All’indomani della Seconda guerra mondiale tutti si chiedevano chi fosse Eva Braun, la misteriosa amante del Führer che per poche ore, tra i corridoi angusti del bunker, era diventata la signora Hitler. Ogni domanda, anche la più morbosa, trovò risposta in un manoscritto che ebbe larghissima diffusione: il suo diario.
Il testo racconta, senza filtri, la vita quotidiana di Eva a partire dal 1937 e mette a nudo abitudini, manie e imbarazzi della ristretta cerchia di Hitler, arrivando a insinuare nel lettore il dubbio che il demonio abbia lasciato un erede.
Quando il diario edito di Eva Braun venne riconosciuto come un falso, ormai il danno era fatto: le insinuazioni di quelle pagine abilmente forgiate erano diventate certezza a colpi di gossip, e la fantasia popolare aveva fatto il resto.
All’indomani della Seconda guerra mondiale Luis Trenker, ex stella della cinematografia nazista, sostenne di aver ricevuto un plico dalle mani di Eva Braun: una busta che la futura signora Hitler gli avrebbe consegnato in quel di Kitzbühel. Aperta nel 1945 alla presenza di un notaio, la busta conteneva 96 pagine dattiloscritte (senza un solo scarabocchio amanuense!) che passarono il vaglio del War Department americano, per essere confermate.
Si trattava proprio del diario della misteriosa concubina del Führer.
Di lì a poco la notizia cominciò a diffondersi tra gli addetti ai lavori e Luis Trenker riuscì a vendere i diritti ad alcune case editrici, sfiorando – nel 1946 – le porte di Hollywood. Prima che la truffa venisse smascherata, il libro beneficiò di un’edizione “critica” con tanto di lungo saggio introduttivo su Hitler e le donne, e venne tradotto in francese, in italiano, in inglese e in olandese.
L’originale tedesco non uscì in forma di libro, bensì a puntate sulla rivista Wochenende, ed ebbe vasta diffusione arrivando a scalare le prime pagine dei giornali.
Il diario di Eva Braun è un falso ben fatto, quasi plausibile, ciò che il pubblico del dopoguerra voleva leggere: ovvero avventure erotiche di bassa lega sotto il segno della croce uncinata. È il testo che più di ogni altro ha forgiato, nell’immaginario collettivo, l’icona di una Eva Braun perversa e compiacente, schiava d’amore del demonio Adolf Hitler.
Un testo che chiama in causa l’intero parterre nazionalsocialista, che lascia a intendere che Eva sia stata messa incinta dal Führer – un’idea ulteriormente sviluppata da Harry Mulisch nel romanzo Siegfried, 2001, in cui l’autore s’inventa nuove pagine di diario.
Il direttore di Wochenende aveva iniziato a pubblicarlo con grande successo di vendite. Il diario infatti era ricco di dettagli bizzarri e piccanti. Si veniva a sapere che Hitler non amava fare il bagno; che a Göring piaceva allungare le mani; che Leni Riefenstahl, una nota regista dell’epoca, ballava nuda davanti al Führer, mentre Eva doveva attendere nella stanza da letto. La quale Eva doveva anche indossare indumenti intimi di pelle.
Purtroppo, per Wochenende e per i lettori, il divertimento durò poco. La famiglia Braun passò immediatamente alle vie legali, diffidando dal continuarne la pubblicazione, diffida alla quale si unì Leni Riefenstahl.
Impossibile che Eva avesse scritto quelle cose, dicevano madre e sorella. La segretaria del Führer Traudl Junge, dal canto suo, smentiva l’indiscrezione sugli indumenti intimi di pelle, mentre l’autista Erich Kempka, sdegnato per quanto letto, affermava che il Führer era persona molto attenta all’igiene personale e ogni giorno faceva il bagno.
Il brillante avvocato Beinhardt identificò la fonte del plagio in un libello uscito nel 1913 a firma della contessa Larisch-Wallersee, che parlava della corte austriaca. Alcuni passi, come quello sulle creme di bellezza, erano stati semplicemente copiati e adattati. Il resto era opera di una penna scaltra e fantasiosa, che conosceva a menadito non solo i “caratteri” della ristretta cerchia hitleriana, ma anche gli aspetti più pruriginosi su cui far leva per confermare le tante leggende metropolitane diffuse nel corso del dodicennio nazista.
La sentenza del tribunale autorizzò comunque la pubblicazione del manoscritto, ma a condizione di indicare che non si trattava di un testo autografo di Eva Braun, ma opera di un autore sconosciuto.
La Corte ha permesso in questo modo il libero utilizzo di un falso storico, frutto della fantasia di una persona squallida e senza scrupoli che cercava facili guadagni a guerra finita. Il diario era comunque utile per fini propagandistici e denigratori, nonché fonte di ispirazione per nuove ricostruzioni fantasiose della vita di Eva Braun e Adolf Hitler che si protraggono fino ai tempi nostri.
di Paolo Germani
Fonti:
Per saperne di più:
- e-book “I diari di Eva Brown (falsi, veri, presunti)”, a cura di Simone Buttazzi – Area51
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