Nella notte dal 24 al 25 luglio 1943 Amburgo venne bombardata con le bombe al fosforo, oggi vietate dalla Convenzione di Ginevra, ma anche all’epoca in quanto il fosforo era considerata una sostanza chimica. I bombardamenti vennero preceduti dal lancio di striscioline di carta stagnola finalizzate a confondere i radar della contraerea tedesca.
L’attacco venne studiato nei minimi dettagli dal fisico Friedrich Lindemann, detto il Professore, ebreo tedesco, influente consigliere e amico personale di Winston Churchill. L’obiettivo dell’attacco elaborato da Lindemann era quello di fare il maggior numero possibile di vittime civili, al fine di fiaccare la resistenza tedesca.
Ricordiamo, per completezza, lo schema Lindemann, volto a causare il maggior numero possibile di morti civili:
- quando necessario, a seconda dell’ora e delle difese della città da attaccare, i bombardamenti erano preceduti dal lancio di striscioline di carta stagnola della lunghezza di 25 centimetri, dette “windows” il cui scopo era quello di confondere i radar nemici (idea di Lindemann risalente addirittura al 1937);
- una prima ondata di bombardamenti convenzionali per sventrare gli edifici, scoperchiare i tetti, creare varchi, rompere i vetri delle finestre, ed aprire quindi la strada al fosforo incendiario, per farlo entrare in ogni casa e in ogni edificio;
- una seconda ondata con utilizzo di bombe al fosforo per provocare incendi in ogni edificio, produrre temperature di oltre 1000 gradi, causando venti di oltre 250 km orari al fine di causare il maggior numero possibile di vittime civili;
- sospensione dei bombardamenti fino all’arrivo dei soccorsi dei pompieri e delle ambulanze, creando una parvenza di ritorno alla normalità;
- una terza ondata di bombe al fosforo per uccidere tutte le forze di soccorso impegnate nello spegnimento degli incendi e quanto rimaneva della popolazione. Il tutto in cerchi concentrici estesi fino alla periferia della città;
- ondate successive con mitragliamento dei superstiti a bassa quota.
I bombardamenti dovevano essere più intensi nelle zone periferiche, dove c’erano le case dei lavoratori, quindi con una maggior densità abitativa. Era necessario distruggere tutti i monumenti, le chiese e gli ospedali, al fine di demoralizzare il popolo tedesco, privandolo di tutti i simboli della propria arte e distruggendo la loro identità culturale.
Questo schema, con qualche variazione, studiata caso per caso, fu elaborato da Friedrich Lindemann, ed applicato da Winston Churchill, in decine di altri bombardamenti di città tedesche, tra cui il criminale bombardamento della città di Dresda.
Il capo della polizia di Amburgo descrive con scientifica precisione la tempesta di fuoco:
“Una valutazione della forza di questa tempesta di fuoco la si poté ottenere soltanto analizzandola con calma come se si trattasse di un fenomeno meteorologico: in seguito all’improvviso raggrupparsi di un certo numero di incendi, l’aria sovrastante fu riscaldata a tal punto che si formò un violento risucchio verso l’alto; questo ‘tiraggio da camino’, a sua volta fece sì che l’aria fresca tutt’intorno fosse risucchiata da tutte le parti verso il centro dell’area dell’incendio. La tremenda depressione determinò movimenti d’aria molto più forti dei normali venti. In meteorologia le differenze di temperatura implicate vanno dai 20 ai 30 centigradi. In questa tempesta di fuoco erano dell’ordine di 600, 800 o anche 1.000 centigradi. Ciò spiega la straordinaria forza dei venti che essa aveva prodotto”. Aggiunge: “L’atrocità si rileva nell’ululare e nella violenza della tempesta di fuoco, nel fragore infernale delle bombe esplodenti e nelle grida di morte di creature martirizzate. La parola non può rendere l’immensità dell’orrore che per dieci giorni e dieci notti ha squassato gli uomini e le cui vestigia sono indelebilmente incise nel volto della città e delle persone”. (David Irwing)
A seguire un brano tratta dal libro “Le bombe dell’Apocalisse” di Giorgio Bonacina.
Le bombe dell’Apocalisse. Giorgio Bonacina
«Nella notte dal 24 al 25 luglio 1943, grazie all’artificio anti-radar delle striscioline di stagnola “windows”, 791 bombardieri (718 dei quali quadrimotori) ebbero il compito estremamente facilitato. 724 apparecchi raggiunsero la grande città anseatica e sganciarono pressoché impunemente il totale fantastico di 2.319 tonnellate di bombe e di spezzoni portando la città sull’orlo del collasso, anche se fu appurato in seguito che in realtà solo 306 bombardieri erano stati capaci di centrare i loro carichi nel raggio di 3 miglia dal punto di mira.
Nella notte dal 27 al 28 luglio Amburgo conobbe la vera Apocalisse: il fenomeno atroce della tempesta di fuoco.
Furono inviati in missione 787 apparecchi, 720 dei quali seminarono 2.107 tonnellate di bombe esplosive a medio e alto potenziale incendiario a combustibile liquido (molte delle quali contenenti fosforo) e di spezzoni al magnesio. Non più di 325 aerei colpirono entro il raggio di 3 miglia dal punto di mira, ma i loro lanci furono talmente fitti e concentrati sui quartieri della città vecchia che il vento attirato dalle conflagrazioni lignee superò la potenza di un uragano forza 12.
Accaddero scene di indescrivibile orrore.
La gente che cercò di uscire nelle strade dopo il bombardamento dovette affrontare una muraglia di fuoco che turbinava alla velocità incredibile di 250 chilometri orari, e migliaia di persone furono incenerite come zanzare. Molti di quelli che rimasero nei rifugi furono asfissiati dalle esalazioni di monossido di carbonio. E il peggio toccò agli sventurati che furono colpiti direttamente dal fosforo delle bombe incendiarie di tipo speciale, che s’attaccò ai loro corpi come una orrenda lebbra infuocata.
Questi disgraziati, che nulla avevano di umano, si gettarono nei canali della città, in preda al terrore. L’acqua poteva spegnere momentaneamente le fiamme che divoravano i loro corpi, ma se essi s’azzardavano a uscire dai canali il fuoco riprendeva a divampare, inesorabile.
Per qualche migliaio di amburghesi non ci fu, per qualche ora, che una tragica alternativa: o morire affogati o morire bruciati vivi. Furono tutti abbattuti dalle pistole Lüger dei poliziotti, mentre Amburgo era un’orgia di fiamme, ed ebbero finalmente pace. Non ci fu assolutamente nient’altro da fare.
Harris [l’Air Chief sir Arthur Harris, comandante del Bomber Command di Londra, comprendente tutte le forze da bombardamento presenti sulle isole Britanniche], per la verità ignaro dell’orrenda carneficina che il Bomber Command aveva provocato, insisteva a infierire su Amburgo. Nella notte dal 29 al 30 luglio andarono all’attacco 777 bombardieri, e in 697 raggiunsero l’obiettivo sganciando 2.276 tonnellate di bombe e di ordigni incendiari. Solo 238 apparecchi bombardarono nel raggio di 3 miglia dal punto di mira, e la tempesta di fuoco non si rinnovò. Ma Amburgo, ormai svuotata d’abitanti – i più l’avevano già lasciata, inorriditi – fu devastata in numerosi quartieri che fino ad allora erano rimasti intatti.
L’ultimo attacco della tragica serie, nella notte dal 2 al 3 agosto, fu invece assai meno catastrofico. A causa delle pessime condizioni atmosferiche, solo 399 bombardieri su 740 riuscirono ad attaccare con un carico di 1.366 tonnellate, e in gran parte sganciarono oltre il perimetro della città.
I morti di Amburgo furono all’incirca 50.000, e ciò che più sgomenta e impaurisce è il “modo” in cui morirono. Oramai la guerra era indiscriminata e non c’erano limiti ai suoi eccessi. Ma il Bomber Command doveva ancora perfezionare le sue tecniche di distruzione. La seconda tempesta di fuoco – cercata e voluta, questa volta – imperversò su Kassel, una piccola città di appena 230.000 abitanti, nella note dal 22 al 23 ottobre 1943, quando fu colpita da 380 bombardieri (su 444 inviati) nel raggio di 3 miglia dal punto di mira.
Il 3 novembre sir Arthur Harris comunicò a Churchill che ormai il Bomber Command aveva “virtualmente” distrutto 19 città tedesche:
Amburgo, Colonia, Essen, Dortmund, Düsseldorf, Hannover, Mannheim, Bochum, Mülheim, Barmen, Elberfeld, Mönchen-Gladbach, Krefeld, Rheydt, Aquisgrana, Rostock, Remscheid, Kassel ed Emden. Altrte 19 città erano state “sinistrate seriamente”: Berlino, Francoforte, Stoccarda, Brema, Duisburg, Monaco di Baviera, Hegen, Norimberga, Stettino, Kiel, Karlsruhe, Magonza, Wilhelmshaven, Lubecca, Saaarbrücken, Osnabrück, Münster, Rüsselheim e Oberhausen.
Infine, 9 città tedesche erano state “sinistrate”: Brunswick, Darmstadt, Leverkusen, Flensburg, Augusta, Jena, Lipsia, Friedrichshafen e Wismar.
Ma si era solo nell’autunno del 1943. Il panorama sarà assai più desolante un anno e mezzo più tardi, alla fine della guerra.»
di Giorgio Bonacina
Tratto dal libro «Le bombe dell’Apocalisse» (Milano, Fratelli Fabbri Editori, 1973, pp. 114-16)
Premessa di Paolo Germani
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