Lyndon B. Johnson non è stato un presidente molto amato dagli americani, soprattutto a causa del suo impegno nel Vietnam. E’ invece il presidente americano più amato dagli israeliani e dagli ebrei in generale.
In effetti, fu Johnson, come leader della maggioranza del Senato, a ostacolare i piani di Dwight Eisenhower, quando era presidente degli Stati Uniti, di tagliare gli aiuti a Israele. Fu anche il primo presidente americano a invitare un primo ministro israeliano, Levi Eshkol, in visita di Stato.
Ma non solo. Lyndon Johnson permise a Israele di sviluppare la bomba atomica nel reattore di Dimona, aumentò le vendite di armi a Israele, e nel 1968, dopo che il principale fornitore di armi dello Stato Ebraico, la Francia, impose un embargo per salvaguardare i legami col mondo arabo, gli Stati Uniti presero il loro posto e divennero il principale fornitore di armi di Israele.
In un discorso pronunciato dopo la guerra dei sei giorni, Johnson stroncò sul nascere ogni ipotesi che gli Stati Uniti avrebbero fatto pressione su Israele affinché rinunciasse unilateralmente alle terre che aveva conquistato. Egli non solo stabilì la formula “terra in cambio di pace” che avrebbe informato le successive risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’ONU, ma chiarì che qualsiasi formula doveva garantire l’accesso degli ebrei alla Città Vecchia di Gerusalemme.
https://www.clevelandjewishnews.com
Inoltre, dulcis in fundo, impedì alle navi americane di raggiungere ed aiutare la USS Liberty, una nave americana disarmata, attaccata e distrutta da aerei israeliani nel tentativo di mettere in piedi una false flag, da attribuire all’Egitto, con l’obiettivo di allungare la guerra e coinvolgere gli Stati Uniti, insabbiando tutte le inchieste che seguirono.
A distanza di tanti anni è doveroso chiedersi il perché di questa amicizia viscerale verso Israele, storicamente dimostrata, e di cercare qualche nesso, se esistente, tra la politica estera del Presidente, soprattutto in relazione alla guerra condotta in Vietnam, e gli interessi di Israele.
Quanto segue è tratto dal libro JFK-9/11: 50 Years of Deep State, di Laurent Guyénot, e dal libro Final Judgment, di Michael Collins Piper.
Jahn F. Kennedy e il Vietnam
Se John Kennedy non fosse stato assassinato, la “guerra del Vietnam” non potrebbe essere nemmeno citata nei libri di storia. Sotto la sua presidenza, il dispiegamento militare statunitense ammontava ufficialmente a soli 15.000 “consiglieri militari”. Alla fine del 1963, Kennedy aveva già preso la decisione di ritirarsi dal Vietnam. E infatti, l’11 novembre firmò la direttiva NSAM-263 per il ritiro di “1.000 militari statunitensi entro la fine del 1963”, in previsione del ritiro “entro la fine del 1965 […] della la maggior parte del personale statunitense”[1].
Il 21 novembre, il giorno prima della sua fatale visita in Texas, dopo aver letto un rapporto sulle ultime vittime, espresse la seguente decisione al suo assistente e addetto stampa Malcolm Kilduff: “Dopo il mio ritorno dal Texas, le cose cambieranno. Non c’è motivo di perdere un altro uomo laggiù”. Il Vietnam non vale un’altra vita americana”[2].
L’inizio della vera guerra del Vietnam
Ma il 26 novembre, il giorno dopo il funerale di Kennedy, Lyndon Johnson seppellì l’NSAM-263 e lo sostituì con l‘NSAM-273, in cui chiedeva ai militari di sviluppare un piano “per portare la guerra a nord del Vietnam”, con “un aumento dell’attività bellica a diversi livelli”, e organizzare “operazioni militari fino a 50 chilometri all’interno del Laos” – il che violava gli accordi di Ginevra del 1962 sulla neutralità di quel paese [3].
La decisione di Johnson riguardo al Vietnam fu un chiaro tradimento della precedente politica di Kennedy, e l’incredibile quanto veloce cambiamento di politica suggerisce una certa premeditazione. Nel gennaio 1964 il generale Maxwell Taylor diceva:
“Il Memorandum d’azione per la sicurezza nazionale n. 273 chiarisce la volontà del Presidente di assicurare la vittoria sull’insurrezione comunista diretta e sostenuta dall’esterno nel Vietnam del Sud […]. Per fare questo, dobbiamo prepararci a qualsiasi livello di attività possa essere richiesto”.
Non si tratta più di fermare la guerra, ma di vincere ad ogni costo. Robert McNamara, continuando come segretario alla Difesa, aderì all’agenda di Johnson, raccomandando la mobilitazione di 50.000 soldati e un programma di “pressione militare graduale” contro il Vietnam del Nord, una politica che Johnson approvava nel marzo 1964 con il memorandum NSAM-288[4].
Tuttavia, era ancora necessario un casus belli per giustificare l’aggressione. Arrivò nel Golfo del Tonchino il 2 e 4 agosto 1964, quando dei siluri “vennero” lanciati dai vietnamiti contro i caccia torpedinieri americani. È ormai noto che si trattava di una false flag organizzate dalla Nsa e che i vietnamiti non c’entravano nulla [5]. Ma grazie a questi attacchi Johnson poteva annunciare alla televisione nazionale un bombardamento “di ritorsione” sulla marina nordvietnamita, e far passare al Congresso, il 7 agosto 1964, la Risoluzione del Golfo del Tonchino che gli dava pieni poteri per inviare fino a 500.000 soldati nel Vietnam del Nord.
La distruzione del Vietnam
Con queste azioni di guerra, Johnson immerse il popolo vietnamita in un decennio di indicibili sofferenze, uccidendo oltre un milione di civili. Dal 1965 al 1968, nell’ambito dell’operazione Rolling Thunder, furono sganciate 643.000 tonnellate di bombe, tre volte di più che durante tutta la Seconda guerra mondiale, su un Paese prevalentemente rurale, e circa 500.000 soldati americani furono inviati in Vietnam, dove perirono in 50.000.
Diciannove milioni di galloni di sostanze chimiche tossiche vennero spruzzate dall’aria per distruggere circa il 40 per cento delle foreste del Sud, un terzo delle sue preziose paludi di mangrovie e vaste aree di coltivazione. Le sostanze chimiche irrorate sono tuttora causa di problemi di salute molto diffusi, tra cui cancro e difetti congeniti. Si stima che circa 3,5 milioni di vietnamiti siano stati uccisi direttamente in guerra. Un terzo della popolazione del Sud divenne “rifugiato interno”, costretto a vivere per anni nella miseria dei campi profughi e delle città densamente popolate, con conseguenti problemi sociali, quali ad esempio la prostituzione diffusa.
Dalla fine della guerra, quasi 40.000 vietnamiti sono stati uccisi da esplosivi residui, circa 3,5 milioni di mine antiuomo rimaste sui campi di battaglia. Molti di più sono quelli rimasti paralizzati a vita. Un decennio dopo la guerra, oltre il 13 per cento della popolazione vietnamita soffriva ancora di qualche ferita di guerra[6].
Johnson e la Guerra dei Sei Giorni
Fu in quel periodo che Israele scelse di avviare l’operazione di annessione dei territori egiziani, siriani e giordani, scatenando una guerra di aggressione, ma creando l’illusione di agire per autodifesa. Johnson aveva dato il via libera a Israele in una lettera al primo ministro israeliano Levi Eshkol, datata 3 giugno:
“Voglio proteggere l’integrità territoriale di Israele […] e fornirò il più efficace sostegno americano possibile per preservare la pace e la libertà della vostra nazione e dell’area”[7]
Johnson ordinò alla CIA di trasmettere all’esercito israeliano le posizioni precise delle basi aeree egiziane, la cui distruzione era fondamentale per sconfiggere il nemico in una guerra lampo.
Quattro giorni dopo l’inizio dell’attacco israeliano, Nasser accetta la richiesta di cessate il fuoco del Consiglio di sicurezza dell’ONU. Era troppo presto per Israele, che non aveva ancora raggiunto tutti i suoi obiettivi. Fu allora che, l’8 giugno 1967, l’USS Liberty, una nave spia disarmata dell’NSA, operativa a poca distanza dalle coste egiziane, fu bombardata e silurata per 75 minuti da jet e torpediniere Mirage israeliani, i quali intendevano ovviamente affondarla senza lasciare sopravvissuti (anche le scialuppe di salvataggio vennero mitragliate), mentre Johnson proibì personalmente alla vicina Sesta Flotta di venire in suo soccorso.
Se l’USS Liberty fosse stata affondata con successo, l’attacco sarebbe stato attribuito agli egiziani, e avrebbe dato a Johnson il pretesto per intervenire militarmente a fianco di Israele [8].
Ma l’attacco fallì. La vicenda venne soffocata con successo da una commissione d’inchiesta guidata dall’ammiraglio John Sidney McCain II (padre del senatore dell’Arizona John McCain III). I sopravvissuti ricevettero una medaglia in una cerimonia non pubblicizzata, accompagnata da un ordine formale di non menzionare mai l’incidente. Solo recentemente alcuni militari hanno rotto il silenzio.[9] Johnson accettò la falsa spiegazione di Israele di “errore di mira”, revocando addirittura l’embargo sulla vendita di materiale militare offensivo a Israele.
Il fallito attacco con falsa bandiera della USS Liberty è la prova della complicità segreta di Johnson con Israele e del suo alto tradimento degli Stati Uniti, il paese che aveva giurato di proteggere. Ma Johnson era sempre stato, in realtà, l’uomo di Israele.
Già nel 1948, la sua campagna per un seggio al Senato era stata finanziata da Abraham Feinberg, presidente degli americani per la Haganah Incorporated e padrino finanziario della bomba atomica di Israele[10]. Nel 2013, l’Associated Press ha riferito dei nastri appena desecretati dell’ufficio della Casa Bianca di Johnson che dimostrano il “legame personale e spesso emotivo di Lyndon Johnson con Israele”.
Un articolo del 5 Towns Jewish Times “Il nostro primo presidente ebreo Lyndon Johnson” ricorda il continuo sostegno di Johnson agli ebrei e a Israele negli anni ’40 e ’50, e conclude:
“Il Presidente Johnson ha fermamente indirizzato la politica americana in una direzione pro-Israele”.
L’articolo menziona anche che, “la ricerca sulla storia personale di Johnson indica che ha ereditato la sua preoccupazione per il popolo ebraico dalla sua famiglia. Sua zia Jessie Johnson Hatcher, che ebbe una grande influenza su LBJ, era membro dell’Organizzazione sionista d’America”. E, in una nota aggiuntiva: “I fatti indicano che entrambi i bisnonni di Lyndon Johnson, dal lato materno, erano ebrei. […] La linea delle madri ebree può essere fatta risalire a tre generazioni nell’albero genealogico di Lyndon Johnson. Non c’è dubbio che fosse ebreo”[11].
L’Olocausto del Vietnam
“Solo recentemente ho maturato l’idea che ci potesse essere un legame nascosto tra la guerra del Vietnam e la Guerra dei Sei Giorni ed ho acquisito la convinzione che questa grande tragedia sia comprensibile solo se comprendiamo che Israele (prima e dopo il 1947) agisce sulla scena internazionale in modo biblico, cioè con la stessa indifferenza e crudeltà verso le nazioni non ebraiche che Yahweh chiedeva al suo popolo nella Bibbia. Ai loro occhi, queste popolazioni sono come il bestiame, e la loro sofferenza è irrilevante, a meno che, naturalmente, non possa essere sfruttata in qualche modo”. (Laurent Guyénot)
Non c’è assolutamente alcun limite morale alla determinazione di Israele di aprire la strada verso l’egemonia attraverso la rovina di intere nazioni. Assolutamente nessuno. Questo è ciò che intendo quando definisco Israele “nazione psicopatica”.
E così la mia ipotesi è che uno degli scopi della guerra del Vietnam voluta da Johnson e dai suoi padroni fosse stato quello di creare un diversivo mentre Israele si impegnava nella fase decisiva della sua espansione territoriale. Immaginiamo per un attimo che la guerra del Vietnam non sia mai avvenuta, ci chiediamo:
Il Washington Post e il New York Times sarebbero riusciti a nascondere all’opinione pubblica lo scandalo di quella guerra di aggressione e di annessione illegale?
Ancora più importante, gli strateghi israeliani avevano sicuramente capito che la legittimità dello Stato americano a condannare i crimini di Israele sarebbe stata molto scarsa se gli Stati Uniti fossero stati incolpati di crimini ancora peggiori.
Il presidente francese Charles De Gaulle ha effettivamente capito che la guerra del Vietnam stava impedendo una soluzione pacifica in Palestina. In una conferenza stampa del 27 novembre 1967, dopo aver condannato l’aggressione di Israele e aver notoriamente qualificato gli ebrei come “un popolo d’élite, sicuro di sé e dominante”, chiese alle quattro grandi potenze di far rispettare una soluzione internazionale sulla base del ritiro di Israele dai territori occupati, e aggiunse:
“Ma non si vede come un tale accordo possa essere raggiunto fintanto che uno dei più grandi tra i quattro non si ritiri dall’atroce guerra che stanno conducendo altrove. Senza la tragedia del Vietnam, il conflitto tra Israele e gli arabi non sarebbe diventato quello che è diventato. E se il Sud-Est asiatico potesse ritrovare la pace, anche il Medio Oriente potrebbe ritrovare la sua strada verso la pace, nel clima di distensione che seguirebbe un tale evento”[12].
Poco dopo quella conferenza stampa, il governo di De Gaulle divenne il bersaglio di una grande protesta studentesca che culminò nel maggio 1968, costringendo De Gaulle a dimettersi. Questi studenti, guidati da attivisti trotskisti prevalentemente ebrei,[13] non protestavano contro l’aggressione degli Stati Uniti contro il Vietnam, né contro l’aggressione di Israele contro i suoi vicini arabi, ma contro la società borghese.
Non è un’esagerazione qualificare la guerra del Vietnam come un “olocausto”, come ha fatto il film documentario Vietnam 2008: Olocausto americano[14].
Nella Bibbia, un olocausto designa l’offerta di un animale consumato dal fuoco, che produce un “odore piacevole” per Yahweh (Genesi 8:20-21; Esodo 29:25). Secondo il Libro di Esdra, un gigantesco olocausto fu offerto “al Dio d’Israele che risiede a Gerusalemme” dai giudeo-babilonesi quando (ri)colonizzarono la Palestina, in preparazione della (ri)costruzione del Tempio (7:12-15).
Stranamente, è durante la guerra del Vietnam che il termine “Olocausto” diventa la denominazione comune dell’uccisione degli ebrei durante la seconda guerra mondiale. A meno che non si consideri che Hitler lavorava per la gloria di Yahweh, quell’espressione sembra assurda.
Ma il termine Olocausto si applica molto meglio alla guerra del Vietnam, se consideriamo che ha distolto l’attenzione del pubblico americano dai fatti mediorientali ed ha convogliato le proteste dei giovani e degli intellettuali sui fatti del Vietnam, lasciando in questo modo il campo libero alla conquista dei territori palestinesi, egiziani e siriani da parte di Israele.
Dopotutto, la situazione dei vietnamiti era più grave di quella dei palestinesi. Questa, credo, sia una risposta plausibile alla domanda “Perché Johnson ha attirato gli Stati Uniti nell’inferno del Vietnam?”
Il più forte sostenitore dell’amministrazione Johnson per un maggiore impegno in Vietnam è stato il consigliere per la sicurezza nazionale Walt Rostow, il cui fratello Eugene era sottosegretario di Stato. Si da il caso che fossero figli di immigrati ebrei. Lo storico David Milne ha chiamato Rostow il “Rasputin d’America“.
Due mesi dopo la sua elezione del 1968, Nixon estese la guerra in Cambogia, in modo segreto ed illegale, ordinando massicci bombardamenti. Tutto ciò portò all’ascesa degli Khmer Rossi, un regime eccezionalmente sanguinario e tirannico, responsabile dello sterminio di un terzo della popolazione cambogiana. L’uomo che lo spinse in quella direzione fu il consigliere per la sicurezza nazionale Henry Kissinger, anche lui segretario di Stato. Come i Rostows, si dà il caso che anche Kissinger fosse ebreo.
La posizione degli ebrei americani
La maggior parte degli ebrei di sinistra iniziarono a protestare contro la guerra, ma altri intellettuali ebrei, anch’essi di sinistra fecero una svolta a 180 gradi e divennero i principali sostenitori della guerra: si definirono “neoconservatori”. Abbiamo qui un bell’esempio di ingegneria dialettica: mentre gli ebrei come Noam Chomsky protestavano contro la guerra, altri ebrei come Irving Kristol la appoggivano.
Nel frattempo, Israele veniva escluso dalla prima pagina dei giornali.
Kristol scrisse sulla rivista del Congresso ebraico americano nel 1972 che era necessario combattere contro la proposta di George McGovern di ridurre il budget militare del 30 per cento:
“Questo pianterebbe un coltello nel cuore di Israele. […] Agli ebrei non piace un grande budget militare, ma è ora un interesse degli ebrei avere un grande e potente establishment militare negli Stati Uniti. […] Gli ebrei americani che hanno a cuore la sopravvivenza dello Stato di Israele devono dire: “No, non vogliamo tagliare il budget militare, è importante mantenere alto il budget militare, in modo da poter difendere Israele”[15].
Contro la richiesta di McGovern di un immediato ritiro dal Vietnam, Kristol avrebbe potuto aggiungere:
“Gli ebrei americani che hanno a cuore la sopravvivenza dello Stato di Israele devono dire: no, non vogliamo ritirarci dal Vietnam, è importante perseguire il genocidio dei vietnamiti, in modo che i giovani idealisti americani protestino contro il loro stesso governo piuttosto che contro la violazione del diritto internazionale da parte di Israele”.
a cura di Paolo Germani
Fonte principale: https://www.unz.com
Titolo originale: “Was Vietnam a holocaust for zion?
NB: le posizioni espresse nel presente post sono quelle di Laurent Guyénoy e Collins Piper. Questo non significa che la redazione di altreinfo.org le condivida. Si prega di leggere la “politica del sito”.
Fonti
- JFK-9/11: 50 Years of Deep State, di Laurent Guyénot
- Final Judgment, di Michael Collins Piper
Note
[1] On JFK Library, http://www.jfklibrary.org/
[2] Phillip Nelson, LBJ: The Mastermind of JFK’s Assassination, XLibris, 2010, p. 638.
[3] LBJ Library: http://www.lbjlib.utexas.edu/johnson/archives.hom/nsams/nsam273.asp.
[4] LBJ Library: http://www.lbjlib.utexas.edu/johnson/archives.hom/nsams/nsam288.asp
[5] Scott Shane, “Vietnam Study, Casting Doubts, Remain Secret”, New York Times, October 31, 2005: http://www.nytimes.com/2005/10/31/politics/31war.html?pagewanted=all&_r=0.
[6] Figures taken from “Vietnam Holocaust, 140 years of pillage, slaughter & persecution,” ã Föreningen Levande Framtid, Sweden, 2001: http://www.nnn.se/vietnam/holocaust.pdf
[7] State Department Archive: http://2001-2009.state.gov/r/pa/ho/frus/johnsonlb/xix /28057.htm.
[8] Robert Allen, Beyond Treason: Reflections on the Cover-up of the June 1967 Israeli Attack on the USS Liberty, an American Spy Ship, CreateSpace, 2012.
[9] Watch the 2014 Al-Jazeera documentary The Day Israel Attacked America.
[10] Alan Hart, Zionism: The Real Enemy of the Jews, vol. 2: David Becomes Goliath, Clarity Press, 2013, p. 250.
[11] Morris Smith, “Our First Jewish President Lyndon Johnson? – an update!!,” 5 Towns Jewish Times, April 11, 2013, on 5tjt.com.
[12] Video on https://www.youtube.com/watch?v=03if1QnA5MI ; text on http://akadem.org/medias/documents/3-conference-degaulle.pdf
[13] On the Jewish-led student uprising in Paris in 1968, read Yair Auron, Les Juifs d’extrême gauche en Mai 68, Albin Michel, 1998.
[14] Watch on https://www.youtube.com/watch?v=aNb1uUlG2QI .
[15] Philip Weiss, “30 Years Ago, Neocons Were More Candid About Their Israel-Centered Views,” May 23, 2007: http://mondoweiss.net/2007/05/30_years_ago_ne/
***
***