oligarchiche.

L’altro giorno abbiamo visto la rabbia, il dispetto, lo scandalo per come Donald Trump, non certo da statista ma da semplice istintivo che mantiene qualche rapporto con la realtà, ha disturbato i loro minuetti, ha rifiutato di firmare proposizioni già decise in anticipo dagli sherpa. Alla NATO s’è rifiutato di riconfermare l’articolo 5, ossia di impegnare la Superpotenza ad una guerra automatica contro la Russia (di cui la precedente amministrazione ha posto le basi); invece, ha ingiunto: “Pagate per la protezione che vi diamo”, e nessuno è stato capace di rispondergli che le basi NATO in Europa sono una occupazione, e che prima della gestione Obama, l’Europa non aveva alcun nemico nella Russia: un’aristocrazia avrebbe potuto rispondere così, agli oligarchi europei, maggiordomi, non è possibile.

Ma in più, Trump non ha nascosto di essere annoiato. Non ha rispettato il politicamente corretto, anzi il corretto tout court. Non ha firmato il trattato di Parigi sul clima,  ha rimbeccato che la Germania fa’ dumping vendendo  le sue auto sottocosto in Usa. Non ha indossato nemmeno l’auricolare quando parlava Gentiloni; “maleducato”, hanno strillato i media. Ma ha mostrato che non ha alcun bisogno di ascoltare in traduzione concetti che per principio non devono essere originali, discorsi che non devono dire nulla, recite di cui conosciamo già tutto prima, nella neolingua burocratica internazionale.

Tutti, a cominciare dalla Merkel inviperita, sono andati via dai Taormina con la speranza che in America il deep state li liberi da questo elefante nel salotto dei cristalli, da questo rozzo ruspante esemplare della politica che non balla i minuetti concordati. Vogliono i loro ordini dalla Superpotenza, ma vogliono che siano quelli di prima, perché non ne sanno eseguire altri.

 

(Seconda puntata- ma non Fine).

di Maurizio Blondet

Fonte: maurizioblondet.it

PRIMA PARTE: “La beata superclasse mondiale. Un identikit

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