L’usura, intesa come un ingiusto, iniquo o eccessivo guadagno ottenuto in seguito all’erogazione di un prestito, rappresenta un problema trasversale, presente ovunque al giorno d’oggi e in quasi tutte le culture antiche e zone geografiche.
O prima o poi tutti i popoli hanno dovuto affrontare il problema dell’usura, perché il diffondersi di questa pratica generava povertà, schiavitù da debiti e tensioni sociali.
Nell’antichità l’usura è stata affrontata in modo diverso dai vari popoli che ne vennero colpiti. Alcuni l’hanno accettata senza ostacolarla, salvo dover intervenire quando la situazione sfuggiva di mano, altri hanno cercato di regolamentarla, stabilendo tassi d’interesse massimi e pene per gli usurai, altri ancora l’hanno vietata e condannata senza possibilità di appello, vietando addirittura qualsiasi interesse sui prestiti.
Soltanto un popolo ha preso una strada diversa: il popolo ebraico.
Confortati dalle Sacre Scritture e dall’esperienza, gli ebrei l’hanno vietata categoricamente tra gli appartenenti alla loro comunità, riconoscendo nell’usura un enorme potenziale distruttivo del tessuto sociale, ma l’hanno ammessa senza alcuna restrizione quando essa veniva applicata agli stranieri, ovvero ai cosiddetti Gentili.
Questo singolare comportamento, in cui si applica una doppia morale, ha condizionato lo sviluppo finanziario di tutto l’Occidente ed ha influenzando in modo determinante la moderna finanza.
Le origini dell’usura nel mondo antico
Le origini dei prestiti a usura si perdono nella notte dei tempi. Alcuni dei primi riferimenti a questa pratica si rinvengono nei testi veda dell’India antica (sin dal III millennio a.C.), in cui si definisce usuraio chiunque presti qualcosa con l’intento di ottenere un guadagno, evidenziando un radicato disprezzo per una tale prassi.
All’epoca, i prestiti erano soprattutto di beni materiali, quali ad esempio orzo, sementi o argento. La moneta non era stata ancora inventata e i rapporti economici venivano regolati con il baratto.
Nei testi veda dell’Antica India non si fa alcuna distinzione tra interesse e usura. Il giudizio negativo verso qualsiasi prestito a interesse derivava soprattutto dalla constatazione che i debiti generavano nel lungo termine povertà, sofferenza e disperazione in ampi strati della popolazione. Dall’altra parte si arricchivano ingiustamente pochi soggetti, i quali venivano distolti dal lavoro, dalla moralità e dalla vita produttiva.
Nel VI secolo a.C. il Buddha denunciò più volte l’illegittimità dell’usura in quanto non rientrava in uno dei precetti fondamentali del buddismo, vale a dire il giusto sostentamento (samma ajiva). L’usura viene quindi ricompresa tra i mezzi disonesti per ottenere ricchezza, al pari di inganno e tradimento.
Ma l’origine dei prestiti a usura è molto più antica.
I prestiti a usura esistevano già al momento della nascita della scrittura cuneiforme, inventata dagli Assiri proprio per registrare e tenere memoria delle transazioni mercantili, dei crediti e dei debiti, degli incassi e dei pagamenti, nonché per regolamentare il commercio nell’Antica Babilonia.
I prestiti a interesse e usura sono quindi presenti nella vita dell’uomo da più di 5.000 anni, cioè dagli inizi del IV millennio a.C.
I babilonesi regolamentavano i tassi d’interesse, in modo tale che non fossero eccessivi, ma non onorare i debiti comportava l’assoggettamento a schiavitù dei parenti stretti del debitore e dello stesso debitore.
Il codice di Hammurabi, risalente al XVIII secolo a.C. prevedeva anche una esplicita condanna dell’usura. In esso veniva infatti detto che:
“Se il creditore prende un tasso di interesse sul prestito in orzo o in argento superiore a quanto stabilito perde ogni diritto sulla somma prestata”.
Quindi il creditore non solo perdeva il diritto a percepire gli interessi maturati ma doveva rinunciare ad ottenere il rimborso della somma prestata. Si trattava quindi di una severa condanna dell’usura già in quei tempi lontani.
Il sistema di regolamentazione del credito adottato dagli Assiri funzionava molto bene, incentivava il commercio e lo sviluppo economico, ma col passare del tempo generava iniquità sociale e povertà.
Per rimettere le cose a posto ed evitare tensioni sociali, che potevano sfociare in ribellione, i sovrani usavano prendere provvedimenti di cancellazione parziale o totale di tutti i debiti in essere, liberando anche gli schiavi per debito.
Gli assiri e i babilonesi riuscirono, in questo modo, a mantenere un sistema creditizio efficiente e funzionale per migliaia di anni, in una situazione di sostanziale progresso ed equilibrio sociale.
L’usura nel mondo ebraico
La Legge Mosaica vieta tassativamente qualsiasi tasso d’interesse, poco importa se questo è alto o basso. Ne consegue che, quando si parla di Legge Mosaica, le parole “interesse” e “usura” possono essere usate indistintamente in quanto indicano semplicemente la differenza tra quanto si presta e quanto si richiede indietro.
La parola ebraica che traduce usura, “neshek”, significa letteralmente “morso”. Gli interessi e l’usura sono quindi percepiti dalle sacre scritture ebraiche come una forma di sofferenza inflitta dal creditore al debitore.
Tuttavia, la Legge Mosaica non impone alcun limite o restrizione agli interessi applicabili ai prestiti nei rapporti tra ebrei e gentili. Pertanto, gli ebrei possono concedere prestiti ai gentili a qualsiasi tasso d’interesse, anche usuraio.
Nel mondo della finanza, gli ebrei hanno quindi goduto sin dall’antichità di un enorme vantaggio competitivo. Infatti, hanno sempre potuto esercitare la professione di prestatori di denaro senza sottostare ad alcun vincolo morale verso i gentili, mantenendo come unico obiettivo la massimizzazione del profitto e confortati in questo da leggi divine, dettate agli uomini direttamente da Dio.
Per quanto riguarda le suddette prescrizioni, esistono tre passaggi biblici fondamentali che vietano l’interesse nei rapporti tra i “fratelli” ebrei, ma che lo consentono, e per certi versi lo impongono, quando il debitore è un gentile.
Esodo XXII: 24
Se tu presti denaro a qualcuno del mio popolo, all’indigente che sta con te, non ti comporterai con lui da usuraio: voi non dovete imporgli alcun interesse.
Levitico XXV:36-37
36. Non prendere da lui interesse, né usura; ma temi il tuo Dio e il tuo prossimo viva presso di te.
37. Non gli presterai il tuo denaro a interesse, né gli darai i tuoi viveri per ricavarne un’usura.
Deuteronomio XXIII:20-21
20. Non farai al tuo fratello prestiti a interesse, né di denaro, né di viveri, né di qualunque cosa che si presta a interesse.
21 Allo straniero potrai prestare a interesse, ma non al tuo fratello, perché il Signore tuo Dio ti benedica in tutto ciò a cui metterai mano, nel paese di cui stai per andare a prender possesso.
Dello stesso tenore sono il Talmud e gli altri libri sacri, in cui troviamo ulteriori conferme di queste prescrizioni, con rigida distinzione tra il comportamento che si deve tenere con un fratello e quello che si deve invece tenere con un gentile.
La Torah prescrive anche la remissione dei debiti ogni sette anni, ma soltanto per gli ebrei.
Deuteronomio XV
1 «Alla fine di ogni sette anni concederai la remissione dei debiti.
2 E questa sarà la forma della remissione: Ogni creditore condonerà ciò che ha dato in prestito al suo prossimo; non esigerà la restituzione dal suo prossimo e dal suo fratello, perché è stata proclamata la remissione dell’Eterno.
3 Potrai richiederlo dallo straniero; ma condonerai a tuo fratello quanto egli ti deve.
La remissione dei debiti è quindi obbligatoria tra ebrei, mentre è invece opzionale verso i gentili.
La doppia morale ebraica
Il Talmud e la Torah impongono quindi agli ebrei di non sfruttare in alcun modo i fratelli, condannando severamente qualsiasi comportamento contrario. Gli stessi libri sacri non impongono alcuna restrizione nei rapporti con i gentili. Anzi, in numerosi e assai discussi passaggi del Talmud, su cui preferiamo non soffermarci, gli ebrei vengono spinti a sfruttare senza remore ogni possibilità di arricchimento quando vengono stabiliti rapporti commerciali o finanziari con i gentili.
Le Sacre Scritture sono molto chiare e sono portatrici di una doppia morale che non è presente in nessun’altra religione.
Il Dio degli ebrei è quindi un Dio etnico, che tutela soltanto il suo popolo, disinteressandosi completamente di tutti gli altri. Stabilisce regole ferree da rispettare nei comportamenti tra fratelli ebrei, ma queste regole non valgono per i gentili.
Questa nozione di fratellanza, ovunque presente nei libri sacri ha spinto il popolo ebraico a sviluppare una sorta di obbligo morale verso i fratelli ebrei, promuovendo un forte senso di responsabilità sociale collettiva tra ebrei.
La mancanza di obblighi morali nei confronti dei gentili, considerati in molte parti del Talmud alla stessa stregua di animali parlanti, essendo il termine “uomo” riservato agli ebrei, ha invece reso molto difficili i rapporti con gli altri popoli, in ogni dove e in ogni tempo.
In ambito finanziario l’agire in branco, come fratelli, benedetti da Dio, rispettando le Sacre Scritture e senza vincoli morali verso gli altri esseri umani, rappresenta un immenso vantaggio competitivo, su cui nessun altro popolo ha mai potuto contare.
Resta aperto il problema se le prescrizioni contenute nella Torah fossero già applicate nell’antichità dagli ebrei, oppure erano soltanto prescrizioni religiose disattese. Per chiarirlo ci viene in aiuto il Libro di Neemia, risalente al V secolo a.C..
Il Libro di Neemia
Ebreo nato a Babilonia, Neemia era stato servo coppiere dell’imperatore Artaserse I di Persia. Nel 440 a.C. riuscì a persuadere l’imperatore a nominarlo governatore della Giudea, la terra di origine dei suoi padri. Ottenne anche il permesso di ricostruire il tempio di Gerusalemme, distrutto da Nabucodonosor più di due secoli prima.
Nel corso della ricostruzione, vennero scoperti e poi ristrutturati alcuni testi sacri.
In certo senso, fu quello l’atto di creazione di ciò che oggi chiamiamo ebraismo.
Ma Neemia presto si trovò a fronteggiare una crisi sociale. Intorno a lui i contadini impoveriti non erano in grado di pagare le tasse e i creditori si portavano via i figli degli indigenti. La sua prima risposta fu emettere un editto di cancellazione dei debiti alla maniera tipica di Babilonia. Essendo nato lì, conosceva bene il principio.
Tutti i debiti non commerciali dovevano essere condonati.
In quel tempo, Neemia riuscì a identificare, revisionare e rinvigorire antiche leggi ebraiche sulla questione, conservate nei libri dell’Esodo, nel Deuteronomio e nel Levitico, che in certo modo si spingevano anche oltre le consuetudini babilonesi, istituzionalizzando il principio del condono dei debiti.
Tra esse la più importante è la Legge del Giubileo, che stabiliva che tutti i debiti venissero automaticamente cancellati durante “l’anno sabbatico” ovvero ogni sette anni, e che tutti coloro che per colpa dei debiti si trovassero in schiavitù fossero liberati.
Da questo racconto, ritenuto vero e attendibile dagli storici, si deduce che in quell’epoca gli ebrei disapplicavano le prescrizioni religiose e fu proprio Neemia a farle riemergere dai libri sacri, dando ad esse nuovo vigore, risvegliando le tradizioni religiose e ponendo le basi per la nascita di uno stato teocratico.
Non vi è dubbio che queste norme di comportamento, rafforzate, consolidate ed estremizzate in seguito dal Talmud, hanno condizionato il comportamento degli ebrei nei secoli successivi, risultando determinanti nello sviluppo economico e finanziario dell’Occidente.
di Paolo Germani
Fonte: www.altreinfo.org
Bibliografia:
- Debito, David Graeber
- L’usura: un fatto che si perde nella notte dei tempi, Odoardo Bulgarelli
- Endemann, Die Nationalökonomischen Grundsätze der Kanonischen Lehre, 1863, pagg. 8 e seguenti, 20 e seguenti;
- Scherer, Rechtsverhältnisse der Juden, pagg. 185-196.
SItografia
- http://www.jewishencyclopedia.com/articles/14615-usury
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L’Europa ci autorizza a indebitarci, ovvero ci dà in pasto al Leviatano della finanza. Alberto Rovis