Il Montenegro è ufficialmente il ventinovesimo paese membro della NATO: l’ultimo scoglio per l’ingresso di Podgorica nell’alleanza atlantica, era rappresentato dal voto del Parlamento italiano sul DDL di ratifica del protocollo di adesione del paese balcanico e quindi adesso la bandiera montenegrina potrà sventolare a Bruxelles assieme alle altre 28. Si chiude così il ‘cerchio’ balcanico – adriatico, visto che Slovenia, Croazia ed Albania era già entrati tra il 2004 ed il 2009; di fatto adesso, tutti i paesi ex jugoslavi che hanno uno sbocco sul Mediterraneo, fanno parte della Nato e tutti i porti della federazione dissolta con le guerre degli anni 90 sono approdi a disposizione della flotta dei paesi dell’alleanza atlantica.
Come si è arrivati all’adesione del Montenegro
Il destino del Montenegro sembrava già segnato nel maggio del 2006, mese in cui per pochi voti è passato il SI al referendum sull’indipendenza da Belgrado: da quel momento in poi, le redini del potere sono state detenute da Milo Djukanovic, uomo forte di Podgorica e spesso al centro di aspre polemiche ed anche di alcune inchieste giudiziarie italiane, come quella della Procura di Bari sul traffico internazionale di tabacco. Djukanovic è da sempre forte sostenitore dell’integrazione del Montenegro tanto in Europa quanto nella Nato e per tal motivo, nonostante un profilo politico molto ambiguo e discutibile, le cancellerie occidentali hanno dapprima sostenuto il referendum sull’indipendenza ed in seguito hanno sostenuto l’attuale capo del governo montenegrino; nel giro di dieci anni quindi, il paese è passato dalla federazione con la Serbia, ultime briciole di quel che era rimasto dell’ex Jugoslavia, all’integrazione totale all’interno dell’alleanza atlantica.
A pochi giorni dalle elezioni dello scorso 16 ottobre, tumulti e scontri con la Polizia sono stati all’ordine del giorno: tanti i gruppi scesi in piazza per sostenere la neutralità del Montenegro, anche la Chiesa locale ha visto nell’ingresso della Nato una forzatura storica e politica controcorrente rispetto alla tradizione del piccolo paese balcanico. Diversi partiti hanno cavalcato l’onda delle proteste, cercando di togliere il potere a Djukanovic o quantomeno di ridimensionare la propria forte presa sugli apparati del giovane e piccolo Stato; l’operazione è riuscita solo in parte: il PDS, il partito di Djukanovic, ha sì vinto le consultazioni ma non ha sfondato il muro del 50% + 1 dei voti, per tal motivo lo stesso Djukanovic, anche per via della sempre meno ‘presentabilità’ all’estero, ha preferito farsi da parte ma il governo che si è formato nello scorso novembre porta il suo timbro essendo guidato dal fedelissimo Dusko Markovic, il quale ha subito confermato la volontà di concludere le trattive con la Nato.
Troppo forte il sistema di potere di Djukanovic, fondato soprattutto sul posizionamento ai vertici dello Stato di familiari ed amici di lunga data, oltre che su una ramificazione di clientele che hanno alla lunga consentito al proprio partito di tenere botta alle prime proteste popolari apparse in Montenegro dopo l’indipendenza del paese; dall’altro lato, l’eterogeneità dell’opposizione ha favorito una dispersione dei voti che non ha consentito l’emergere di figure o partiti realmente alternativi al potere de Pds, di fatto mai intaccato non solo dalla scissione con Belgrado ma anche da quando ancora la piccola Repubblica era appartenente alla Jugoslavia.
Cosa cambia nel Mediterraneo
Prendere il piccolo stato adriatico all’interno della Nato, per gli Usa e per il blocco atlantico vuol dire di fatto sbarrare le porte del Mediterraneo europeo alla Russia; con il governo di Tito a Belgrado, la Jugoslavia lungo tutto il dopoguerra ha sempre dichiarato la propria neutralità rispetto al dualismo tra Stati Uniti ed Unione Sovietica, pur tuttavia la forma di governo socialista da un lato ed i legami culturali tra serbi e russi hanno reso impensabile fino a pochi anni fa una Nato egemone anche lungo le coste balcaniche. Il quadro è drasticamente cambiato negli anni ’90, con lo sfaldamento della Jugoslavia e l’indipendenza di Croazia, Slovenia, Bosnia e Macedonia; in particolare, i paesi mediterranei che erano all’interno della federazione hanno da subito dichiarato la volontà di entrare nell’orbita occidentale.
In tal modo, l’integrazione nell’Ue e nella Nato di Zagabria e Lubiana è stata piuttosto veloce, poi nel 2009 anche un altro ex paese comunista dell’area, ossia l’Albania, ha deciso di entrare nell’alleanza atlantica; per chiudere il cerchio ed evitare che Mosca possa avere rapporti privilegiati con uno dei paesi adriatici, mancava quindi il Montenegro: l’indipendenza di Podgorica da Belgrado, posto che la Serbia attualmente non è intenzionata ad entrare nella Nato, ha facilitato i piani di Washington e Bruxelles grazie al rapporto privilegiato con il Pds di Djukanovic.
Secondo molti analisti, si tratta di un nuovo episodio dell’accerchiamento dei confini russi da parte della Nato dopo la caduta del Muro di Berlino: assicuratisi i confini orientali, con l’ingresso delle repubbliche baltiche e di numerosi paesi ex patto di Varsavia, l’alleanza atlantica ha adesso al suo interno tutti gli Stati adriatici ex Jugoslavia. Nei Balcani adesso in molti vedono nella Serbia e nella Macedonia due nuove papabili per l’ingresso delle ultime repubbliche jugoslave nella Nato, pur tuttavia tanto a Belgrado quanto a Skopje al momento i due esecutivi al governo appaiono favorevoli ad una maggiore integrazione con Mosca.
Fonte: gliocchidellaguerra.it
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