Qualche anno fa ebbe inizio in Siria la cosiddetta “Primavera araba” e Assad sembrava destinato a soccombere, così come era successo a Gheddafi in Libia. I ribelli, armati fino ai denti e addestrati dagli Stati Uniti (per ammissione di Obama in persona) avevano già occupato ampi territori siriani e si stavano avvicinando a Homs e Damasco.
Gli occidentali erano pronti a intervenire in sostegno dei ribelli, replicando il modello già collaudato in Libia, e adducendo la stessa motivazione: “Assad è uno spietato dittatore che sta uccidendo il suo popolo”, così come si era detto di Gheddafi. Niente di nuovo sotto il sole, la solita distruzione.
La Siria però non è la Libia
Qui però le cose sono andate diversamente. La Russia di Putin ha fornito sostegno logistico e militare al governo della Siria, da sempre suo alleato, ed ha schierato una parte importante della sua flotta davanti alle coste siriane, a titolo di avvertimento. E questo ha congelato la situazione. Nei mesi successivi è sorta l’ISIS, dal nulla, in territorio controllato dagli Stati Uniti, anche questi armati fino ai denti e ben addestrati, e le cose si sono complicate. Ma la Russia non ha lasciato Assad e la Siria al loro destino, nonostante le forti pressioni di tutti i paesi occidentali.
Perché la Siria no?
Ci sono delle forti motivazioni che spiegano il comportamento di Putin. A parte l’aspetto strategico, questo è infatti l’unico governo “amico” in questa zona ed è anche un alleato fidato dei russi, bisogna considerare che la Siria ha uno sbocco sul Mediterraneo e sul suo territorio possono transitare eventuali gasdotti diretti verso l’Europa. Lo sbocco sul Mediterraneo garantisce ai russi la possibilità di ormeggiare le loro navi al di là dei Dardanelli, quindi al riparo da ogni eventuale veto di passaggio turco.
Per il momento la Russia è il più importante fornitore di gas naturale dei paesi europei. Se la Siria dovesse essere attraversata da gasdotti che portano in Europa il gas dei paesi “filo-americani”, quali da esempio l’Arabia Saudita e, soprattutto il Qatar, per la Russia sarebbe la fine. Perderebbe un mercato di sbocco di fondamentale importanza per la sua stessa sopravvivenza.
Basterebbe un embargo energetico a carico dei russi, cosa semplice da ottenere per gli Stati Uniti, e la Russia verrebbe esclusa dalle forniture di gas. Ne conseguirebbe una drastica diminuzione delle sue entrate finanziarie. Da lì al tracollo il passo è breve. Per questo motivo Putin non abbandona Assad. Non se lo può permettere.
Morto per morto, è meglio rischiare un improbabile scontro diretto con gli occidentali, piuttosto che morire agonizzante per mancanza di introiti, magari sopraffatto da una “Primavera russa” organizzata ad hoc, come ben insegna l’onnipresente Navalny, già addestrato per questo.
di Alba Giusi
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Ripubblicazione di un precedente articolo datato 3.10.2015.
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