Ogni giorno che passa – bisogna pur dirlo – diminuisce la fiducia di imprenditori e dirigenti, operatori finanziari, artigiani, professionisti e investitori nel M5S. I sondaggi continuano a essere favorevoli più per la Lega che per il M5S, ma comunque – anche questo va detto – danno a entrambi sempre più del 60% del consenso, un consenso di cui pochi governi negli ultimi decenni hanno mai goduto.
Esiste però un altro tipo di consenso, quello del mondo economico, finanziario e imprenditoriale: questo è sempre più debole. Lo si vede dalla frana della Borsa e dei Btp (complessivamente da inizio anno chi avesse avuto 100mila in Btp e azioni italiane avrebbe perso 17mila euro), dagli indici di fiducia delle imprese, in caduta brusca.
Dal punto di vista macroeconomico il dato drammatico è il taglio del credito, il bollettino di Bankitalia mostra che il «credito a residenti» (cioè imprese e famiglie) si è ridotto di 80 miliardi, da 2.400 a 2.320 miliardi da marzo. Le stime sulla crescita del Pil nel 2019 vengono riviste in basso quasi ogni settimana e mentre il governo parla di crescita intorno al 1,5% questa settimana la più importante banca americana, JP Morgan, ha drasticamente rivisto la previsione per l’Italia da 1,50% a 0,5%. Possono ovviamente sbagliare
Passando a dati più qualitativi, anche la manifestazione di Torino pro-Tav è il sintomo dell’opposizione crescente dei ceti professionali e imprenditoriali al M5S. Molta di questa gente al Nord votala nuova Lega di Salvini, ma ogni settimana che passa è sempre più sfiduciata riguardo la gestione della nostra economia. In termini economici in sei mesi il governo ha fatto pochino. La riduzione di tasse, «flat» o meno, è in pratica limitata alle «partite Iva» e le pensioni a 62 anni (revisione della “Fornero”) e il reddito di cittadinanza sono tuttora avvolte nel mistero su come e quando arriveranno.
Il deficit previsto dalla manovra è in realtà modesto, un 2,4% del Pil esattamente come accadeva sotto Renzi, ma nelle mani di Di Maio, Salvini, Conte e Tria è diventato un casus belli con la Ue e ha mosso i mercati (in basso). Le gaffe nei discorsi e dichiarazioni sono irrilevanti, se si guarda alle decisioni prese però non si può non constatare il caos della gestione del crollo del Ponte Morandi a Genova, il tentativo di cancellare la prescrizione, che Salvini ha cercato intelligentemente di parare, una finanziaria del 2,4% di deficit, rivolto però in prevalenza a pensioni e reddito per chi non lavora. Tutte cose che sono importanti, ma di poco aiuto per imprenditori, artigiani, professionisti.
Da parte degli avversari del governo, l’opinione che comincia a farsi strada è che conviene lasciare cucinare il governo nel suo brodo: l’economia andrà in recessione e il 60% e rotti di consenso di cui gode svanirà sotto il peso di una nuova crisi economica. Questo rischio è concreto perché, come abbiamo scritto su questo giornale, la congiuntura globale sta rallentando bruscamente, la Bce finisce (salvo ripensamenti) da dicembre di stampare moneta per comprare debito e i sintomi di recessione in Italia aumentano di giorno in giorno, anche a causa del calo della fiducia delle imprese.
Salvini dovrebbe riflettere sul fatto che il problema non è il deficit in sé, ma lo diventa se viene usato solo per pensionare dipendenti pubblici, pagare redditi a chi non lavora, lasciando poi cheilM5S renda più complicatala vita alle imprese e faccia, grazie a Toninelli, un gran casino nei lavori pubblici. Se la congiuntura economica fosse ancora favorevole Salvini potrebbe aspettare aumentando ancora i consensi per la Lega. Ma stiamo andando in recessione e gli italiani che fanno buste paga, producono fatturati e investono sono sempre più pessimisti. La Lega dovrebbe allora differenziarsi proponendo per il futuro qualcosa che vada oltre la legge di bilancio e che inverta il trend del pessimismo dei ceti produttivi. Che cosa si può fare lo scriveremo nel prossimo articolo.
di Paolo Becchi e Giovanni Zibordi
Fonte: https://paolobecchi.wordpress.com
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