la Germania non uscì dalla crisi del ventinove grazie alla costruzione di armi, come si legge finanche troppo spesso nella stampa mainstream, bensì grazie agli investimenti in infrastrutture ed alla produzione di beni di consumo destinati sia al mercato interno che a quello estero.
L’artefice di questo miracolo economico senza eguali nella storia moderna fu Hjalmar Horace Greely Schacht, un ebreo tedesco che lavorò per il bene del suo paese e mise a disposizione della Germania la sua genialità e le sue competenze.
Alla fine della Guerra Hjalmar Schacht si rese disponibile ad aiutare altri paesi, prodigandosi ancora per il benessere di altri popoli. La storia di questo straordinario personaggio è raccontata, in due parti, da Maurizio Blondet.
Quando Hjalmar Schacht fu invitato in Indonesia
Un articolo di un periodico indonesiano di storia, ricorda come una delegazione guidata dal ministro delle finanze Jusuf Wibisono bussò alla casa di Bleckede, in Bassa Sassonia, dove l’ex banchiere centrale di Hitler abitava, per scongiurarlo di venire in Indonesia.
Anche il vasto ed arretrato paese asiatico aveva sofferto della guerra; infrastrutture e mezzi di produzione danneggiati, inflazione galoppante, svalutazione della moneta, grave squilibrio della bilancia dei pagamenti. Ovviamente, i settori strategici continuano ad essere controllati da aziende olandesi, le ex colonialiste; il commercio al dettaglio è in mano alle minoranze cinesi ed arabe; l’inesperienza dei nuovi governanti ha aggravato la situazione economica e monetaria.
Schacht dovette esitare. Chiarì che non aveva alcun desiderio di lavorare a lungo in un paese così lontano. Però, alla fine rispose come ha ricordato lui stesso nel suo libro di memorie “I miei primi 76 anni”
Poco dopo, il 3 giugno 1951, Sumitro Djojohadikusumo ( esponente del Partito socialista indonesiano, PSI) e consigliere del ministro delle finanze incaricato della bisogna, venne a prenderlo.
Schacht partì con la moglie Manci. Come si può immaginare, in un mondo appena uscito dalla guerra, il viaggio fu lungo e a tappe. Dalla Germania, si diressero a Merano e poi a Roma. Lì incontrarono S. Pamontjak, l’ambasciatore indonesiano in Italia, che fornì i documenti necessari. Dopo essersi soffermati a Roma, volarono al Cairo con la compagnia olandese KLM.
Quello del Cairo doveva essere solo uno scalo: ma invece Schacht dovette cedere alla richiesta del governo egiziano (stava per prendere il potere Nasser) che volle da lui che esaminasse la situazione economica del paese, e desse i suoi consigli. Il delegato indonesiano Sumitro dovette lasciare al Cairo il banchiere per qualche settimana, e proseguì il viaggio, per preparare la giusta accoglienza in Indonesia.
Il particolare mi sembra commovente: dice l’ammirazione e la speranza (sì, la speranza) con cui queste classi dirigenti di paesi appena usciti dal colonialismo, dall’Indonesia all’India all’Egitto, avevano guardato all’esperienza del Reich come possibile modello di liberazione dallo sfruttamento finanziario dei colonizzatori, e avevano visto nel miracolo economico hitleriano in piena Grande Depressione – di cui Schacht era il riconosciuto artefice – un’alternativa al modello capitalista liberista. Per Nasser come per Sukarno o Chandra Bose, Schacht non era il criminale nazista scampato alla forca, ma il venerato autore di un sistema di successo di cui ci si poteva fidare, perché era alternativo al capitalismo di rapina che le ex colonie conoscevano troppo bene. La fama di Schacht come maestro di un’economia nazionale nell’interesse del popolo, era stata diffusa in Asia da due economisti che sì’erano formati in Germania, Nobosuke Kishi e poi Takeo Fukuda, che prima della guerra e poi anche dopo, come ministri, avevano promosso lo sviluppo economico del Giappone applicando le ricette di Schacht.
Ciascuno di questi nuovi dirigenti del cosiddetto Terzo Mondo poteva far proprie le parole alla lettera che Schacht disse a Leon Goldensohn, lo psichiatra ebbero americano che “studiò” gli imputati di Norimberga:
“C’era solo la scelta tra comunismo e Hitler e le dirò perché Hitler vinse. Le persone non rinunciano alla religione, ai diritti, alla libertà della persona, all’opportunità di crescere con lo sforzo individuale – ciò che include la proprietà privata.
“L’altra ragione per la vittoria di Hitler è che se un intero popolo viene trattato come lo sono stati i tedeschi, dirà: “Siamo persone peggiori di altre? Siamo di razza inferiore?” Proprio come ogni singolo individuo ha bisogno e deve avere rispetto di sé, proprio come ogni famiglia è orgogliosa di tradizioni dignitose, così ogni nazione vuole mantenere il suo modo individuale, la sua cultura, la sua lingua e i suoi costumi.
“Fu sotto questi aspetti che il comunismo è fallito. I comunisti affermarono che Dio era una sciocchezza e una stupidità e predicava l’internazionalismo senza riguardo per i naturali sentimenti nazionali di una nazione. “
A Schacht si riconosce il merito di aver frenato l’iper-inflazione nel 1923 con la geniale invenzione del Rentenmark, monet coperta da una quota dei beni reali di ogni tedesco possidente, che miracolosamente prese a circolare senza corso forzoso
di aver manovrato con gli Alleati in modo che la Germania non pagherà i danni di guerra e l’immane debito estero; di aver agevolato la ripresa industriale con l’afflusso di enormi capitali americani: questi, sovrabbondanti (per gli arricchimenti bellici degli USA ) nel primo dopoguerra erano poco remunerati in patria per una politica deliberata di bassi tassi d’interesse della Federal Reserve, si riversavano altrove.
Nel 1926, il denaro era remunerato in USA il 4%, in Germania l’8. In questa prima globalizzazione, i bassi salari tedeschi stimolarono gl’investimenti industriali ; con questi capitali roventi impiegati in macchinari modernissimi,la Germania “era avviata a diventare il paese industriale più avanzato del mondo; la sete di manodopera risucchiò milioni di uomini nelle città; Berlino passò da 2 a 6,5 milioni di abitanti”, scrisse il giornalista (ebreo) Bruno Heilig nel 1938. L’abbondanza di capitali produsse, come al solito, la febbre edilizia. A Berlino i terreni rincararono del 700% . La “libera stampa” di Weimar cominciò a piangere sul fatto che essendo i fitti bloccati (durante la guerra 1914-18), i proprietari terrieri non potessero lucrare il “giusto” profitto da quei rincari. I fitti furono (ex bloccati) per legge aumentati del 125%: tutto sulle spalle dei lavoratori malpagati. Non mancarono scandalose privatizzazioni, come quella del porto fluviale di Berlino sulla Sprea (il secondo dopo Amburgo, a cui arrivavano tutti i rifornimenti alimentari per la popolazione operaia) ceduta dal comune di Berlino per – per la cifra ridicola di 369 mila marchi in unica soluzione – ad una ditta di rentier,la Schenker & Busch, a cui il comune elargì addirittura il capitale operativo, un prestito di 5 milioni di marchi.
Il grande boom a credito durò 7 anni. Le imprese industriali sovraproducevano – ma s’erano indebitate oltre ogni dire per l’acquisto dei terreni rincarati, degli impianti, degli immobili. Del resto, i capitali roventi americani erano stati risucchiati in patria dal crack del ’29. Gli industriali tedeschi cominciarono a faticare a “servire il debito”, e i “costi incomprimibili” – e cominciarono ad esigere dal governo che lasciasse loro “comprimere” la sola spesa che ritengono a cuor leggero comprimibile: i salari.
Fu a questo punto – nel 1930 – che Schacht diede le dìmissioni dalla presidenza della Reichsbank.: era evidentemente contrario ad applicare le ricette di deflazione ed austerità che il governo del cancelliere Bruening intendeva imporre come “cura” della crisi.
Poiché la potente macchina industriale produceva “troppo” nel nuovo clima mondiale recessivo dove esportava di meno, e si profilò la deflazione, gli industriali nel 1931 vollero “sostenere i prezzi” dei beni che producevano, riducendone le quantità. Con ciò, nota Heilig, “gli interessi sul debito, le tasse, gli ammortamenti e gli affitti, ossia le spese fisse, divise su un volume minore di beni, aumentarono il costo unitario di ogni bene. Il costo di produzione crebbe in proporzione inversa ai profitti, fino a divorarli”. La soluzione fu quella che prescriveva il liberismo: “I lavoratori furono licenziati in massa…con poco sollievo per i datori di lavoro: per ogni lavoratore licenziato, era anche un consumatore che spariva”.
La “benedizione” del capitale internazionale facile aveva prodotto, come sempre, questo esito: sovrapproduzione, disoccupazione, deflazione da debiti. Nel corso del 1931, per molti industriali, “i cosiddetti costi incomprimibili erano diventati insopportabili e cessarono di essere pagati”. Ovviamente, con l’insolvenza dei creditori, cominciarono a fallire le banche. Il cancelliere Bruening, allievo-modello del liberismo dottrinario, spese miliardi (dei contribuenti) per “salvare le banche”, e concesse sussidi amplissimi alle imprese in difficoltà.
La somiglianza con quel che ha fatto oggi – da vent’anni – la UE a guida Merkel, non può che sgomentare. Anche lei (con i 60 miliardi anche italiani) ha “salvato le sue banche” dall’insolvenza greca; anche lei ha favorito con ogni mezzo discutibile l’export colossale delle auto; anche la Germania d’oggi gode di un sussidio sleale essendo l’euro per essa svalutato.
E’ quindi con orrore che leggiamo le “riforme” che Bruening applicò nella convinzione di risolvere il problema. “Decretò una riduzione generale dei salari, che furono tagliati del 15%”. Per legge, si badi: quando si profila la rovina del capitale, il libero mercato non si applica più, i capitalisti reclamano l’intervento della mano visibile e pesante dello Stato.
La convinzione di Bruening – che chiamò il taglio “politica anti-deflazionista” – era che, a forza di ridurre il potere d’acquisto dei lavoratori, questo avrebbe indotto una riduzione successiva dei prezzi.
E’ l’equivalente del “fare i compiti a casa” per i paesi indebitati, delle “riforme” per diminuire il debito pubblico con avanzi primari sostenuti per decenni, che hanno fatto deperire Italia e Spagna, distrutto al Grecia. L’equivalente del malvagio programma UE che Padoa Schiopppa rivelò così, nel 2003, sul Corriere:
“Nell’ Europa, un programma completo di riforme strutturali deve oggi spaziare nei campi delle pensioni, della sanità, del mercato del lavoro, della scuola e in altri ancora. Che dev’ essere guidato da un unico principio: attenuare quel diaframma di protezioni che nel corso del Ventesimo secolo hanno progressivamente allontanato l’ individuo dal contatto diretto con la durezza del vivere”
Bruening avrebbe dovuto intervenire, se mai, nell’alleviare il peso del debito delle imprese – spesso contratto per comprare suoli sopravvalutati. Non lo fece, ovviamente. “Sette milioni di salariati, un terzo della forza produttiva, era disoccupata; la classe media spazzata via: questa – scrive Bruno Heilig – la situazione ad un anno dall’apice della prosperità”, quella prosperità indotta dai capitali esteri roventi. In quell’anno, il numero dei deputati nazisti al REichstag passò da 8 a107.
Il 5 gennaio 1931 Schacht aveva già preso i contatti col partito, molto prima della salita al potere nel 1933 a casa di Goering, insieme a Goebbels ed Hitler. Gettò tutta la sua influenza e il suo prestigio presso Hindenburg e gli ambienti bancari e industrriali – che era indiscusso – per fare andare al potere il NDSAP
Quando torna al vertice della banca centrale, trova le riserve monetarie e d’oro ridotte a zero, il debito commerciale con l’estero pauroso, i capitali esteri svaniti per sempre. La Germania insomma non ha denaro, ed ha perso i suoi mercati d’esportazione dalla recessione globale, il suo potente e moderno apparato industriale costretto al mercato interno, chiuso nei suoi angusti confini. Eppure è il solo paese ad avere quel successo che sfugge a New Deal di Roosevelt (la disoccupazione resta in Usa al 19%, il potere d’acquisto dei lavoratori ridotto a un terzo inferiore a quello che avevano prima del ’29) e l’Inghilterra nonostante lo sbocco del suo impero.
A gennaio 1933, quando Hitler sale al potere, i disoccupati sono quasi 7 milioni. A gennaio 1934, sono calati a 3,7 milioni. A giugno, non sono che 2,5 milioni. Nel 1936 sono ancora 1,6 milioni. Nel 1938 son solo 400 mila.
E ad assorbire la manodopera non è, come ha ripetuto troppe volte la propaganda occidentale, il riarmo e le sue industrie.. Fra il 1933 e il ’36, è l’edilizia ad occupare di più (più 209% rispetto a Bruening), seguita dall’industria dell’auto (+117%); il settore acciaio e metallurgia ne occupa relativamente meno (+83%) .
Come ha ottenuto Schacht questo successo? Senza stampare banconote e iper-inflazione? Anzitutto, scavalcando le banche nella fornitura di capitali alle imprese.
Ricordiamo la definizione classica dell’Enciclopedia Britannica: “La banca lucra gli interessi su tutto il denaro che crea dal nulla”: ossia aprendo fidi – assegni a vuoto – alle imprese, che poi riempiono quel nulla “servendo il debito, ossia pagano gli interessi.
Nel sistema hitleriano, è la Banca centrale di Stato che fornisce agli industriali i capitali. Non lo fa aprendo fidi, ma creando cambiali – più precisamente tratte – garantite dallo Stato, emesse da una impresa fittizia Metallurgische Forschungsgesellschaft m.b.H, gli effetti MeFo: “garantite” vuol dire che un detentore di effetti MefFo poteva chiederne lo sconto – il rimborso -alla REichsbank, che avrebbe dovuto stampare moneta creando inflazione, Di fatto, le imprese non chiederanno mai il rimborso, anche perché gli effetti MEFo rendono un interesse del 4%, e se li scambieranno come fossero moneta contante. Dei minibot o piuttosto mega-bot a circolazione interna.
Lo Stato, dal canto suo, pagava con questi effetti le commesse pubbliche che ordinò con grande lena alle imprese private : a cominciare dalla autostrade, impiego all’epoca innovativo. Ciò mise in moto il circolo virtuoso:
“All’origine, gli ordinativi dello Stato forniscono domanda di lavoro, nel momento in cui la domanda è quasi paralizzata e il risparmio inesistente; la Reichsbank fornisce i fondi necessari agli investimenti [con gli effetti MeFo]; l’investimento mette al lavoro i disoccupati; il lavoro crea dei redditi, e poi dei risparmi, grazie al quale il debito a breve precedentemente creato può essere finanziato(ci si possono pagare gli interessi) e in qualche misura rimborsato
(Così l’economista britannico C.W. Guillebaud, “The Economic Recovery of Germany, 1933-193 – Londra 1939)
Con questo denaro creato dal nulla a beneficio del popolo anziché dei banchieri, la Germania è il solo paese che prospera nel gelo della recessione mondiale. La massa salariale passa dai 32 miliardi di marchi nel 1932, a 48,5 nel 1937. I consumi alimentari aumentano (dai 42 chili di carne a testa nel ’32 si passa a 45, 9 nel ’37) E ciò senza inflazione: l’indice del costo della vita, pari a 120,6 nel ’32, è salito nel’37 a 125,1. E senza tassazione: il prelievo fiscale complessivo sul reddito nazionale del Reich è tale, da far gridare d’entusiasmo se lo realizzasse un governo liberale e democratico: 27,6%.
Ora, è evidente che gli Effetti MeFo furono un debito pubblico mascherato, che non appariva nei bilanci e dunque non cadeva sotto la damnatio del dogma liberista. Ma come ha fatto Schacht ha far dare i salari a 7 milioni di operai, senza stampare moneta?
Schacht a Norimberga rispose: se la recessione mantiene inoccupate lavoro e lavoratori, officine, materie prime disponibili, doveva esserci anche del capitale parimenti inutilizzato nelle casse delle imprese.
Col senno di poi, possiamo veder quanto aveva ragione: l’Italia deperisce sotto l’austerità europea, mentre centinaia di miliardi dei risparmiatori restano nelle banche inutilizzati e retribuiti a tasso negativo, (o sotto i materassi) per mancanza di impieghi produttivi in cui investirli.
Ora si capisce meglio come i grandi paesi di nuova indipendenza desiderassero i consigli e la visita di Schiacht come fosse la fata turchina.. … ma questo articolo, già troppo lungo, manca ancora di una parte importante.
Fra cui il tema: come mai i tedeschi, avendo sostanzialmente ragione, riescono sempre a passare dalla parte del torto.
di Maurizio Blondet
Fonte: https://www.maurizioblondet.it
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