L’usura durante l’impero romano. Paolo Germani
I prestiti a interesse e l’usura hanno radici lontane. Erano già presenti 5000 anni fa presso gli assiri, i quali cercarono di regolamentare e controllare l’usura per 3000 anni, come testimoniato dal milione di tavolette d’argilla, scritte in caratteri cuneiformi, che gli scavi archeologici condotti in tutti i siti del Vicino Antico Oriente (Siria, Iraq, Iran, ecc.) stanno restituendo alla luce.
Coloro che non pagavano i debiti diventavano schiavi dei creditori, mentre invece i creditori che applicavano tassi superiori a quelli consentiti rischiavano di perdere non soltanto il guadagno, ma anche i beni dati in prestito.
Periodicamente, gli assiri condonavano tutti i debiti al fine di prevenire sommosse e povertà. Nel lungo termine, l’usura e il debito creavano tensioni sociali, povertà e schiavitù. Da qui la necessità di combatterla.
L’impero romano non fu esente dal problema dell’usura, che è invece molto ben documentato dagli storici romani e dagli archivi imperiali.
La nascita dell’usura presso i romani
Catone il Vecchio (234-149 a.C.) nell’introduzione al suo trattato sull’agricoltura già scriveva che:
“… i nostri antenati hanno considerato e stabilito per legge che un ladro fosse condannato a risarcire il doppio, un usuraio il quadruplo”.
Da ciò si può dedurre che, secondo la valutazione dell’epoca, un usuraio era considerato un cittadino ben peggiore di un ladro.
Tacito (55-120 d.C.) ci dice nei suoi “Annali”:
“… il malanno dell’usura è vecchio in Roma ed è causa frequentissima di sedizioni e di discordie; pertanto si tentava di reprimerlo già nei tempi antichi, quando meno corrotti erano i costumi. Le XII tavole”- (451-450 a.C., primo Codice scritto romano)- “sancirono che nessuno poteva prestare denaro ad un interesse superiore al 10% l’anno, mentre questo era lasciato prima all’arbitrio dei ricchi; poi il tasso fu ridotto alla metà; finché ogni concessione di prestito ad usura fu proibita…”.
Ne consegue che in Roma I’usura esisteva già 2.500 anni fa. In alcune fasi della Repubblica il tasso d’usura sfondò addirittura il muro del 50%. Molte delle rivolte di quei periodi, da Lepido a Catilina, sono dei tentativi di sottrarre l’aristocrazia e la plebe romana all’artiglio della nuova classe dei cavalieri (banchieri, mercanti, appaltatori delle tasse) che teneva per la gola l’una e l’altra con il prestito a strozzo.
L’usura precede la stessa introduzione della moneta coniata.
I motivi che fanno nascere I’usura e ne sprigionano gli effetti indesiderati prescindono quindi dall’esistenza di un’economia di tipo monetario, anche se quest’ultima ne agevola lo sviluppo e la indirizza verso la forma del prestito in denaro.
Se il debitore non pagava ed il creditore era lo Stato, su richiesta di quest’ultimo il primo veniva venduto come schiavo con tutti i suoi averi. Se invece il prestito era avvenuto tra due privati, la procedura era più articolata in quanto doveva essere provata l’inadempienza. Una volta accertato il fatto, il debitore veniva consegnato come schiavo al creditore il quale, dopo aver inutilmente tentato per tre volte di vendere lui ed i suoi figli, poteva anche decidere di ucciderlo e squartarlo dividendosi le spoglie con gli altri eventuali creditori.
Questo sistema di tutela dei diritti del creditore verrà, in parte, mitigato con la Legge Petelia-Papiria del 326 a.C. che circoscrive, ma non elimina del tutto, i casi in cui il debitore poteva essere ridotto in schiavitù. Tale disciplina rimarrà in vigore sino a quando Cesare farà proclamare il principio che la libertà dell’individuo è salvaguardata con la cessione dei propri beni, siano essi o meno sufficienti a pagare tutti i debiti, fermo restando che un non completo pagamento avrebbe comportato la perdita dell’onore (all’epoca, forse, più sentito) e dei diritti politici.
Questa decisa tutela giuridica dei diritti dei creditori accentuava però la necessità per le classi più deboli di difendersi da quella particolare categoria di creditori che erano e sono ancor oggi gli usurai. A tal fine il diritto romano sancì che l’usura fosse configurata come illecito penale sottoposto al giudizio di una speciale commissione.
Gli storici romani testimoniano che in certi periodi il numero dei processi contro gli usurai fosse molto elevato e le relative multe comportassero rilevanti entrate per lo Stato.
Plinio il Vecchio (23-79 d.C.) nella sua Storia Naturale scrive che nel 304 a.C. con le multe applicate agli usurai era stata edificata in Roma una statua in bronzo dedicata alla Concordia. Tito Livio (59 a.C. – 17 d.C.) nella sua “Storia di Roma” ci narra che nel 296 a.C., sempre con il ricavato di dette multe, fu posta nel Foro Romano una statua della Lupa che allevava Romolo e Remo.
Sempre Tito Livio, riferendosi ad un episodio che aveva visto Marco Manlio Capitolino salvare dalla schiavitù un uomo schiacciato dai debiti (IV secolo a.C.) dice che quest’ultimo.
“… dopo aver pagato più volte il capitale, perché ogni volta il capitale se lo ingoiavano gli interessi, era sprofondato nei debiti…”.
Uno strumento per combattere I’usura fu quindi quello di fissare un tetto al tasso d’interesse da poter percepire legittimamente. Così le XII Tavole lo avevano indicato, come si è visto, nel 10% annuo.
Sembra che con il passare del tempo, tale limite non fosse di fatto più applicato, tant’è che nel 357 a.C. “i tribuni M. Duillio e L. Menenio proposero (e la plebe approvò) una legge “sull’interesse” che di nuovo avrebbe fissato nel 10% annuo il tasso di interesse massimo che le parti potevano legittimamente convenire.
Nel 347 a.C. esso verrà ridotto al 5%; alcuni anni dopo (nel 342 a.C.) si giunse anche a proibire la corresponsione di qualsiasi interesse (legge Genucia) (Tacito, Annali, VI, 16; Tito Livio, VII, 42). Quest’ultimo provvedimento sembra che non sia mai stato abrogato (anche se finirà anch’esso con il cadere in disuso) e fosse ancora in vigore a cavallo tra il I e il II secolo a.C. quindi al tempo delle guerre civili.
L’espansione del fenomeno, la tutela del debitore
Le banche si diffusero capillarmente in alcune zone di Roma antica. I cambiavalute erano collocati nella parte anteriore della Basilica Sempronia (poi Basilica Giulia). Altre botteghe di questo tipo verranno aperte nella parte opposta della piazza del Foro ove sorgerà la Basilica Emilia.
Con il trascorrere del tempo i cambiavalute si insedieranno sul lato destro della via che dal Foro sale verso il Campidoglio costeggiando un’area ove a partire dal 54 a.C. inizierà a sorgere il Foro di Cesare.
Accanto a questi ultimi cambiavalute ed a ridosso del Foro di Cesare verrà edificata, tra il I ed il II secolo d.C.. la Basilica Argentaria ove i potenti banchieri romani si incontravano per concludere i più importanti affari del vasto impero di Roma che in quel tempo toccava il suo apogeo avendo assoggettato il mondo conosciuto.
Intorno al centro della piazza del Foro Romano si veniva delineando ed evolvendo nel tempo una complessa struttura finanziaria volta a soddisfare le necessità monetarie e finanziarie del momento (sia pubbliche che private), struttura nella quale I’usura tendeva ad assicurarsi un suo spazio operativo.
D’altronde la decadenza dei costumi che nel corso di un secolo aveva portato, attraverso le guerre civili, alla fine della Repubblica (27 a.C.) ed all’instaurazione dell’Impero e I’affermarsi del principio che Giovenale (55-135 circa d.C.) (III, 143) ebbe a sintetizzare nella celebre frase Tanti, quantum habeas, sis (Quanto hai, tanto vali) agevoleranno la diffusione di questa pratica e faranno di essa uno dei mezzi con i quali i singoli accumuleranno ingenti fortune”.
L’ingente tassa di guerra imposta nell’84 a.C. da Silla alle province dell’Asia (calcolata in ben 20.000 talenti) fu anticipata dagli appaltatori; questi però si fecero rimborsare da quelle genti nei successivi 14 anni il doppio di tale capitale mentre il debito residuo, a causa degli interessi, era divenuto di 120.000 Talenti (Plutarco, Lucullo, XX, 1-5).
In generale nelle province sottomesse a Roma (Asia, Egitto, ecc.) I’usura finirà con il fiorire a dismisura e già ai tempi di Varrone (I secolo a.C.) si ritiene che in quelle terre molti lavorassero come servi dei loro creditori.
Cicerone, divenuto nel 51 a.C. proconsole di Cilicia (Asia Minore), apprese che Bruto aveva prestato ai cittadini di Salamina di Cipro denaro ad un tasso di interesse annuo del 48% ed in un editto sancì allora che tale tasso non potesse superare, come era consuetudine, il 12% annuo composto.
Pompeo, e con lui altri patrizi, prestarono denaro al 70% annuo. Al tasso del 48% annuo, Tito Pomponio Attico prestò denaro alla città di Atene dandole peraltro la possibilità di liberarsi così dai prestiti a tassi di usura ancor più elevati ai quali si era indebitata.
Svetonio (“Vite dei dodici Cesari”, Augusto, XXXIX) ci tramanda che I’Imperatore Augusto “biasimò… alcuni che avevano prestato a tasso usuraio del denaro che si erano procurati con interesse minore”
Come si vede sin da allora, c’erano alcuni che raccoglievano fondi a basso tasso di interesse (anche dalle banche e banchieri dell’epoca) per poi darlo a tassi da strozzinaggio a coloro che ne avevano bisogno; a tal punto che erano disposti a correre il rischio di cadere in schiavitù del creditore.
Nella prima metà del I secolo a.C. erano, ad esempio, famosi a Roma come usurai: Considio, Axio, Selicio e Cecilio (citati anche da Cicerone, Lettere ad Attico, I, 12, 1).
Secondo alcuni sul finire della Repubblica il tasso normale (non di usura) di fatto praticato, che allora era dell’8%, passava al 12%. Comunque, secondo Cassio Dione (II, 21.5), quando Augusto portò in Roma il tesoro reale, dopo il trionfo ad Alessandria contro gli Egiziani (29 a.C.), I’ingente aumento delle monete circolanti fece scendere il tasso di interesse ordinario al 4% annuo (v. anche Svetonio, Augusto, XLI).
Agli inizi del I secolo a.C. la grave crisi economica scaturita dalla guerra civile e dalle insurrezioni in Asia avevano (di nuovo) portato l’indebitamento dei privati a livelli di instabilità sociale, tant’è che da più parti si chiedeva l’applicazione delle accennate vecchie leggi sull’usura, sebbene cadute in disuso; in altri termini, si chiedeva che i Tribunali condannassero i creditori a pagare il quadruplo degli interessi pretesi.
Il pretore urbano Asellione si prestò ad applicare quelle leggi riconoscendo le pretese dei debitori. Nell’89 a.C. però i creditori assassinarono il pretore dinanzi al tempio della Concordia; il delitto veniva quindi commesso nel cuore finanziario della Grande Roma, allora considerata la città “Caput Mundi”.
Nell’83 a.C. ad opera di Lucio Valerio Flacco fu promulgata, sotto Cimma, una legge che riduceva i debiti privati del 75%.
Cesare tentò di porre un maggior ordine anche nel campo dell’erogazione dei prestiti e dell’usura. Impose così che i singoli non potessero detenere denaro in contante (e quindi erogare prestiti) per un importo superiore ad una percentuale (che alcuni vorrebbero del 50%) del patrimonio detenuto in Italia; sembra che tale provvedimento tendesse a contrastare fenomeni di tesaurizzazione del denaro che comportavano, tra I’altro, una rarefazione della moneta in circolazione e quindi un più elevato costo dei prestiti.
Secondo Svetonio (Cesare, XLII) Cesare nel 49 a.C. decretò “… che i debitori soddisfacessero i creditori valutando le loro proprietà al prezzo che esse avevano prima della guerra civile, e deducendo dalle somme dei loro debiti quanto avevano già pagato a titolo d’interesse, sia in contante sia mediante garanzia di pegno; con tali disposizioni i crediti si ridussero di circa un quarto del loro valore.
Lo stesso Cesare non accolse però le pressanti richieste che da più parti gli pervenivano di annullare i debiti essendosi limitato con tale provvedimento a cancellare gli interessi e ad attribuire ai beni dei debitori che dovevano essere ceduti ai creditori a saldo del loro avere, un valore superiore a quello di mercato atteso, che questo veniva computato al valore (maggiore) che avevano prima della guerra civile.
Uno degli aspetti perversi dell’usura è quello di poter condizionare i comportamenti e le decisioni dei debitori. Così, nell’88 a.C. il tribuno del popolo Publio Sulpicio Rufo aveva proposto che fossero dichiarati decaduti i senatori che avessero avuto debiti per oltre 2.000 denari.
Tiberio, nel 33 d.C., per contenere l’influenza che gli usurai stavano esercitando nei confronti dei Senatori, condizionandone le decisioni, impose a questi ultimi di estinguere i loro debiti entro un termine massimo di 18 mesi (Tacito, Annali, VI, 16).
In epoca imperiale avanzata (IV secolo d.C.) Costantino ribadì che il tasso non doveva superare il 12% come da tempo previsto dalle leggi imperiali vigenti; Giustiniano (VI secolo d.C.) ridurrà il tasso massimo al 6%.
Nel tardo impero, il peso dei debiti divenne sempre più insostenibili, a tal punto che secondo alcuni, l’indebitamento e l’usura ebbero un effetto non marginale sulla caduta stessa dell’impero romano.
Si consideri che le entrate annuali dello stato, che sino al 63 a.C. non superavano i 200 milioni di sesterzi, sotto Augusto si attesteranno in media sui 400 milioni di sesterzi. Nel 44 a.C. nelle casse dello Stato vi erano 700 milioni di sesterzi. Pertinace, divenuto imperatore nel 193 d.C., trovò le casse dello Stato vuote essendovi non più di 1 milione di sesterzi (Giulio Capitolino, “Storia Augustea). Ciò significa che le esigenze dell’impero dovevano, con ogni probabilità, essere finanziate ricorrendo al debito.
In quel periodo storico, non soltanto i cittadini, ma lo stesso Stato Imperiale, erano in mano ai prestatori di denaro a usura.
Conclusioni
Le vicende storiche sinteticamente ricordate, sebbene non esauriscano I’esame delle complesse problematiche attinenti la pratica dell’usura così come si venne evolvendo presso i romani, danno però la possibilità di trarre alcune significative conclusioni.
Intanto possiamo dire che il fenomeno ha origini lontane e precede la stessa introduzione della moneta. Una economia di tipo monetario tende però ad agevolare e canalizzare il fenomeno verso la forma del prestito in denaro.
Nel mondo romano I’usura si sviluppò sino ad assumere dimensioni da taluni ritenute colossali; favorì il fenomeno:
- la decadenza dei costumi;
- I’accentuarsi della corruzione;
- l’estendersi delle conquiste;
- il porre al centro dell’essere il principio “Quanto hai, tanto vali”.
Con una particolare virulenza, il prestito a usura si diffuse in misura vasta e sistematica nelle province, soprattutto in quelle dell’Asia. Divenne un mezzo per accumulare ingenti ricchezze personali e per ridurre in schiavitù i debitori o per comprare cariche pubbliche. Agevolò il formarsi di un’economia basata sulla schiavitù e condizionò talvolta le scelte dell’Impero.
Diversi furono gli strumenti ai quali, nei diversi momenti, si ricorse per combatterla (anche se in misura che si può ritenere non sufficiente e non sistematica): dall’imposizione di un tasso di interesse massimo ai vincoli sull’erogazione dei prestiti, dalla circoscrizione dei casi in cui l’usuraio poteva ridurre in schiavitù il debitore all’abolizione totale o parziale dei debiti e/o degli interessi, ecc.
La conoscenza del passato, anche quello lontano, può quindi servire per meglio comprendere la natura del fenomeno, ma non sempre può indicare i mezzi, tutti i mezzi, per combatterlo efficacemente e possibilmente debellarlo.
Ogni epoca ed ogni contesto socio-economico deve quindi analizzare la realtà specifica nella quale di volta in volta la pratica dell’usura nasce e si sviluppa e – tenendo anche conto delle esperienze del passato – deve cercare in tale contesto gli strumenti e le misure più idonee per combattere questa piaga con efficacia.
di Paolo Germani
Fonte: www.altreinfo.org
Bibliografia
- L’usura nel mondo antico di Odoardo Bulgarelli (testo di riferimento dell’articolo)
- L’usura: un fatto che si perde nella notte dei tempi, Odoardo Bulgarelli
- Debito, David Graeber
- Il denaro “Sterco del demonio”: un’affascinante scommessa sul nulla. Massimo Fini
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L’Europa ci autorizza a indebitarci, ovvero ci dà in pasto al Leviatano della finanza. Alberto Rovis