Hitler era razzista? «Sono esente da ogni odio razziale... non disprezzo le altre razze» (sue testuali parole). Paolo Germani - www.altreinfo.org

Hitler era razzista? «Sono esente da ogni odio razziale… non disprezzo le altre razze» (sue testuali parole). Paolo Germani

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Hitler era razzista? Sembra una domanda retorica, quasi una provocazione. Non passa giorno che un giornale, un telegiornale, un intellettuale, un insegnante non ce lo ricordi o non lo dica ai nostri figli. Chiunque ve lo potrà confermare:

«Hitler incarna il peggio dell’umanità, era razzista, omofobo, violento, sterminatore di innocenti, antidemocratico. Era un mostro, una vera e propria belva assetata di sangue».

E quindi tutti abbiamo l’obbligo di vigilare perché non nasca un nuovo Hitler. E naturalmente anche i nazisti, Mussolini e i fascisti erano deplorevoli razzisti. Tutti lo erano.

All’apparenza, su questo argomento non ci sono dubbi.

Ma è proprio così, Hitler era un razzista senza scrupoli, un suprematista bianco o ariano, come lo dipingono oggi?

Beh, per saperlo non abbiamo altra scelta se non esaminare documenti storici e attingere direttamente alle fonti. E per fortuna ne abbiamo molte.

Le prime leggi discriminatorie verso gli ebrei

La prima legge discriminatoria del ventesimo secolo venne approvata in Ungheria, subito dopo la caduta del regime del terrore rosso di Bela Kun. E’ stato un periodo estremamente violento, durato soltanto 133 giorni. Volavano le teste e l’Ungheria finì per essere sconvolta dalla rivoluzione. A capo di quel governo così violento c’era un ebreo, Bela Kun. Anzi, quel governo era formato quasi esclusivamente da ebrei.

Dopo la caduta di Bela Kuhn e dei suoi seguaci il potere andò all’ammiraglio Horthy, il quale promulgò le prime leggi discriminatorie verso gli ebrei. Lo scopo di queste leggi era quello di tenere sotto controllo la minoranza ebraica, limitando il suo potere. L’Ungheria era rimasta sconvolta dalla violenza del regime di Bela Kun e aveva, per la prima volta nella sua storia, identificato negli ebrei un nemico, anziché un semplice connazionale di religione ebraica.

E di certo non aiutava il fatto che il regime bolscevico, altrettanto cruento se non di più, fosse capeggiato anche quello da un folto gruppo di ebrei.

La legge, detta “Numerus Clausus” mirava ad assegnare ad ogni minoranza etnica una percentuale di accesso all’Università proporzionale alla sua consistenza numerica. Non una vera e propria discriminazione quindi, ma siccome le università ungheresi pullulavano di ebrei, la legge riduceva automaticamente il loro numero.

Naturalmente, il fascismo e il nazismo non c’entrano nulla con le leggi promulgate dall’ammiraglio Horthy nel 1920.

Era tutta farina del suo sacco. L’ammiragio Horthy, è bene precisarlo, non è mai stato fascista.

Schema applicativo delle Leggi di Norimberga. La legge si applica soltanto agli ebrei.

Schema applicativo delle Leggi di Norimberga. La legge si applica soltanto agli ebrei.

Le leggi di Norimberga

Le leggi di Normiberga vennero approvate in Germania nel 1935. Sono le cosiddette leggi razziali e riguardavano solo ed esclusivamente gli ebrei. In sostanza, se un tedesco aveva tre nonni ebrei non era più considerato tedesco, ma di razza ebraica. Erano quindi considerati stranieri, non potevano votare e non avevano gli stessi diritti dei tedeschi. Gli ebrei così definiti non potevano utilizzare i simboli della Germania, quale ad esempio la bandiera del Reich, ma potevano esporre la bandiera sionista, quella che poi diverrà la bandiera d’Israele.

Inutile specificare che i sionisti videro di buon occhio il riconoscimento della razza ebraica, così come il divieto ai matrimoni misti e la volontà tedesca di spingere gli ebrei all’emigrazione, soprattutto verso la Palestina.

Per coloro che avevano uno o due nonni ebrei scattavano altre misure restrittive e di controllo. I cosiddetti mezzi ebrei o ebrei per un quarto potevano e dovevano integrarsi coi tedeschi. In caso contrario venivano considerati ebrei puri ed assimilati al primo gruppo. Questa era la logica di queste leggi, molto difficili da applicare. Ma ricordiamo che durante la seconda guerra mondiale ben ventiquattro alti ufficiali dell’esercito tedesco e 150 mila soldati erano in parte ebrei.

Ci teniamo a precisare che le leggi di Norimberga si applicarono soltanto agli ebrei e a nessun altro. Ed è anche bene precisare che non ci furono azioni o dichiarazioni discriminatorie da parte di Hitler, che non riguardassero solo e soltanto gli ebrei.

La propaganda ebraica dell’epoca cercò in tutti i modi di attribuire ad Hitler un generico razzismo, ad esempio inventando di sana pianta il fatto che Hitler non volle stringere la mano di Jesse Owens, atleta nero vincitore di ben quattro medaglie d’oro durante le olimpiadi di Berlino. Ma, questa storia inventata non corrisponde al vero, come ebbe a dichiarare in ogni dove lo stesso Owens e a scriverlo anche nelle sue memorie.

«Dopo essere sceso dal podio del vincitore, passai davanti alla tribuna d’onore per rientrare negli spogliatoi. Il Cancelliere tedesco mi fissò, si alzò e mi salutò agitando la mano. Io feci altrettanto, rispondendo al saluto. Penso che giornalisti e scrittori mostrarono cattivo gusto inventando poi un’ostilità che non ci fu affatto.»

L’atleta ha sempre sostenuto che le uniche discriminazioni le aveva subite nel suo paese, gli Stati Uniti d’America, e non di certo in Germania. La sua fraterna amicizia con il tedesco Luz Long, che lo aiutò a vincere una delle medaglie, ne è testimonianza.

Torniamo quindi alla domanda iniziale e diamo una risposta sulla base delle leggi del Reich:

Hitler era razzista?

Hitler credeva nell’esistenza delle razze, ma non ha mai espresso idee razziste o suprematiste. Non credeva che la mescolanza delle razze fosse positiva. Anche se riconosceva che in alcuni casi la mescolanza aveva prodotto buoni risultati.

Le leggi di Norimberga stabilivano che gli ebrei appartenevano ad una razza diversa da quella tedesca, non inferiore, ma semplicemente diversa. Hitler voleva che gli ebrei se ne andassero via dalla Germania, non perché inferiori o diversi, ma perché non erano integrabili e distruggevano il tessuto sociale tedesco a proprio vantaggio. Per i mezzi ebrei lasciava invece aperta la strada all’integrazione, ma non dovevano sposare altri mezzi ebrei.

E’ nota la collaborazione del regime nazista con i sionisti, che Hitler apprezzava e aiutava in quanto lottavano per ottenere una terra in cui costruire la propria patria.

Adolf Hitler era razzista? La risposta non è così scontata

Le testimonianze scritte di Hitler sul razzismo

Andiamo adesso ad esaminare le testimonianze scritte di Hitler. Le possiamo leggere nel cosiddetto Testamento Politico di Hitler. Si tratta di un documento, composto da circa 30 pagine, che Hitler dettò a Bormann nei mesi di febbraio-aprile del 1945, poco prima della capitolazione della Germania. Il documento venne pubblicato per la prima volta negli anni cinquanta. La riflessione che interessa il razzismo di Hitler è datata 13 febbraio 1945. Naturalmente, si tratta di considerazioni personali di Hitler che riportiamo fedelmente in quanto hanno una valenza storica.

A scanso di equivoci, trascrivere il documento non significa condividerlo. Il neretto è stato utilizzato per segnalare i contenuti collegati in modo diretto al razzismo di Hitler.

Il Testamento Politico di Hitler. 13 febbraio 1945

«… Furono gli ebrei stessi a suscitare l’antisemitismo. Nel corso dei secoli, tutti i popoli del mondo, dagli antichi egiziani a noi stessi, hanno reagito esattamente nello stesso modo. Giunge il momento in cui essi si stancano di essere sfruttati dal disgustoso ebreo; sussultano e si scrollano, come un animale che cerca di liberarsi dei parassiti dai quali è infestato. Reagiscono brutalmente e infine si ribellano.

È una reazione istintiva, una reazione di ripugnanza contro un individuo estraneo che si rifiuta di adattarsi al tutto e di divenirne parte, un parassita che aderisce all’ospite, gli si impone e lo sfrutta all’estremo. L’ebreo è per natura un parassita che non può e non vuole essere assimilato.

Una caratteristica distintiva dell’ebreo consiste nel fatto che, a differenza degli altri stranieri, egli pretende ovunque tutti i diritti di cittadinanza della comunità che lo ospita, e al contempo rimane sempre ebreo. È un suo diritto, secondo lui, che gli si consenta di scorrazzare con la lepre e di cacciare con i segugi; ed è il solo uomo in tutto il mondo a pretendere un privilegio così stravagante.

… Se vincerò questa guerra; porrò termine al potere mondiale degli ebrei e vibrerò loro un colpo mortale dal quale non si riprenderanno mai. Ma se perderò la guerra, ciò non significherà affatto che il loro trionfo sia assicurato; in quanto saranno essi stessi a perdere la testa. Diverranno arroganti a tal punto da provocare una violenta reazione contro di loro. Continueranno, naturalmente, a scorrazzare con la lepre e a cacciare con i segugi, a pretendere i privilegi della cittadinanza di tutti i paesi e, senza sacrificare il loro orgoglio, seguiteranno a rimanere, prima di ogni altra cosa, membri della Razza Eletta.

L’ebreo sfuggente e furtivo scomparirà per essere sostituito dall’ebreo vanaglorioso e ampolloso; e quest’ultimo sarà insopportabile quanto il primo… forse anche di più. Non esiste, quindi, alcun pericolo che l’antisemitismo possa scomparire, poiché sono gli ebrei stessi a gettare olio sul fuoco e a fare in modo che esso sia bene alimentato. Prima che possa scomparire l’opposizione al male, deve scomparire il male stesso. E da questo punto di vista, si può far conto sugli ebrei: finché essi sopravviveranno, l’antisemitismo non tramonterà mai.

Il testamento politico di Hitler, dettato al suo collaboratore Baumann in cui sostiene di non essere razzista

Nel dir questo, posso assicurare di essere del tutto esente da ogni odio razziale: in ogni caso è indesiderabile che una razza debba mescolarsi con altre. Eccezion fatta. per alcuni successi imprevedibili, ch’io sono disposto a riconoscere, gli incroci sistematici non hanno mai dato luogo a buoni risultati. Il desiderio di rimanere razzialmente pura è una prova della vitalità e della robustezza di una razza.

L’orgoglio della propria razza – e questo non implica disprezzo per le altre razze – è anch’esso un sentimento sano e normale. Io non ho mai ritenuto che i cinesi e i giapponesi fossero inferiori a noi. Appartengono ad antiche civiltà, e sono dispostissimo ad ammettere che il loro passato storico sia superiore al nostro; hanno il diritto di esserne fieri, così come noi abbiamo il diritto di essere fieri della civiltà alla quale apparteniamo. Io ritengo, invero, che quanto più i cinesi o i giapponesi rimarranno fermi nel loro orgoglio razziale, tanto più mi riuscirà facile andare d’accordo con essi.

…. Nel suo crogiolo il Nazionalsocialismo fonderà e unificherà tutte quelle doti che sono tipiche dello spirito tedesco; e da esso emergerà la Germania moderna, industriosa, coscienziosa, sicura di sé eppure, nello stesso tempo, semplice, orgogliosa non già di se stessa o di quello che essa è, ma della sua appartenenza a una grande entità che desterà l’ammirazione di altri popoli. Questa sensazione di superiorità collettiva non implica in alcun modo il minimo desiderio di schiacciare o sopraffare gli altri.

In certe occasioni, lo so bene, abbiamo esagerato nel culto di questo sentimento, ma ciò fu necessario all’inizio e fummo costretti a spingere rudemente i tedeschi per riportarli sulla strada giusta. È nella natura delle cose che una spinta troppo violenta in una qualsiasi direzione determini invariabilmente una spinta altrettanto violenta nella direzione opposta. Tutto ciò, naturalmente, non può essere compiuto in un giorno, ma richiede la lenta pressione del tempo.

… Il nostro orgoglio razziale non è aggressivo se non per quanto concerne la razza ebraica. Ricorriamo al termine razza ebraica solo per comodità, poiché in realtà e dal punto di vista genetico una razza ebraica non esiste. Esiste, tuttavia, una comunità alla quale, in effetti, il termine può essere applicato e la cui esistenza è ammessa dagli stessi ebrei.

Trattasi del gruppo spiritualmente omogeneo al quale aderiscono di proposito gli ebrei di tutto il mondo, indipendentemente dal luogo in cui si trovano e dal paese in cui risiedono; e a questo gruppo di esseri umani noi diamo il nome di razza ebraica. Non si tratta, si badi, di una entità religiosa, benché la religione ebraica serva loro da pretesto per presentarsi come tali; e non si tratta neppure di un insieme di gruppi, uniti dai legami di una religione comune.

La razza ebraica è in primo luogo e soprattutto una razza astratta della mente. Si riconosce che ha le proprie origini nella religione ebraica, e questa religione, inoltre, ha avuto una certa influenza nel formarne le caratteristiche generali; nonostante tutto ciò, comunque, non è in alcun senso della parola un’entità puramente religiosa, in quanto accetta in condizioni di parità sia gli atei più decisi, sia i più sinceri e praticanti credenti.

A tutto ciò si deve aggiungere il legame che è stato forgiato da secoli di persecuzioni, benché gli ebrei abbiano opportunamente dimenticato che sono stati essi stessi a provocare tali persecuzioni. Né gli ebrei posseggono quelle caratteristiche antropologiche che possono distinguerli come una razza omogenea: D’altro canto, non si può negare che ogni ebreo del mondo abbia in sé alcune gocce di puro sangue ebraico. Se così non fosse, sarebbe impossibile spiegare la presenza di certe caratteristiche fisiche sempre comuni a tutti gli ebrei, dal ghetto di Varsavia ai bazar del Marocco… il naso sgradevole, le crudeli perfide narici e così via.

Una razza della mente è qualcosa di più compatto, di più duraturo di una razza pura e semplice. Si trapianti un tedesco negli Stati Uniti e lo si tramuterà in un americano. Ma l’ebreo rimane ebreo ovunque egli vada, una creatura che nessun ambiente può assimilare. È la caratteristica struttura mentale della sua razza a renderlo refrattario ai processi dell’assimilazione. Ed ecco, in un guscio di noce, la prova della superiorità della mente sulla carne!

Il predominio davvero stupefacente da essi conseguito nel corso del diciannovesimo secolo, diede agli ebrei la sensazione del loro potere e fece sì che si togliessero la maschera; ed’ è stato proprio questo a darci il modo di opporci ad essi in quanto ebrei, autoproclamatisi tali e fieri di ciò. E se si tiene presente quanto sono creduli i tedeschi, ci si rende conto che dobbiamo essere estremamente grati di questo improvviso eccesso di franchezza da parte dei nostri più mortali nemici.

Io sono sempre stato assolutamente franco nel mio modo di agire con gli ebrei. Alla vigilia della guerra, diedi loro un ultimo avvertimento. Dissi agli ebrei che, se avessero causato un altro conflitto non sarebbero stati risparmiati, e che io avrei sterminato i parassiti di tutta l’Europa e questa volta definitivamente. A tale avvertimento essi ribatterono con una dichiarazione di guerra e affermarono che ovunque al mondo esistesse un ebreo, là esisteva altresì un nemico implacabile della Germania Nazionalsocialista.

Bene, abbiamo inciso l’ascesso ebraico; e il mondo dell’avvenire ci sarà grato in eterno.»

 

di Paolo Germani

Fonte: www.altreinfo.org

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