“Le radici del popolo ebraico sono in Palestina”, questo è quanto abbiamo sempre sentito dire.
Tuttavia, gli unici discendenti di quegli ebrei che vissero in Palestina tremila anni fa sono i Palestinesi, non più ebrei in quanto si convertirono all’Islam nel VII secolo d.C. Questo significa che gli ebrei che oggi reclamano la Terra di Israele non discendono dagli israeliti ma da altri popoli.
Gli attuali ebrei discendono da popolazioni che si convertirono all’ebraismo nel corso dei secoli e che non hanno alcuna parentela con gli originari popoli d’Israele. Si tratta di berberi, arabi ed altri semiti, turchi dell’impero Kazaro, popolazioni indoeuropee.
L’identità del popolo ebraico è un’invenzione dei sionisti.
A sostenere tutto questo non è una persona qualsiasi, un nazista o un antisemita, bensì Shlomo Sand, autorevole storico ebreo, nato a Linz (Austria), emigrato all’età di due anni in Israele, discendente da ebrei polacchi sopravvissuti dell’olocausto, professore di storia presso l’università di Tel Aviv. Insomma, uno studioso ebreo con un curriculum di tutto rispetto.
Shlomo Sand sostiene che anche la diaspora ebraica è un’invenzione del sionismo. Non esistono prove storiche del mitico esodo degli ebrei.
I romani non hanno mai cacciato gli ebrei dalla loro terra.
La realtà è che gli ebrei sono un popolo disperso perché appartengono a comunità convertite, genti che con la Palestina non c’entravano nulla. Anche in questo caso ci sono innumerevoli prove storiche, supportate dall’archeologia moderna, che dimostrano che nell’antichità le conversioni all’ebraismo erano all’ordine del giorno.
Le conversioni erano spesso dovute a motivi di convenienza economica. In molti casi per far parte di una straordinaria rete di mercanti, in altri per aderire alla redditizia rete di banchieri e cambiavalute ebrei.
The Invention of the Jewish People (L’invenzione del popolo ebraico) è il titolo del libro scritto da Shlomo Sand, in cui dimostra con inoppugnabili prove archeologiche, analisi del DNA, analisi linguistiche e documentali, che il popolo ebraico è un’invenzione dei sionisti risalente alla fine dell’ottocento.
Ciò che volevano i sionisti era reclamare una Terra Promessa, che in realtà non era mai stata promessa agli ebrei, da nessuno, tanto meno dal loro dio.
I veri discendenti degli israeliti sono i palestinesi, ebrei convertiti all’Islam nel settimo secolo d.C., i quali vengono privati, da popoli stranieri, della terra in cui vivono da millenni.
A seguire un articolo scritto da Shlomo Sand pubblicato dall’autorevole Le Monde Diplomatique.
Come fu inventato il popolo ebraico. Shlomo Sand
Tutti gli Israeliani sanno, senza ombra di dubbio, che il popolo ebraico esiste da quando ha ricevuto la Torah (1) nel Sinai e che ogni ebreo è discendente diretto ed esclusivo di quel popolo.
Tutti siamo convinti che gli ebrei, fuggiti dall’Egitto, si stabilirono “nella terra promessa”, dove fu eretto il glorioso Regno di Davide e di Salomone, diviso in seguito nei regni di Giuda e di Israele.
Inoltre, nessuno mette in dubbio che questo popolo conobbe due volte l’esilio: una prima volta dopo la distruzione del primo tempio, nel VI° secolo a.C., una seconda volta dopo la distruzione del secondo tempio, nel 70 d.C.
Seguì un girovagare durato quasi duemila anni durante i quali gli ebrei vennero condotti in Yemen, Marocco, Spagna, Germania, Polonia e perfino in Russia, riuscendo sempre a preservare i legami di sangue tra le sue Comunità così lontane fra loro.
Alla fine del xx° secolo, maturarono le condizioni per il ritorno alla Terra Promessa, antica patria degli ebrei. Senza il genocidio nazista, milioni di ebrei avrebbero ripopolato naturalmente Eretz, Israel (la terra di Israele) poiché questo era il loro sogno da venti secoli.
Vergine, la Palestina attendeva che il suo popolo originario tornasse per farla rifiorire. Dato che apparteneva soltanto a lui, non alla minoranza araba che popolava quelle terre, sprovvista di storia, arrivata là per caso. Giuste erano dunque le guerre condotte dal popolo errante per riprendere possesso della propria terra; e criminale l’opposizione violenta della popolazione locale.
Da dove viene quest’interpretazione della storia ebraica?
Sin dalla seconda metà del xix° secolo, questa ricostruzione storica è stata opera di talentuosi manipolatori del passato, la cui fervida immaginazione ha ideato, sulla base di pezzi di memoria religiosa, ebraica e cristiana, una continuità genealogica per il popolo ebreo. L’abbondante storiografia dell’ebraismo contiene, naturalmente, una pluralità di approcci. Ma le controversie al suo interno non hanno mai messo in discussione le concezioni essenzialiste elaborate principalmente alla fine del diciannovesimo secolo e all’inizio del ventesimo secolo.
Quando apparvero scoperte che contraddicevano l’immagine di una passato lineare e sequenziale, non ricevettero quasi eco.
L’imperativo nazionale, come una mascella saldamente chiusa, ha bloccato qualsiasi tipo di contraddizione e deviazione dalla narrativa dominante. I casi specifici di produzione di conoscenza sul passato ebraico – dipartimenti dedicati esclusivamente alla “storia del popolo ebraico”, separati dai dipartimenti di storia (chiamati in Israele “storia generale”) – hanno ampiamente contribuito a questa curiosa emiplegia.
Persino il dibattito, di natura giuridica, su “chi è ebreo?” Per questi storici ogni discendente del popolo che fu costretto all’esilio duemila anni fa è da considerarsi ebreo.
Questi ricercatori “autorizzati” del passato inoltre non hanno partecipato alla controversia dei “nuovi storici”, avviata alla fine degli anni ’80 del secolo scorso. La maggior parte degli attori di questo dibattito pubblico, in numero limitato, proveniva da altre discipline o da orizzonti extra-universitari: sociologi, orientalisti, linguisti, geografi, scienziati politici, ricercatori di letteratura, archeologi hanno formulato nuove riflessioni sul passato ebraico e sionista.
C’erano anche laureati provenienti dall’estero. D’altro canto, i “dipartimenti della storia ebraica” hanno prodotto solo echi paurosi e conservatori, avvolti nella retorica apologetica basata su idee accettate.
Il giudaismo, religione proselitista
In breve, in sessant’anni la storia nazionale è maturata molto poco e non si evolverà nel prossimo futuro. Tuttavia, i fatti scoperti dalle ricerche pongono a ogni storico onesto domande sorprendenti a prima vista, ma comunque fondamentali.
La Bibbia può essere considerata un libro di storia?
I primi storici ebrei moderni, come Isaak Markus Jost o Leopold Zunz, nella prima metà del diciannovesimo secolo, non lo percepirono come tale: ai loro occhi, l’Antico Testamento si presentò come un libro teologico delle comunità religiose ebraiche dopo la distruzione del primo tempio. Bisogna aspettare fino alla seconda metà dello stesso secolo per trovare storici, principalmente Heinrich Graetz, che avessero una visione “nazionale” della Bibbia:
essi trasformarono la partenza di Abramo per Canaan, l’uscita dall’Egitto o il regno unificato di Davide e Salomone in racconti di un passato autenticamente nazionale. Da allora gli storici sionisti hanno continuato a ribadire queste “verità bibliche”, divenute cibo quotidiano dell’educazione nazionale ebraica.
Ma negli anni ’80 la terra trema, scuotendo questi miti fondanti. Le scoperte della “nuova archeologia“ contraddicono l’esistenza di un grande esodo nel XIII secolo a.C. Allo stesso modo, Mosè non poteva portare gli ebrei fuori dall’Egitto e condurli verso la “terra promessa” per la semplice ragione che all’epoca quella terra era sotto il dominio degli egiziani.
Non vi è traccia di una rivolta di schiavi nell’impero dei faraoni, né di una rapida conquista della terra di Canaan da parte di un elemento estraneo.
Non vi è alcun segno o ricordo del sontuoso regno di David e Salomone. Le scoperte dell’ultimo decennio mostrano l’esistenza, all’epoca, di due piccoli regni: Israele, il più potente, e Giuda, la futura Giudea.
Gli abitanti di quest’ultimo non subirono alcun esilio nel VI secolo a.C.: solo le sue élite politiche e intellettuali dovettero stabilirsi a Babilonia. Da questo decisivo incontro con i culti persiani scaturirà il monoteismo ebraico.
L’esilio dell’anno 70 d.C. ebbe realmente luogo? Paradossalmente, questo “evento fondante” nella storia degli ebrei, da cui proviene la diaspora, non ha dato origine a nessun lavoro di ricerca. E per una ragione molto semplice:
i romani non esiliarono mai le persone della costa orientale del Mediterraneo.
Ad eccezione dei prigionieri ridotti in schiavitù, gli abitanti della Giudea continuarono a vivere nelle loro terre, anche dopo la distruzione del secondo tempio.
Parte di loro si convertì al cristianesimo nel quarto secolo, mentre la stragrande maggioranza si convertì all’Islam durante la conquista araba nel settimo secolo. La maggior parte dei pensatori sionisti non ne sapeva nulla: così, Yitzhak Ben Zvi, futuro presidente dello Stato di Israele, come lo scrisse David Ben Gurion, fondatore dello Stato, fino al 1929, anno della grande rivolta palestinese.
Entrambi menzionano ripetutamente il fatto che i contadini della Palestina sono i discendenti degli abitanti dell’antica Giudea (2).
In assenza di un esilio dalla Palestina romanizzata, da dove vengono i molti ebrei che vivevano nel Mediterraneo dai tempi antichi? Dietro il sipario della storiografia nazionale si nasconde una sorprendente realtà storica. Dalla rivolta dei Maccabei nel II secolo a.C. alla rivolta di Bar-Kokhba nel II secolo d.C., l’ebraismo fu la prima religione proselita.
Gli Asmoneani avevano già convertito con la forza gli Idumei del sud della Giudea e gli Itureani di Galilea, annessi al “popolo di Israele”. A partire da questo regno giudaico-ellenico, l’ebraismo brulicava in tutto il Vicino Oriente e nel Mediterraneo. Nel primo secolo della nostra era è apparso, nell’attuale Kurdistan, il regno ebraico di Adiabene, che non sarà l’ultimo regno di “ Giudei”: altri faranno lo stesso in seguito.
Gli scritti di Flavio Giuseppe non costituiscono l’unica testimonianza dell’ardore proselita degli ebrei. Da Orazio a Seneca, da Giovenale a Tacito, molti scrittori latini esprimono la loro paura. Il Mishna e il Talmud (3) consentono questa pratica di conversione – anche se, di fronte alla crescente pressione del cristianesimo, i saggi della tradizione talmudica esprimeranno riserve al riguardo.
La vittoria della religione di Gesù, all’inizio del quarto secolo, non pone fine all’espansione dell’ebraismo, ma spinge il proselitismo ebraico ai margini del mondo culturale cristiano. Nel quinto secolo, appare l’attuale Yemen, un vigoroso regno ebraico di nome Himyar, i cui discendenti manterranno la loro fede dopo la vittoria dell’Islam e fino ai tempi moderni.
Allo stesso modo, i cronisti arabi ci raccontano l’esistenza, nel settimo secolo, di tribù berbere giudaizzate: di fronte alla spinta araba, che raggiunse il Nord Africa alla fine di questo secolo, appare la figura leggendaria della regina ebrea Dihya el-Kahina, che ha cercato di fermarlo.
I berberi giudaici prenderanno parte alla conquista della penisola iberica e getteranno le basi della particolare simbiosi tra ebrei e musulmani,
La conversione di massa più significativa si verifica tra il Mar Nero e il Mar Caspio: riguarda l’immenso Regno Kazaro dell’ottavo secolo. L’espansione del giudaismo, dal Caucaso all’attuale Ucraina, genera più comunità, che le invasioni mongole del XIII secolo espellono verso l’Europa orientale. Lì, con gli ebrei provenienti dalle regioni slave meridionali e dagli attuali territori tedeschi, getteranno le basi della grande cultura yiddish (4).
Queste narrazioni delle origini plurali degli ebrei figurano più o meno esitanti nella storiografia sionista fino agli anni ’60; vengono quindi progressivamente emarginate prima di scomparire dalla memoria pubblica in Israele. I conquistatori della città di David, nel 1967, dovevano essere i diretti discendenti del suo mitico regno e non – Dio non voglia! – gli eredi dei guerrieri berberi o dei cavalieri Kazari.
Gli ebrei sono quindi presentati come un “ethnos” specifico che, dopo duemila anni di esilio e di vagabondaggio, torna a Gerusalemme, la sua capitale.
I fautori di questa narrazione lineare e indivisibile non solo mobilitano l’insegnamento della storia: evocano anche la biologia. Dagli anni ’70, in Israele, una serie di ricerche “scientifiche” si sforza di dimostrare, con tutti i mezzi, la vicinanza genetica degli ebrei nel mondo. “La ricerca sulle “origini delle popolazioni” era un campo legittimo e popolare della biologia molecolare, mentre il cromosoma Y maschile guadagnava un posto d’onore al fianco di una Clio ebrea (5), in una frenetica ricerca dell’unicità originale del “popolo eletto”.
Questa concezione storica è la base della politica di identità dello Stato di Israele, ed ecco dove sta il problema! Dà origine a una definizione essenzialista ed etnocentrista del giudaismo, alimentando una segregazione che separa gli ebrei dai non ebrei – siano essi arabi, immigrati russi o lavoratori immigrati.
Israele, a settant’anni dalla sua fondazione, rifiuta di concepirsi come una repubblica che esiste per i suoi cittadini.
Quasi un quarto di essi non sono considerati ebrei e, secondo lo spirito delle leggi ebraiche, lo stato ebraico non è dei non ebrei. D’altra parte, Israele si presenta ancora come lo stato degli ebrei di tutto il mondo, anche se non ci sono più rifugiati perseguitati, ma cittadini che vivono in condizioni di completa uguaglianza nei paesi in cui risiedono.
In altre parole, un’etnocrazia senza confini giustifica la grave discriminazione praticata contro alcuni dei suoi cittadini invocando il mito della nazione eterna, ricostituita per radunarsi sulla “terra dei suoi antenati”.
Scrivere una nuova storia ebraica, che vada oltre il prisma sionista, non è facile. La luce che penetra viene trasformata in colori etnocentrici. Eppure gli ebrei hanno sempre formato comunità religiose costituite, soprattutto per conversione, in varie regioni del mondo: non rappresentano un “ethnos” portatore di una sola origine che avrebbe vagabondato per venti secoli.
Lo sviluppo della storiografia, così come, più in generale, il processo di modernizzazione richiede tempo, come sappiamo, dall’invenzione della nazione. Questo ha occupato milioni di esseri umani nel diciannovesimo secolo e durante una parte del ventesimo. La fine di quest’ultimo secolo ha visto incrinarsi questi sogni. I ricercatori analizzano, costruiscono e smantellano le grandi narrazioni nazionali, e in particolare i miti di origine comune cari alle cronache del passato. Gli incubi identitari di ieri lasceranno il posto ad altri sogni identitari.
Come ogni personalità fatta di identità fluide e varie, anche la storia è un’identità in movimento.
di Shlomo Sand
Fonte: https://www.monde-diplomatique.fr
Premessa e traduzione: Paolo Germani
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- Testo fondamentale del giudaismo, la Torah — la radice ebraica “yara” significa insegnare — è composta dai primi cinque libri della Bibbia, o Pentateuco : Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio.
- Cf. David Ben Gourion e Yitzhak Ben Zvi, «Eretz Israël» nel passato e nel presente (1918, in yiddish), Gerusalemme, 1980 (in ebraico) e Ben Zvi, La Nostra popolazione nel paese (in ebraico), Varsavia, Comitato esecutivo dell’Unione della giovinezza e Fondo Nazionale ebreo, 1929.
- La Mishna, considerata come la prima opera della letteratura rabbinica, è stata completata nel secondo secolo DC. Il Talmud riassume tutte le diserzioni rabbiniche sulla legge, i costumi e la storia degli ebrei. Esistono due Talmud: quello della Palestina scritto tra il terzo e il quinto secolo, e quello babilonese, terminato alla fine del quinto secolo AC.
- Parlato dagli ebreo dell’Europa Orientale, lo yiddish è una lingua slavo-tedesca che comprende alcune parole derivanti dall’ebreo.
- Nella mitologia greca, Clio era la musa della storia.
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