La tecnica utilizzata dagli “atleti della memoria” per ricordare lunghissime sequenze di numeri o di parole consente anche alle persone normali di raggiungere prestazioni mnemoniche simili: lo ha dimostrato una nuova ricerca sperimentale, che ha evidenziato alcune differenze nelle connessioni cerebrali dei soggetti sottoposti a uno specifico addestramento (red)
Li chiamano “atleti della memoria” e il loro sport è ricordare lunghissime sequenze di numeri, parole o di simboli senza nessuna correlazione tra loro.
Molte di queste persone attribuiscono la loro capacità straordinaria all’uso del cosiddetto “metodo dei loci” o di sistemi mnemonici simili. Un nuovo studio apparso sulla rivista “Neuron” e firmato da un gruppo di ricercatori della Stanford University School of Medicine ha dimostrato ora che il metodo può essere insegnato a persone senza particolari doti di memoria, che così si avvicinano per capacità mnemoniche ai soggetti più dotati.
Il motivo è da ricercare, secondo i dati di imaging cerebrale, negli schemi di attività cerebrale che vengono attivati dal metodo dei loci.
Il metodo vanta antichissime origini: veniva infatti usato dagli oratori greci e latini e ha lasciato traccia anche nel lessico italiano, nelle espressioni “in primo luogo” e “in secondo luogo”.
Esso si basa sull’associazione di ogni elemento da ricordare con l’immagine di un oggetto collocato lungo un percorso, che viene ripercorso mentalmente quando si devono richiamare i ricordi.
Dresler, coautore dello studio, iniziò a interessarsi degli atleti della memoria nel 2013, acquisendo dati su 23 dei migliori 50 classificati nel Campionato mondiale della memoria, una competizione in cui gli iscritti si confrontano con sequenze di decine di migliaia di parole, carte da gioco, date storiche e numeri.
Un dato interessante è che nella vita di tutti i giorni, gli atleti della memoria non usano le loro facoltà, come se queste fossero esclusivamente frutto della tecnica dei loci. Ma cosa succederebbe se quest’ultima fosse utilizzata dalle persone normali?
Per capirlo, Dresler e colleghi hanno coinvolto in uno studio sperimentale 17 atleti della memoria e 51 non atleti.
Prima dei test di memorizzazione, tutti i partecipanti sono stati sottoposti a scansioni di risonanza magnetica funzionale con l’indicazione di rilassarsi e lasciare vagare la mente. In questo modo i ricercatori hanno potuto monitorare l’attività delle diverse reti che connettono aree differenti del cervello.
Tutti i volontari poi sono stati sottoposti a un primo test che consisteva nel memorizzare una sequenza di 72 parole. Dopo 20 minuti, gli atleti della memoria riuscivano a ricordare in media 71 parole su 72, mentre i non atleti 40.
In seguito, gli autori hanno suddiviso i non atleti in tre gruppi: il primo gruppo non ha ricevuto alcun addestramento, il secondo e il terzo invece sono stati addestrati con il metodo dei loci oppure con un metodo per incrementare la memoria a breve termine.
Dopo le sei settimane di addestramento, tutti e tre i gruppi sono stati sottoposti a nuove scansioni di risonanza magnetica a riposo e a nuovi test di memoria in tre sessioni diverse e a distanze diverse dal termine dell’addestramento: 20 minuti, 24 ore e quattro mesi.
L’analisi dei dati ha mostrato che le capacità mnemoniche dei soggetti sottoposti all’addestramento con il metodo dei loci erano drasticamente migliorate: i non atleti hanno infatti raggiunto, in media, quasi le stesse prestazioni degli atleti, anche dopo quattro mesi dal termine dell’addestramento.
Inoltre, le scansioni di risonanza magnetica hanno mostrato che i loro schemi di connettività funzionale erano simili a quelli degli atleti.
Per contro, nel gruppo che aveva seguito il metodo della memoria a breve termine non sono emersi né miglioramenti delle prestazioni mnemoniche né modificazioni dei network cerebrali.
Fonte: lescienze.it
***