La triste, desolante vicenda delle foto di Anna Frank comparse allo stadio durante la partita di calcio fra Roma e Lazio allo Stadio olimpico della capitale, con tutto quel che ne è seguito, e di cui non diremo nulla, perché i giornali e i telegiornali ne hanno già parlato fin troppo, ci ha chiarito, se non altro, e una volta per tutte, qual è la religione ufficiale dello Stato italiano, evidentemente laico, o super-laico, quando si tratta del cattolicesimo, ma religioso, religiosissimo, anzi, addirittura fondamentalista, quando si tratta degli ebrei: la religione dell’Olocausto.
Se quattro tifosi imbecilli avessero scherzato con le immagini di Cristo, della Madonna o del Papa (diciamo del Papa in generale, non certo di questo Papa, sul quale nessuno si azzarda a scherzare, se non assai bonariamente, dato che è la sintesi magistrale del politicallty correct), e come del resto accade, da anni, sulle pagine di giornali satirici come Charlie Hebdo, non vi è il minimo dubbio che nessuno avrebbe fatto una piega. Siamo quasi pronti a scommettere che perfino la C.E.I., i vari Paglia, Galantino, Perego, Cipolla, Lorefice, Zuppi, eccetera, eccetera, sarebbero stati i primi a sdrammatizzare […]
Del resto, non stiamo facendo ipotesi campate, più o meno, per aria; al contrario, ci basiamo sulla nuda solidità dei fatti. A Venezia, l’anno scorso, due donne musulmane sono entrate in una chiesa e hanno sputato sul Crocifisso (ne abbiamo parlato, a suo tempo, in un apposito articolo); poco prima, un marocchino (che si volle far passare per squilibrato), in un’altra chiesa della stessa città, aveva spezzato addirittura il Crocifisso (fra l’altro, una preziosa opera in legno del XVIII secolo): ma né in nel primo caso, né nell’altro, si levò il benché minimo clamore mediatico: solo qualche brevissimo trafiletto, a livello di stampa locale. I mass media nazionali, silenzio. La Chiesa cattolica, nei suoi portavoce ufficiali, di solito così loquaci quando di tratta di fare mea culpa e di prostrarsi in ginocchio davanti agli esponenti delle altre religioni, silenzio assoluto. I rappresentanti del mondo islamico, silenzio assoluto. L’ambasciatore del Marocco, silenzio assoluto. Gli imam delle moschee sparse in tutta Italia, pure.
Nessuno, ma proprio nessuno, sentì il bisogno di stracciarsi le vesti, di deplorare gli infami episodi, di richiamare tutti quanti a una seria riflessione sul rispetto dovuto alla nostra religione storica (anche se, in pratica, non più praticata da milioni di persone). In particolare, nessuno parlò del dovere morale di una riparazione collettiva, di un gesto pubblico che avesse il significato di un pentimento. Eppure, il Crocifisso, fra tutti i simboli della religione cristiana, è, di gran lunga, il più prezioso, il più amato, il più sacro: esso rappresenta sia la Croce, simbolo della religione cristiana, sia la Persona stessa di Gesù Cristo, che è, per i suoi seguaci, Dio stesso incarnatosi in un corpo umano, pur conservando anche la sua natura divina.
Ricordiamo che, in Pakistan, una donna cristiana di nome Asia Bibi è stata condannata a morte per aver offeso, secondo l’accusa (sulla quale ci sarebbe molto da dire) il profeta Maometto. Dunque, gli islamici sono pronti a condannare a morte chi offende, a parole, il loro Profeta, che era pur sempre un uomo; mentre i cattolici non fanno una piega se qualcuno sputa sul Crocifisso o lo spezza con le mani, che sono, entrambe, se non andiamo errati, due maniere di offendere assai più gravi delle semplici parole, così come Gesù Cristo, in quanto Figlio di Dio e Dio Egli stesso, è, per i cristiani, assai più importante di quanto non lo sia Maometto per i musulmani, il cui unico dio è Allah. Del resto, nelle nostre strade e nei nostri locali pubblici, davanti a qualche bicchiere di vino, si può sentire frequentemente della gente che bestemmia indisturbata il nome di Dio o quello di Gesù Cristo, e anche il nome della Santa Vergine Maria.
Nessuno, però, può offendere impunemente la memoria di Anna Frank, né ciò che essa rappresenta per la nuova religione mondiale dell’Olocausto. E se poi, nonostante tutto, una cosa del genere, malauguratamente, avviene, bisogna che tutti ne soffrano, che tutti deplorino, che tutti invochino perdono, che tutti si genuflettano, che tutti arrossiscano, che tutti si auto-mortifichino, colpevoli e innocenti: i colpevoli per la loro perversità, gl’innocenti perché hanno permesso che ciò accadesse, sono stati a guardare, non hanno vegliato, non hanno vigilato a dovere, non hanno prontamente reagito.
I rabbini si attendono parole di scuse da parte dell’intera comunità italiana, sono necessari pellegrinaggi di riparazione alla Sinagoga; e se, per caso, vi è motivo di sospettare che quei pellegrinaggi siano solo l’espletazione di una mera formalità, allora il mazzo di fiori offerto dal peccatore poco pentito viene gettato nel Tevere, a significare l’implacabile sdegno di quanti custodiscono gelosamente la memoria della Shoah (perché bisogna dire così: Shoah, adoperando la parola ebraica, non basta dire Olocausto, benché già Olocausto sia una inaccettabile forzatura della parola, visto che essa designa il sacrificio volontario di una vittima a dio, e non può quindi designare il dramma degli ebrei che, senza averlo voluto, né desiderato, vennero trascinati nei campi di sterminio nazisti, e non certo in nome di un dio).
Insomma, bisogna essere contriti per davvero e non far finta, perché questo aggiungerebbe un nuovo oltraggio all’oltraggio originario: quello di aver scherzato con la sacra immagine di una ragazzina ebrea, morta nel campo di Bergen-Belsen, figlia di un imprenditore ebreo-tedesco: Anna Frank, appunto. E sia ben chiaro che non è su di lei o sulla sua memoria che ci permettiamo, ora, di fare la benché minima ironia; ma, semmai, sullo sfruttamento propagandistico, iperbolico, inverosimile, che è stato fatto dell’episodio dello Stadio olimpico di Roma, ingigantito e amplificato molto al di là di ogni senso del limite e di ogni ragionevolezza.
Ora, almeno, le cose sono un po’ più chiare; un po’ di luce è entrata nella fitta penombra spirituale, che da anni era scesa su di noi. Ora sappiamo qual è la nostra religione: “nostra” forse non nel senso che ci appartiene e ci riconosciamo in essa, ma nel senso che è essa a possedere noi, a disporre di noi, a esigere da noi, alla minima offesa, gesti significativi di contrizione e di riparazione: dalla lettura delle pagine del Diario di Anna Frank allo Stadio, per catechizzare i tifosi renitenti e increduli, fino alle visite di cordoglio alla Sinagoga, e ai commenti sdegnati delle massime autorità politiche e civili: Gentiloni, Renzi, Mattarella, nessuno ha voluto stare indietro, nessuno ha preferito tacere, ma ciascuno di essi ha fatto a gara con tutti gli altri nel dire la sua, nel domandare scusa, nel manifestare il proprio sdegno, il proprio orrore, la propria profonda, inconsolabile deplorazione, unita a una ferma domanda di punizione esemplare per i criminali blasfemi, autori di un oltraggio tanto perfido e inumano.
[…]
Per intanto, qualcosa abbiamo capito – ma lo abbiamo capito così, incidentalmente e quasi per combinazione: ossia che, ora come ora, non siamo più cattolici, ma seguaci della religione dell’Olocausto; e che si può scherzare su Dio e sui Santi, ma non su Anna Frank. Abbiamo capito che scherzare su Anna Frank, oltre che idiota, è pericoloso: la polizia ha individuato gli autori della profanazione, e, se si muove la polizia, vuol dire che siamo in presenza di un reato, punibile a termini di legge. Questo, quando la bestemmia contro Dio e contro i simboli del cattolicesimo è stata derubricata dal codice penale, non è più un reato ma un semplice illecito amministrativo.
È chiaro, tuttavia, che la religione dell’Olocausto, fondata sul senso di colpa collettivo, non è la meta finale: il treno è ancora in corsa. Fin dove ci porterà? Vogliamo azzardare una previsione: l’ultima tappa sarà la religione dell’Uomo, la sua auto-divinizzazione. Ma non sarà che la maschera, la facciata. Dietro, s’intravede il ghigno di qualcun altro. Proviamo a indovinare?…
di Francesco Lamendola
Fonte: http://www.accademianuovaitalia.it
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