Qualche giorno fa il presidente Trump ha proposto, come soluzione alle continue stragi scolastiche in USA, di armare gli insegnanti, con fondi pubblici. Ciò è stato variamente commentato. Propongo di considerare questa uscita come “caduta dei freni inibitori”, nei piani alti del potere.
Appare essere un fenomeno generale. Nel giugno scorso il senatore Hary Reid, democratico, quando Trump aveva appena vinto la nomination repubblicana, in una intervista alla CNN, dopo aver spiegato che Trump “non controlla la testa né la lingua”, aveva esortato la CIA così: “Dategli briefing falsi. Tanto, non capisce la differenza”. Così, con l’aria più tranquilla e seria del mondo. Potete vedere qui nel video il senatore Reid, uomo anziano e apparentemente posato, dire una cosa del genere. Persino il giornalista della CNN è esterrefatto: “Vuol dire di mentirgli?”.
Pensate solo che un presidente Usa come Trump che “non si controlla” può ordinare un lancio preventivo di missili nucleari contro la Russia, sulla base di un falso briefing della CIA; ma che dire dei freni inibitori del senatore Reid? Li ha completamente perduti. Uno, in quanto democratico militante, può anche “pensare” una cosa del genere; può spingersi a sussurrarla ad un amico militante; ma dichiararla pubblicamente, alla CNN, vuol dire che ha abolito completamente quella interiore istanza morale (o almeno di prudenza) che impedisce di proclamare ad alta voce dei crimini: perché ovviamente sta consigliando la CIA di commettere alto tradimento, e lui stesso, Reid, si rende colpevole di tradimento.
Gli esponenti del Deep State anti-Trump si sono prodotti in numerosi ed impressionanti allentamenti dei freni inibitori: dirigenti FBI, capi della Cia, senatori democratici, “grandi giornalisti”, non si sono trattenuti dal mentire pubblicamente e platealmente, dal creare falsi dossier per “provare” il Russiagate, dal minacciare di morte il presidente, a calpestare la lealtà che si deve, dopotutto, alla istituzione. E lo hanno fatto apertamente, a vista del pubblico per così dire.
Un così enorme abbandono di ogni inibizione non può avere che una causa: l’abitudine a compiere crimini impunemente. Sapersi in grado di, che so, uccidere persone a migliaia di chilometri di distanza senza averne mai rischiato di risponderne, anzi – senza averne mai dovuto rispondere in un certo senso per statuto, essendo ciò approvato dal potere costituito, il modus agendi normale della Superpotenza – ha ottuso le coscienze al punto, che essi tradiscono le loro volontà criminali, penalmente rilevanti, senza nemmeno accorgersene.
Questo callo nasce dall’11 Settembre.
Gente che ha ucciso 3 mila suoi concittadini, ne ha accusato altri e l’ha fatta franca, non ha la minima remora ad uccidere e distruggere intere popolazioni, come ha fatto in Irak e Afghanistan, e sta facendo in Siria.
Ma così ha assunto la figura del delinquente che si rivela dicendo cose che una persona normale nemmeno pensa. Ma se ci guardiamo attorno, vediamo lo stesso nei nostri ambienti; i social specialmente, sono il teatro della perdita dei freni inibitori verbali da parte di individui di livello morale abietto, che si nascondono dietro l’anonimato per dire cose orribili, che so, della Boldrini – e la Boldrini che da par sua perde le staffe e mobilita la Digos per un fenomeno spaventoso e disgustoso sì, ma che tocca chiunque si esponga sul web – non escluso il sottoscritto. In ogni caso i “discorsi d’odio”, che danno la scusa al potere costituito per la censura, sono effettivamente il segno di un degrado educativo, morale, antropologico di una parte (temo) maggioritaria della società: anche qui la perdita di freni inibitori testimonia la disassuefazione a giudicarsi e controllarsi, l’abolizione interiore della istanza etica o anche solo dalla buona educazione o cortesia.
Abbiamo appreso da Vittorio Feltri, che ne ha scritto su Libero, che Mario Calabresi – sì, il direttore di Repubblica, nientemeno, “anziché argomentare i motivi che lo inducono a contestare pubblicamente le mie osservazioni offerte ai lettori, mi ha bombardato mezza mattinata di insulti privati, utilizzando sms in serie trasmessi ovviamente con il cellulare. Una sequela di lagne alternate a ingiurie tipiche di un ragazzino bullo e isterico. Niente di drammatico. Sono abituato ad affrontare i maleducati e perfino i cafoni.[….] Sono pronto a stampare su Libero i messaggi che il signor direttore di Repubblica mi ha inviato. A leggerli c’ è da divertirsi. Serviranno anche a comprendere la statura culturale dell’autore dei medesimi”.
Ora, anche questo fenomeno indica un allentamento inaudito dei freni inibitori. Che un direttore giovane della sinistra illuminata detesti il vecchio Feltri, d’accordo; ma che la sua furia superi il quadro della polemica politico-giornalistica per sfociare negli insulti privati via SMS, dice il crollo nell’infantilismo rabbioso di chi sente di aver perso argomenti e sente messo in pericolo il suo potere, non solo: il sistema di potere che gli ha affidato il giornale.
Accadde prima della Grande Guerra
Orbene: questo tipo di frenesia, rabbia generale, plateale abbandono di massa e delle elite nell’infantilismo cattivo, è un preciso “stato d’animo collettivo” (état d’esprit, direbbe Guénon) – che prelude e rende inevitabili le tragedie europee. Esso possedette le anime della classi dirigenti poco prima della Grande Guerra. In La Montagna Incantata, Thomas Mann (che ne fu anch’egli posseduto, e lo riconobbe) lo racconta come si manifestò nell’albergo per tubercolotici di lusso di Davos:
“…Nel Berghof cominciò ad aggirarsi qualcosa, uno spirito, del quale Castorp [il protagonista] la diretta discendenza dal demone di cui abbiamo menzionato il nome maligno…Aveva studiato quel demone, trovando persino dentro di sé sospette possibilità di partecipare largamente al mostruoso servizio che i contemporanei gli dedicavano. […] Notò con spavento che anche lui, appena si lasciava andare, era, nell’aspetto, con la parola, nel contegno, vittima di un’infezione alla quale attorno a lui nessuno sfuggiva.
“Di che si trattava? Che cosa aleggiava nell’aria? – Smania di risse. Irritazione con minaccia di crisi. Indicibile impazienza. Tendenza generale a battibecchi velenosi, a scoppi di collera, persino alla zuffa. Litigi accaniti, incontrollati diverbi sbottavano ogni giorno tra individui o interi gruppi, ed era significativo il fatto che i non implicati, invece di essere nauseati dallo stato dei furiosi e interporsi, partecipavano invece con simpatia, e mentalmente si lasciavano prendere dal delirio. Impallidivano e tremavano. I loro occhi mandavano lampi aggressivi, le labbra si torcevano con furore. Invidiavano agli scatenati il diritto, l’appiglio di gridare. Una trascinante voglia di imitarli torturava il corpo e l’anima; e chi non aveva la forza di ritirarsi nella solitudine era irrimediabilmente attratto nel vortice. I vani conflitti, le reciproche accuse al cospetto delle autorità – affannate a metter pace, ma anch’esse paurosamente facili all’urlante villania, si accumulavano al Berghof (…)”.
Siamo in pieno contagio psichico. Ed è inutile negare che infetta in qualche misura ciascuno di noi, “irrimediabilmente attratti nel vortice”.
Anche nel 1913-14, i media svolsero una parte odiosa nel diffondere il contagio psichico:
“Certi giornalisti britannici furono accusati dai loro contemporanei di “avvelenare deliberatamente le relazioni anglo-tedesche e di creare con il loro allarmismo (scaremongering) un tal clima nell’opinione pubblica, che la guerra fra le due Grandi Potenze divenne inevitabile” (The Scaremongers: the Advocacy of War and Rearmament 1896-1914, di A.J.A. Morris, Londra 1984)
di Maurizio Blondet
Fonte: maurizioblondet.it
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